What Remains of Edith Finch – Recensione
La sensazione del “Ma cosa diavolo ho appena visto?!” (in accezione assolutamente positiva, badate bene) è la perfetta sintesi di What Remains of Edith Finch: d’altronde cosa potevamo aspettarci dagli autori di The Unfinisched Swan, se non un capolavoro che legittimasse definitivamente il valore del team Giant Sparrow? La durata è quella di un film, il comparto tecnico non sfrutta appieno le potenzialità di Playstation 4 e per giocare bastano gli stick analogici e un solo tasto. Questi elementi sono però eclissati da una narrazione elevata allo stato dell’arte, a dimostrare come a definire un capolavoro sia in ultima analisi sempre e comunque una storia avvincente in grado di colpire al cuore.
La maledizione dei Finch
I Finch sono (stati) senza dubbio una famiglia bizzarra. Edith è l’ultima sopravvissuta a una silenziosa maledizione che, operando dietro le quinte della vita di ognuno dei membri, ne ha provocato la prematura dipartita nei modi più macabri e originali, sempre che per morire esista una maniera migliore di un’altra.
L’intera storia dei Finch è custodita nella fiabesca casa sul mare di loro proprietà – ereditata ora da Edith – voluta da nonna Edie dopo che la precedente abitazione era stata spazzata via dalla marea e sepolta dalle acque. Tutti i membri della famiglia hanno abitato la magione e tutti hanno avuto la loro personale stanza e la propria storia il cui racconto è custodito in fragili fogli di carta: una lettera, le pagine di un diario, il parere di uno psicologo, costituiscono nel loro insieme la memoria di quella che è il grottesco mosaico di morti che ha accompagnato la tragica fine di ogni membro della famiglia.
I pensieri di Edith – anch’essi raccolti nel diario che la ragazza porta con sé – compaiono letteralmente sotto forma di parole nell’aria, così come fanno tutti i testi delle lettere e delle storie che la protagonista incontra durante l’esplorazione della casa. La storia si dipana così in tanti piccoli capitoli che arrivano al cuore, facendo ognuno a suo modo riflettere sulla transitorietà della vita e sul come si possa provare malinconica nostalgia per un caro estinto semplicemente tenendo tra le mani il suo diario.
What Remains of Edith Finch è quasi un film interattivo, sebbene non del tipo a cui ci hanno abituato le produzioni milionarie alla Heavy Rain: ci troviamo infatti di fronte a un prodotto intimo, dove l’esplorazione del mondo di gioco è funzionale al solo proseguo della trama. L’atmosfera che si respira durante tutta l’avventura riporta alla mente Twin Peaks, le short stories di Edgar Allan Poe e, in ultima analisi, i racconti cinematografici come Big Fish di Tim Burton. Sono tutti capolavori in bilico tra la realtà e l’onirico dove alla fine si comprende che forse, più che la verità assoluta, nel ricordare i nostri cari abbiamo bisogno di quel briciolo di fantasia che per noi li renderà sempre speciali e insostituibili.
L’intera avventura si completa in un paio d’ore di gioco, ma questa volta non ci sentiamo proprio di additare la scarsa longevità come lato negativo, anzi. Il ritmo del racconto è così perfetto che trascina il giocatore nella marea degli eventi meglio di quanto saprebbe fare qualsiasi film con le stesse tematiche di fondo e, arrivati ai titoli di coda, si ha come la sensazione di aver condiviso gli eventi con i personaggi nel loro intimo, di essere anche noi uno dei Finch.
Camminare tra le emozioni
Dal punto di vista del gameplay, lo dicevamo poc’anzi, What Remains of Edith Finch è la semplicità assoluta: con gli stick analogici si cammina e ci si guarda intorno, mentre con il tasto R2 si interagisce con gli oggetti per la risoluzione di semplicissimi enigmi ambientali. Ciò che lascia stupiti è come questa semplicissima interazione con l’ambiente di gioco sia in realtà declinata in tutte le sue possibili sfaccettature, rendendo così avvincente un sistema di controllo scarnificato fino all’osso.
Al ritrovamento di ogni lettera il giocatore vede la storia del relativo membro della famiglia in prima persona, ritrovandosi ogni volta a fronteggiare una situazione fiabesca al limite dell’impossibile: nel gioco si vola, si solcano le profondità dell’oceano e si guarda il bagnetto dagli occhi di un bebè. Ma è solo l’inizio, perché ci si muove anche tra le pagine di un fumetto, che prende libera ispirazione dai racconti della Cripta amati da ogni gamer cresciuto nei primi anni ’90, e con la stessa disinvoltura nei sogni di un Finch impiegato nel conservificio.
