We Happy Few – Recensione
La felicità è un concetto effimero, soprattutto se ci si mette a cercarla nel distopico contesto di una realtà alternativa in cui la seconda guerra mondiale sta andando in maniera diversa rispetto a quanto abbiamo imparato dai libri di storia: i tedeschi stanno vincendo e gli inglesi non se la passano proprio bene. In un altro gioco avremmo imbracciato il fucile attaccando a testa bassa castel Wolfenstein, ma non è questo il caso: in We Happy Few ci limiteremo a conformarci con gli abitanti della raggiante cittadina inglese di Wellington Wells, ai quali basta assumere una pillola di Gioia – i distributori sono riforniti dal governo e l’erogazione è gratis, cosa volete di più? – per dimenticare il passato e vivere in un mondo di arcobaleni e sorrisi perenni… o forse no.
Mai una Gioia
La Gioia (con la G maiuscola) è al centro dell’impianto narrativo di We Heppy Few: si tratta di una droga sintetica che i britannici sono costretti a ingerire e che, in questo universo videoludico di orwelliana memoria, li porta in una versione distorta della realtà uniformandoli e lasciandoli pacificamente felici (e facilmente controllabili dagli invasori). Dimenticatevi le strade sporche, le mosche attorno alla spazzatura, il degrado… dimenticatevi anche il vostro passato, fonte di turbamenti e cattivi pensieri: una bella pastiglia di Gioia vi farà vedere farfalle e arcobaleni, stampandovi sul volto un sorriso da ebete e facendovi saltellare in giro come Alice nel paese delle meraviglie.
Peccato che basti poco per rompere questo idilliaco momento: i ricordi dell’invasione tedesca e della deportazione (le forze ostili hanno preso tutti i bambini dalla città) sono difficili da reprimere e un minimo ritardo nell’assunzione della Gioia quotidiana fa crollare il sottile velo di ipocrisia riportandoci nella cruda realtà. Quando questo succede siamo nei panni di Arthur, il primo dei tre protagonisti che impersoneremo in We Happy Few (gli altri due sono la farmacista Sally e il soldato Ollie): il prode Arthur passerà in pochissimo tempo dal censurare le notizie inappropriate allo scavare nel suo passato, fino a far emergere il marcio della società corrotta e devastata dall’assunzione massiva della droga.
La storia di Arthur è anche quella più interessante dal punto di vista della narrazione, che è il vero punto di forza del gioco: a dimostrazione di quanto Compulsion Games abbia ascoltato le richieste dei fan e dei bakers su Kickstarter durante i tre anni in cui il gioco è rimasto in early access: i temi forti, la crudeltà e la violenza di una società ormai allo sbando sono magistralmente inseriti in una trama che fa sentire il giocatore partecipe di un intreccio di eventi ben più grande di lui e del protagonista che sta impersonando. In questo senso, il paragone che più viene alla mente durante il gioco è Bioshock, al quale We Happy Few si ispira chiaramente per creare quel senso di oppressione e angoscia che tutti ben conosciamo.
Droga gratis, tutto il resto no
Anche il gameplay di We Happy Few è cambiato rispetto a quanto mostrato in early access: da un’esperienza prettamente survival con un mondo ogni volta generato proceduralmente si è passati a un livello di difficoltà ben più clemente nei confronti del giocatore, mentre il mondo viene generato casualmente solo quando impersoniamo uno dei tre diversi protagonisti.
La componente survival mantiene gli indicatori di fame, sete e sonno, anche se ignorare uno di questi bisogni primari non porterà alla morte, quanto piuttosto a dei semplici bonus o malus sulle caratteristiche fisiche del personaggio in uso. Nel menu di inizio partita è possibile selezionare diversi livelli di difficoltà, andando anche nel dettaglio e cambiando il livello di sfida solo per alcuni specifici elementi del gioco. I masochisti possono anche attivare il permadeath che, data la curva di apprendimento iniziale un po’ ostica, rischia comunque di essere più una frustrazione che una vera e propria sfida.
L’avventura di Arthur infatti, almeno per le prime due ore di gioco, funge anche da tutorial: nei suoi panni si impara a muoversi nel mondo, a nascondersi, a combattere e a creare oggetti. Il crafting è un’altro elemento fondamentale di We Happy Few: molti degli oggetti utili alle missioni della trama principale si possono acquistare, ma a caro prezzo, tanto che è molto meglio andare a caccia degli elementi necessari e crearseli da soli.
Durate il peregrinare nel mondo – alcune missioni richiedono un discreto backtracking – per le trenta ore circa necessarie al completamento dell’avventura e delle principali missioni secondarie, è necessario prestare attenzione al vestiario, allo stato dei vari indicatori e agli oggetti dell’inventario, oltre che al proprio comportamento: all’interno di Wellington Wells bisognerà indossare vestiti eleganti ed evitare di correre o saltare, oltre che rispettare il coprifuoco e stare ben attenti a entrare nelle abitazioni altrui. Per agire indisturbati in alcuni luoghi chiusi al pubblico, servirà una tuta da lavoro che vi permetterà di spacciarvi per operai, così come all’esterno delle mura sarà bene vestirsi da straccione per non dare troppo nell’occhio.
Più importante di tutto questo, in città bisognerà evitare di essere dei “musoni”: per entrare in alcune aree sarà obbligatorio assumere la Gioia e, una volta finito l’effetto della pillola, seguirà una crisi di astinenza che farà insospettire gli NPC, che ci attaccheranno e chiameranno le autorità per farci iniettare una nuova dose. Muoversi con cautela, evitare di attirare l’attenzione e centellinare l’utilizzo della Gioia sono le azioni da bilanciare nella giusta quantità per rimanere abbastanza lucidi e contemporaneamente abbastanza nascosti nell’ambiente.
