White Shadows – Recensione

Recensito su PlayStation 5

White Shadows è il perfetto esempio di videogioco asservito alla narrazione di una storia e alla veicolazione di una serie di messaggi, facendo leva su temi di perenne, purtroppo strettissima attualità quali razzismo e xenofobia.

Una composizione binaria declinata a colpi di immagini crude che, sebbene leggermente edulcorate dalla rappresentazione di protagonisti quali uccelli e maiali antropomorfizzati, lasciano comunque il segno. Ed è un peccato che lo stesso vigore e la medesima passionalità non vengano sprigionati dalla parte giocata di White Shadows: lungi dal poter essere considerata totalmente negativa, risulta spesse volte derivativa, poco impegnativa e caratterizzata da alcune scelte di design che avrebbero meritato maggiore cura implementativa.

White Shadows

Avvolta da una dimensione distopica, nell’oscurità industriale più totale che si perpetua mediante decine e decine di elevatissime torri metalliche quasi indistinguibili tra loro si erge Ravengirl, eroina volatile di questa opera binaria in lotta per rovesciare l’ideale secondo il quale siano stati gli uccelli a condurre il mondo alla deriva. Una società apparentemente abitata da soli animali, tutti uguali tra loro, stessi diritti e privilegi tranne che gli uccelli, ghettizzati e considerati poco più che carne da macello.

White Shadows diventa quindi un origami di odio e violenza, ma anche una fuga della protagonista verso la perduta libertà, un percorso totalmente proteso in direzione della giustizia e dell’equità sociale. La luce assurge a ruolo di risorsa più preziosa e indispensabile, rilasciata all’occorrenza mediante ritrovati tecnologici prodotti industrialmente con metodi alquanto discutibili, riuscendo a guadagnarsi un posto d’onore come perno attorno al quale ruota il plot di White Shadows e, soventemente, l’intero gameplay piattaformico, incidentalmente dotato di qualche non propriamente esaltante sezione stealth nell’ambito delle quali nascondersi dai potenti fasci di particelle luminose sparati dagli aguzzini per tenere sott’occhio i poveri volatili. Sembra quasi di rivedere i bei vecchi tempi di Oddworld: Abe’s Oddysee, con la telecamera virtuale a giocare sulle prospettive di un mondo binario perennemente in divenire.

White Shadows

Tra un salto e l’altro, l’intera esperienza scorre via molto velocemente: saranno necessarie non più di un paio di orette per arrivare a osservare l’epilogo delle avventure di Ravengirl. Oltre all’esigua durata di questa epopea digitale, l’opera tutta non propone appigli ludici rilevanti che possano spingere il giocatore ad approcciare White Shadows per una seconda volta.

La presenza di sparuti enigmi, basati perlopiù sul corretto allineamento di casse e oggetti trascinabili, non contribuisce a elevare il valore lordo del gameplay, tant’è che pur introducendo qua e là nuovi sonagli giocosi sotto forma di skill addizionali, l’intero canovaccio ludico non riesce a compiere alcun balzo in avanti, restando estremamente basilare, non valorizzando i diversi innesti in una maniera così determinante. L’impressione è quella di avere alcuni elementi buttati un po’ a caso, tanto per cercare di allungare il brodo, senza troppa convinzione.

Al netto di una cosmesi che rinvia con le retine a esperienze visivamente parecchio similari quali Inside e Limbo, qualche incertezza nella fluidità delle fasi leggermente più concitate e complesse vanno ad assoluto detrimento dell’esperienza, interrompendo per interminabili istanti quella sospensione dell’incredulità che altrimenti perdurerebbe dal primo sino all’ultimo bit codificato da Monokel.

Oltre a un character design che non fa gridare al miracolo e comunque funzionale all’empatica trasmissione del vibe complessivo dell’opera, non c’è nulla che tecnicamente faccia gridare al miracolo. Discorso diverso per le carezze che, di tanto in tanto, White Shadows rilascia ai padiglioni auricolari del fruitore, pillole di note d’autore distribuite sotto forma di brevi ma poetici estratti di composizioni musicali classiche. Richard Wagner anyone?

White Shadows


White Shadows è la perfetta espressione di un’opera d’arte parzialmente incompiuta. Tanto possente nel trasmettere messaggi di denuncia sociale quanto debole, il più delle volte, nei propri frammenti ludici, White Shadows non riesce a convincere pienamente, restando nell’ombra quasi quanto buona parte degli abitanti di questa distopica realtà intrisa di sofferenza.

6.9

Pro

  • Tematiche attuali e ben declinate
  • Stile grafico peculiare
  • Buona giocabilità

Contro

  • Diversi inciampi in termini di fluidità
  • Enigmi banalotti
  • Alcune soluzioni di gameplay poco elaborate
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