Non è un qualcosa che si può spiegare a parole, ma che si vive: il gioco non può interrompersi, non c’è il game over se non alla fine dell’avventura. L’intera esperienza è basata sulla costruzione di un climax emozionale che fa dell’empatia con Edith e i suoi familiari il suo pilastro portante e, per quanto possa sembrare strano, il semplicissimo gameplay permette di godere appieno dell’esperienza stregando anche chi è più avvezzo a titoli action che richiedono ben più impegno sul pad.
Proprio per il suo essere un insieme di storie chiuse e auto-referenziali, ci teniamo a dirlo, What Remains of Edith Finch non è un titolo al quale rigiocherete dopo la prima partita: i passaggi segreti, la storia e le emozioni possibili sono tutte lì alla prima run e, a meno che non siate dei veri completisti alla ricerca dell’ennesimo trofeo, la presenza di un unico finale difficilmente vi spingerà a ripercorrere il sentiero verso la magione dei Finch.
Sotto questo aspetto si sarebbe sicuramente potuto fare di più, dal momento che qualche scelta multipla e un paio di finali alternativi avrebbero decisamente allungato la longevità di un titolo che così com’è si presta a emozionare come pochi altri, ma soltanto nelle due ore necessarie al completamento della partita.
Tra estetismo e sovrappiù
Graficamente, What Remains of Edith Finch è perfetto nella sua semplicità: senza voler stupire, l’ambientazione è sempre coerente con la sensazione di disagio della protagonista, prendendosi la giusta dose di libertà nel mettere il giocatore in situazioni oniriche al limite (a volte ben oltre) dell’impossibile. Tralasciando i momenti all’esterno, nei sogni dei personaggi o all’interno dei fumetti, a livello grafico la casa dei Finch è sicuramente la protagonista del gioco al pari di Edith: ogni stanza, ogni corridoio, i passaggi segreti, i tunnel sotterranei e il sottotetto sono incredibilmente ricchi di dettagli e sembrano essere stati abitati fino a pochi secondi prima dell’arrivo del giocatore. La moltitudine di oggetti e chincaglierie farebbe impallidire D’Annunzio e il suo Vittoriale, in un eccesso di estetismo che riempie la vista e travolge, trascinando nella spirale della narrazione e contribuendo a rendere credibile e reale tutto ciò che di impossibile si para davanti agli occhi di Edith.
Passando all’audio, l’unico difetto imputabile al doppiaggio – realizzato a regola d’arte anche se da attori non professionisti – è la sola presenza dell’inglese, che rischia di minare il coinvolgimento di chi non mastica bene la lingua britannica. Di ottima fattura anche le musiche, che nei momenti cruciali del gioco ricoprono il fondamentale ruolo di collante tra il comparto tecnico e l’emozione che la storia vuole trasmettere, riuscendo perfettamente nell’intento. Segnaliamo anche alcune musiche non originali, come la colonna sonora del film Halloween durante la sessione di gioco nel fumetto horror di cui abbiamo già parlato: piccole chicche in grado di rendere l’esperienza un bellissimo, indimenticabile sogno videoludico.
What Remains of Edith Finch è da considerarsi uno di quei prodotti videoludici più vicini all’esperienza emozionale che al vero e proprio videogioco in senso stretto. Sulla falsa riga di titoli come Heavy Rain e Until Dawn racconta una storia mirando al cuore del giocatore e colpendolo con un colpo perfetto, ma in questo caso lo fa con una semplicità disarmante e in tutto e per tutto vincente. Giant Sparrow doveva dimostrare di poter sviluppare titoli all’altezza dell’emblematico Unfinished Swan, e ci ha tolto ogni dubbio nel migliore dei modi possibili. Peccato per la sola presenza della lingua inglese e per una longevità che, anche se ideale per strutturare una storia perfetta, avrebbe potuto essere ampliata con qualche segreto in più o con dei finali alternativi. Piccole mancanze comunque, che penalizzano solo in parte quello che per noi è un titolo che merita di essere ricordato per una delle più toccanti narrazioni degli ultimi anni.
Pro
- Empatico ed emozionante come pochi altri
- Semplice ma abbastanza vario da non annoiare
- Graficamente curato in ogni dettaglio
Contro
- Ci si gioca una sola volta
- Ottimamente doppiato, ma solo in inglese