Until Dawn
Until Dawn, letteralmente “fino all’alba”: tanto dovranno sopravvivere gli otto protagonisti dell’avventura horror sviluppata da Supermassive Games in esclusiva per Playstation 4, la cui data di uscita è fissata per il 26 agosto 2015. Inizialmente pensato per essere giocato su Playstation 3 con l’ausilio del Move, lo sviluppo di Until Dawn si è protratto fino ad approdare infine su Playstation 4: forte di una trama che ha visto la collaborazione dei registi Graham Reznick e Larry Fessenden, il prodotto videoludico di Supermassive Games promette un’esperienza in bilico tra il videogioco e il film interattivo, sulle orme degli ultimi lavori di Quantic Dream. Durante questa recensione sarà impossibile non citare quindi gli ormai storici Heavy Rain e Beyond: Two Souls, così come leggerete molti paragoni con il mondo del cinema. Questo non tanto per fare meri paragoni quanto piuttosto per evidenziare in cosa Until Dawn ci ha colpito e per quale motivo, ve lo diciamo fin da subito, a nostro parere merita il podio a pari merito con le avventure ideate da David Cage.
Il più classico dei teen-horror
Una delle qualità che più abbiamo apprezzato in Until Dawn è stato il suo saper rendere interessante la più banale delle trame: gli otto protagonisti si ritrovano, come ogni anno, per un week-end di divertimento in uno sperduto chalet di montagna. Ovviamente i ragazzi scopriranno presto di non essere soli e si ritroveranno costretti a lottare con ogni mezzo per sopravvivere ai pericoli della notte e permettere ai soccorsi che arriveranno all’alba di trarli in salvo.
Più nel dettaglio, per gli otto amici si tratta di una ricorrenza particolare: l’anno precedente infatti, nello stesso chalet, si era consumata un’orribile tragedia che aveva portato alla morte di Beth e Hanna Washignton. Le due ragazze, insieme al fratello Josh, sono le figlie del ricco produttore di Hollywood che possiede lo chalet e, insieme ad esso, l’intera montagna di Blackwood sulla quale si svolge l’avventura. È proprio Josh a contattare gli amici e a chiedere loro di riunirsi ancora una volta come ai vecchi tempi: l’intenzione è quella di ubriacarsi, festeggiare e divertirsi per tutto il fine settimana, anche e soprattutto in memoria delle amiche scomparse.
Dietro richiesta della stessa Sony non possiamo addentrarci più di tanto nei dettagli della trama, ma avrete già capito perché il cliché da teen-horror ci piace così tanto: durante l’avventura ci siamo finalmente ritrovati di fronte a una trama in stile Venerdì 13 attualizzata a oggi, perfettamente in grado di miscelare il fascino dell’horror anni ’80 con i ritmi, la narrazione serrata e i colpi di scena del più moderno cinema dell’orrore, con momenti più splatter alla Saw e scene di tensione come in Ouja. Gli otto protagonisti incarnano perfettamente gli stereotipi classici del genere: vi sono il palestrato coraggioso, la sua ex fidanzata pedante con il nuovo ragazzo, i compagni di classe innamorati ma che non osano dichiararsi l’un l’altro, il tenebroso e il buffone della compagnia. I cinefili tra voi provino a pensare ai personaggi di IT, di Scream o, perché no, in chiave caricaturale ai Goonies: il carisma e le capacità empatiche dei personaggi di Until Dawn sono esattamente gli stessi ed è grazie a loro che l’avventura incolla letteralmente allo schermo per tutte le dieci ore necessarie a portarla a compimento, che poi sono esattamente le ore che separano l’arrivo dei ragazzi alla baita dal sorgere del sole.
Tra interattività e passività
Data la particolarità del gameplay, la trama di Until Dawn non è ovviamente lineare: immaginate di assistere a un film interattivo, di volta in volta nei panni di uno dei protagonisti; per ognuno di loro il gioco vi chiamerà a intervenire scegliendo la risposta da dare in determinati dialoghi, la direzione da prendere o l’azione da compiere. Il leitmotiv della narrazione è il Butterfly Effect, il cosiddetto effetto farfalla secondo il quale ogni più piccola e insignificante azione è in grado di modificare il futuro generando anche sconvolgimenti in grado di determinare la vita o la morte delle persone. L’effetto farfalla è sapientemente inserito nel gioco tramite la citazione di alcune leggende indiane, secondo le quali farfalle di diverso colore sono in grado di rappresentare presagi più o meno benigni del futuro: nel mondo di gioco sono sparsi dei piccoli totem che, una volta raccolti dai vari personaggi, mostrano confuse scene di un possibile futuro, da tenere in considerazione se si vuole completare l’avventura salvando tutti i personaggi. In un contesto horror, pensate come litigare con un amico che non vi accompagnerà nell’esplorazione, lasciare aperta una porta o mettersi in tasca un paio di forbici possa fare la differenza tra la vita e la morte, e subito vi sarà chiaro come le numerose diramazioni che avete davanti potranno originare altrettante scene e finali alternativi.