Fin qui tutto bene, peccato che non sia tutto rose e fiori: partendo proprio dai fiori, è abbastanza ridicolo che ci si possa nascondere dai nemici solo tra i cespugli di fiori gialli, risultando perfettamente visibili anche dalla lunga distanza se accovacciati dietro qualsiasi altra pianta. Anche il sistema di combattimento, per quanto la varietà di armi e situazioni sia apprezzabile, è un po’ macchinoso e non è in grado di dare grandi soddisfazioni, rendendo le scazzottate ai più alti livelli di difficoltà più tediose che appaganti. Aggiungeteci una mappa non sempre di facile comprensione e una curva di apprendimento abbastanza tosta (navigare tra i menu e comprendere il funzionamento di oggetti e azioni non è così immediato come si potrebbe pensare) e capirete subito come We Happy Few sia un titolo che sa dare soddisfazioni solo ai giocatori più pazienti.
Un po’ altalenante anche il ritmo dell’avventura, con un’inizio abbastanza scoppiettante che rallenta un po’ con l’utilizzo dei successivi personaggi. I diversi alberi di abilità e le peculiarità di ognuno danno un po’ di varietà e costringono ad approcci leggermente differenti: Arthur ha la lingua lunga che lo salva da molte situazioni, Sally è una farmacista in grado di creare oggetti curativi potenti e Ollie un ex soldato che compensa con la forza la mancanza di intelletto. Fortunatamente i tempi morti e alcuni spostamenti da un luogo all’altro sono compensati soltanto dalla bontà della trama e dai colpi di scena, perchè altrimenti avremmo davvero rischiato di abbandonare l’avventura a metà.
Tra arcobaleni e topi morti
La realizzazione grafica è tanto interessante quanto ballerina: la chiara ispirazione a Bioshock e The Witness – quest’ultimo soprattutto per gli esterni – è evidente, e la fusione tra la violenza in stile Arancia Meccanica e il character design in bilico tra realismo e cartoon è perfetta per creare quel clima onirico di stupore e orrore in cui We Happy Few vuole costantemente mantenerci. Se da un lato la realizzazione delle diverse aree e, soprattutto, il cambiamento della palette di colori che contraddistingue i momenti di assuefazione alla droga e quelli di astinenza sono studiati nel minimo dettaglio, dall’altro dobbiamo segnalare una serie di problemi sul lato tecnico. Nella versione da noi testata (abbiamo giocato su PlayStation 4) i cali di frame rate sono stati frequenti e a tratti fastidiosi, così come alcuni problemi di compenetrazione tra i personaggi e gli oggetti. Durante un combattimento ci è addirittura capitato di restare incastrati dietro un ostacolo dopo aver ricevuto uno spintone da un nemico, trovandoci costretti a ricaricare l’ultimo salvataggio per poter procedere nel gioco. Questi difetti, se pensate alla possibilità di scegliere il permadeath come opzione, sono imperdonabili.
Di buona fattura le musiche e i dialoghi, interamente doppiati in lingua inglese e per i quali si possono scegliere i sottotitoli in italiano. Anche in questo caso, però, segnaliamo qualche piccola mancanza: ci è infatti capitato di imbatterci in descrizioni di oggetti o sprazzi di dialogo in cui i sottotitoli cambiavano magicamente lingua diventando in inglese, oppure di trovarci davanti a traduzioni un po’ troppo letterali di alcune espressioni: ad esempio, quando i personaggi dicono “I don’t hear you” questo viene tradotto come “Non ti sento”, quando ovviamente dovrebbe essere “Non ti capisco”. Si tratta certamente di piccole cose, ma complessivamente la sensazione che abbiamo avuto è stata di trovarci di fronte a un prodotto che, nonostante i tre anni di early access e gli innegabili passi avanti fatti, avrebbe necessitato ancora di un periodo di ottimizzazione per diventare ben più di quello che è ora, ovvero una discreta avventura con una stupenda trama ottimamente narrata.
We Happy Few è un titolo controverso, che presenta luci e ombre tanto quanto l’ottima storia che racconta. È proprio grazie all’intrigante impianto narrativo che il gioco di Compulsion Games si contraddistingue, proponendo un’esperienza narrativa ben più interessante di quella che ci si poteva aspettare da quanto visto in early access. L’altro lato della medaglia è l’ottimizzazione del comparto tecnico e del gameplay: il primo ispirato ma gambizzato da troppi rallentamenti, il secondo privato di una certa profondità in favore di una semplificazione che ha reso il titolo più accessibile senza però mitigarne la curva di difficoltà abbastanza ripida. C’è sempre tempo per patch e correzioni, ma allo stato attuale consigliamo We Happy Few solamente ai giocatori dotati di una certa dose di pazienza, disposti a chiudere un occhio di fronte al lodevole tentativo di portare a compimento un’opera così complessa.
Pro
- Impianto narrativo solido e intrigante
- Ottima l'idea della droga sintetica e degli effetti che ne derivano
- Ottima realizzazione grafica di personaggi e ambienti...
Contro
- ...peccato per i troppi cali di frame rate
- La semplificazione del gameplay ha minimizzato la parte survival
- Combattimenti legnosi
- Qualche sbavatura di troppo nei dettagli
Durante il mio , attuale, playthrough su PS4 Pro sto riscontrando problemi molto gravi di performance. Non voglio nemmeno immaginare come sia stato giocarlo su PS4 standard.