World’s End Club – Recensione
Nato dalle menti dietro a Zero Escape e Danganronpa, World’s End Club è un ibrido tra visual novel e puzzle-platform uscito in early access su Apple Arcade nel e finalmente arrivato ora in versione completa su Nintendo Switch. Con due scrittori tanto celebri come Uchikoshi e Kodaka, questo gioco partiva con il piede giusto. Dopo i primi artwork mostrava sempre più potenziale grazie a uno stile originale e un concept semplice ma con molto da potere dire.
Dopo un’avventura di all’incirca 9 ore abbiamo concluso il nostro tempo con il club dei temerari e siamo pronti a parlarvi dell’esperienza che, purtroppo, non è molto positiva.
World’s End Club è un gioco con una gigantesca ombra che soffoca tutte le piccole luci che il gioco vorrebbe offrire. Quest’ombra è il gameplay e tutto ciò che ci gira attorno. Abbiamo provato prima ad apprezzare le sezioni di gioco puzzle-platform, poi semplicemente a sopportarle per goderci la narrativa, ma non possiamo passare sopra a quanto legnoso e tedioso sia il platform in questo gioco. Tutti i movimenti hanno un fastidioso delay, il salto è lento, pesante e muove di molto poco e l’idea che World’s End Club ha per differenziare i livelli è limitata e banale.
L’avventura si divide in due parti nettamente separate, delle scene in stile visual novel e i livelli di gioco in cui risolveremo puzzle leggeri e utilizzeremo le abilità dei protagonisti per proseguire in semplicissimi livelli platform. In entrambe le sezioni notiamo gravi problematiche, ma come già accennato gli “atti” di gioco sono la parte peggiore. Il level design è piatto e sterile, con alcuni livelli tanto semplici da essere nient’altro che ostacoli verso le sezioni narrative. Nel corso di ogni livello uno dei personaggi del Club dei Temerari sbloccherà un’abilità unica che fungerà da gimmick per il livello stesso.
Queste gimmick sono talmente limitate che in più occasioni verranno usate per poco più di qualche minuto, senza nemmeno perdurare per un’intero livello. Si tratta di azioni come: tirare dei sassi, usare una mazza da baseball, sputare del fuoco o rotolare in avanti contro i nemici. L’integrazione di queste meccaniche è talmente approssimativa da ricordarci il disastroso Balan Wonderworld. Ogni personaggio può fare un’azione soltanto e non è possibile cambiare da uno all’altro di tua volontà.
Ciò rende i già semplici livelli ancora più basilari. Ad aggravare il tutto ci pensano delle hitbox di attacco che spesso uccidono senza colpire e soprattutto l’elemento più seccante del gioco: le continue cutscene. In alcuni atti non sarà possibile fare 2 salti senza essere interrotti da delle micro-cutscene che spiegano al giocatore cosa deve fare ( senza che ce ne sia mai il bisogno essendo i livelli estremamente lineari).
Le sezioni visual novel sono meno offensive, grazie anche a una narrativa tutto sommato carina (della quale parleremo), ma soffrono anch’esse a causa della presentazione mediocre dei dialoghi. Abbiamo giocato con il doppiaggio originale in giapponese e le voci sono buone, niente di eccezionale e senza dubbio meno impattanti di altri titoli di Uchikoshi come AI: The Somnium Files o di Kodaka, ma fanno il loro. Il problema è nella presentazione estetica.
Le sezioni visual novel sono composte dai modelli 3D dei personaggi che ripetono più e più volte le stesse animazioni, con pochi artwork a interrompere il flusso. Ciò è un problema molto comune delle visual novel, ma tante altre hanno trovato metodi per comunicare i dialoghi in modo più interessante mentre World’s End Club si limita al minimo indispensabile.
La qualità molto bassa dei modelli e delle animazioni affossa il tutto ulteriormente, facendoci rimpiangere il vecchio stile “al risparmio” delle visual novel giapponesi consistenti in artwork fissi di personaggi che parlano con qualche cambio di espressione di tanto in tanto.
Ove World’s End Club brilla maggiormente è nella narrativa. La storia del Club dei Temerari e del loro viaggio attraverso un Giappone post-apocalittico verso Tokyo ha tutti gli elementi per essere memorabile. Il cast di personaggi non è perfetto, ma ha degli elementi di risalto come Aniki, Pai, Nyoro e Pochi. Il mistero su cosa sia successo è interessante e portato avanti molto bene fino alle sezioni finali del gioco e non mancano le solite buone idee di Kodaka e Uchikoshi a dare un po’ di pepe al tutto. Tuttavia a differenza dei loro lavori migliori quali 999 o Super Danganronpa 2, World’s End Club sa molto di “già visto”. I colpi di scena sono ben scritti, al di fuori di uno che troviamo abbastanza stupido, ma non sorprendono per davvero perché peccano o in importanza o in originalità. Anche la struttura narrativa a linee temporali multiple, cosa già riuscita benissimo a Uchikoshi con gli Zero Escape e AI, è integrata in modo banale e aggiunge poco alla narrativa generale.
Bisogna inoltre denotare che World’s End Club soffre di problemi di performance più e meno gravi. Il gioco crasha spesso nelle fasi finali del gioco, tanto da arrivare a chiudersi durante il video finale del true ending in un’occasione. Inoltre non è raro notare dei cali di framerate su Nintendo Switch.
Ad aggravare la situazione, per noi italiani c’è anche un’adattamento rushato e impreciso, con typo e occasionali frasi errate.
World’s End Club è un gioco con dei pregi, ma privo di eccellenze. Al contempo diversi, enormi, problematiche nel game design e nella presentazione tarpano le ali alle poche luci che potrebbe offrire. Il risultato è un gioco che pur avendo una propria identità ha l’aspetto di un gioco che non appartiene a una console fissa. Probabilmente visto il poco personale a disposizione era meglio concentrarsi su una visual novel classica, piuttosto che integrarci un gameplay platform che nuoce solamente all’esperienza.
Pro
- Buon cast di personaggi
- Narrativa intrigante
Contro
- Tecnicamente mediocre
- Gameplay deleterio all'esperienza