Come dicevamo in apertura, è inevitabile mettere a confronto il lavoro di Supermassive Games con quello di Quantic Dream, che dai tempi di Indigo Prophecy sviluppa avventure interattive di questo tipo. Per quanto ci riguarda Heavy Rain resta ancora uno dei capisaldi più importanti di questo genere, se non altro per la sua capacità di far affezionare il giocatore al protagonista fino a fargli vivere i sentimenti dei personaggi come pochissimi altri videogiochi sono stati in grado di fare. Ciò non di meno, i lavori di Quantic Dream presentavano una trama a tratti lacunosa che, in base alle scelte compiute dal giocatore, lasciavano indietro punti oscuri o legavano con poca coerenza le varie scene che portavano a uno dei finali possibili. Questa sensazione l’abbiamo avuta anche in Until Dawn, ma solamente in alcuni momenti: dobbiamo infatti ammettere di esserci ritrovati di fronte a una trama solida e contemporaneamente malleabile, dove anche la più piccola decisione è tenuta in conto nei dialoghi e nelle scene che si susseguono. Le scelte da compiere sono sempre chiare, tranne che in un paio di punti in cui potreste portare alla morte uno dei personaggi senza volerlo, convinti che la vostra scelta lo porterà a compiere un’azione diversa da quella a cui effettivamente assisterete. Anche questa componente fa comunque parte del gioco e vi spingerà a rigiocare il capitolo per prendere una strada diversa e salvare così – oppure cercare di salvare, chissà – la vita a chi avrete precedentemente condannato a morte. A dire il vero a una seconda partita ci si accorge che nonostante i molteplici bivi la storia non può più di tanto essere stravolta, ma la genialità degli sviluppatori e degli scrittori sta proprio nel farvi credere che forse, se aveste fatto un’altra scelta, le cose sarebbero andate in modo diverso. Un po’ come accadrebbe nella vita reale, soprattutto per quanto riguarda le scelte da compiere velocemente perché in pericolo. A volte infine, caratteristica che ci ha fatto saltare sulla sedia in più di un’occasione, c’è anche la possibilità di prendere una terza via semplicemente non facendo nulla e lasciando scadere il tempo a disposizione senza compiere alcuna scelta: questa è forse la parte più affascinante di Until Dawn, che offre una gamma di scelte pari a quelle che si avrebbero nella realtà.
Arrivati a questo punto, dobbiamo comunque avvisarvi che il gameplay di Until Dawn è interamente composto da esplorazione e scelte. Rispetto a Heavy Rain o al più recente Beyond – nel quale l’interattività era più marcata grazie al capitolo nella zona di guerra e alla presenza dello spettro da comandare per muovere gli oggetti – in Until Dawn la maggior parte dell’azione è limitata a quick time event in cui basterà premere il giusto tasto con tempismo per evitare la morte del personaggio. Supermassive Games ha pensato bene di inserire anche alcune sparatorie e sezioni con armi da fuoco, ma anche in queste vi basterà spostare il mirino e premere il grilletto con il giusto tempismo per cavarvela senza troppi problemi. Siamo pronti a scommettere che i detrattori andranno a nozze con questa mancanza di reale interattività e, a dirla tutta, anche noi avremmo apprezzato una maggiore possibilità di interagire con l’ambiente circostante il giocatore, perlomeno nelle fasi di esplorazione. Detto questo, ci sentiamo di spezzare una lancia per Until Dawn, la cui esperienza complessiva ci ha comunque lasciato più che soddisfatti: l’avventura grafica è un genere derivato dalle avventure punta e clicca e, se vogliamo, dalle vecchie avventure testuali o dai libri-game. Proprio per questo motivo riteniamo sbagliato paragonare Until Dawn a un survival horror, anche parlando di titoli in cui la componente survival è più forte di quella action, come ad esempio in Memento o Clock Tower. Sarebbe come paragonare Super Mario Bros. 3 a Monkey Island e dire che quest’ultimo presenta lacune nella componente action. Se sposate la nostra tesi, capirete bene come possiamo collocare Until Dawn sul podio delle avventure interattive; al contrario, se non apprezzate il genere e non vi siete fatti conquistare da Heavy Rain e Beyond, anche il gioco dei Supermassive Games vi stancherà dopo pochi minuti.
Motion capture da oscar
Trattandosi di un connubio quasi perfetto tra gioco e film, è ovvio che Until Dawn dovesse mostrare i muscoli sotto l’aspetto grafico. Iniziamo innanzitutto con il dire che il cast – interamente composto da attori in carne e ossa che, digitalizzati, hanno recitato splendidamente come in un vero film grazie alla magia del motion capture – è di tutto rispetto: Sam (Hayden Panettiere), Mike (Brett Dalton), Josh (Rami Malek), Ashley (Galadriel Stineman), Chris (Noah Fleiss), Matt (Giordania Fisher), Emily (Nichole Bloom), e Jessica (Meaghan Martin), Beth e Hannah (Ella Lentini) sono tutti nomi più o meno noti agli appassionati di serie Tv, così come Peter Stormare, nei panni dello psicologo con il quale dialogherete tra un capitolo e l’altro del gioco, ha regalato agli sviluppatori un’interpretazione davvero da oscar. Davvero incredibile è la minuziosa attenzione dedicata alla realizzazione dei volti che, tanto nei campi lunghi quanto nel menu di pausa, in cui si può ruotare e ammirare da vicino il volto del personaggio in uso in quel momento, passano attraverso un’enorme gamma di espressioni e di emozioni a esse collegate. Sotto questo aspetto riteniamo che l’hardware della Playstation 4 sia stato perfettamente sfruttato e ci teniamo a sottolineare come il risultato finale sia davvero interessante.
La qualità diminuisce leggermente nei campi lunghi all’esterno della baita, dove il motore grafico Umbra 3 non eccelle particolarmente: se da una parte i dettagli intorno ai protagonisti e le loro animazioni sono sempre eccellenti, alzando lo sguardo verso l’orizzonte si scorgono un po’ troppa nebbia e alcuni scenari meno realistici. Discutibile, poi, la scelta di estremizzare le caratteristiche fisiche di Brett Dalton fino a renderlo quasi identico al Nathan Drake di Uncharted: per quanto l’aitante attore si presti perfettamente alle fasi più action a lui dedicate e per quanto ci faccia piacere giocare nei panni di un avatar simile al buon vecchio Nate, si poteva forse fare di più per caratterizzare anche questo personaggio e renderlo più unico.
Passando infine al comparto sonoro, anche qui ci sono alcuni dettagli che avrebbero meritato maggiore attenzione: da una parte abbiamo una fantastica colonna sonora curata da Jason Graves, autore tra le altre delle musiche del recente The Order 1886; dall’altra una localizzazione in italiano che accosta parti perfette a momenti più imbarazzanti. Sotto questo aspetto, Quantic Dream vince la partita e resta ancora una volta produttore dei titoli meglio localizzati che ci sia mai capitato di provare. Nel caso di Until Dawn è chiaro come Supermassive Games abbia fatto doppiare alcune scene del gioco complete al 100% mentre altre sembrano doppiate seguendo lo storyboard o comunque una versione non finita dei filmati: la sensazione è che la voce non appartenga al personaggio, che a fronte di una mimica facciale perfettamente riprodotta adotta un tono di voce e uno stile di dialogo non consono. Si tratta di rari momenti nelle dieci ore di gioco, per la maggior parte concentrati nel settimo capitolo e, certo, basterebbe giocare il titolo in inglese per eliminare il problema. Riteniamo però che una tale disattenzione per la localizzazione si possa sorvolare in altri generi ma non in un gioco di questo calibro che fa della narrazione il suo unico vero punto di forza. Resta il fatto che l’horror e l’avventura interattiva, grazie a Until Dawn, sono pronti ad arrivare in grande stile su Playstation 4 e, se gli sviluppatori continueranno su questa strada, possiamo aspettarci titoli che corretti i piccoli difetti di produzione saranno chiamati veri e propri capolavori.
Until Dawn è la prima vera avventura interattiva di spessore disponibile per console di nuova generazione. Rispetto ai precedenti tentativi di Quantic Dream di realizzare film interattivi per console, il gioco di Supermassive Games presenta una trama più coesa e scelte psicologicamente pesanti, complice anche l’atmosfera horror che permea il tessuto narrativo. Graficamente l’hardware di Playstation 4 non fa bella figura negli ampi paesaggi montani, ma si fa perdonare con gli interni e con delle espressioni facciali dettagliatissime. Peccato solo per la localizzazione italiana che perde qualche colpo qua e là, difetto sul quale i fan del genere sapranno sicuramente soprassedere pur di godersi un titolo che consigliamo comunque di provare a tutti gli utenti PS4.
Pro
- Perfetta atmosfera anni '80
- Tanti personaggi, tanti finali
- È un'ottima avventura interattiva
Contro
- Doppiaggio italiano a volte non perfetto
- Non vi piacerà se amate i survival horror più action