Unplugged – Recensione
Quando ci siamo dimenticati/e che i videogiochi devono anche, qualche volta, far “divertire”? Adoro i giochi “seri”, non fraintendermi, e The Last of Us Part II è il motivo per il quale sono voluto diventare un game designer, ma in un contesto nel quale narrazioni e meccaniche tendono ad un livello di maturità che, oltre che invidiare, non posso che ammirare, ho l’impressione che per lo più, soprattutto nel contesto AAA, ci si stia… dimenticando di divertire chi gioca.
Dall’acquisto, avvenuto al day one, ero sicuro che PlayStation VR2 sarebbe stato in grado di divertirmi in modo alternativo rispetto alle altre piattaforme e console, ed è stato Zombieland VR a farmi capire che avevo ragione, ma, a posteriori, è Unplugged che ha reso la cosa evidente. Perché? Semplice, per la sua capacità di farti tornare indietro nel tempo, a quando facevi air guitar ascoltando Stairway to Heaven o Enter Sandman e tutto andava bene.
Chiariamo, Unplugged era già uscito altrove a Dicembre 2021, ma fino ad ora non mi era stato possibile provarlo, ed ero onestamente sicuro che i bei tempi di Guitar Hero fossero passati, vittime involontarie della canaglia nostalgia e di una morte relativamente documentata del genere dei rhythm game legati all’utilizzo delle periferiche. Beh, Unplugged di Anotherway è un concept di gioco che funziona proprio come quei Guitar Hero che hanno popolato l’infanzia di molte/i di noi, solo con qualche piccola mancanza, per lo più dovuta proprio alla mancanza di una periferica più specifica per l’azione di gioco principale.
I controller Sense sono infatti piuttosto versatili, vuoi per le pistole di The Walking Dead: Saints and Sinner Retribution, vuoi per i tentacoli di Tentacular, e sono precisi nel tracking delle mani ma con Unplugged dimostrano un limite che mina leggermente la profondità delle meccaniche che stanno al cuore del core loop: in toto il non avere una periferica a chitarra non permette infatti al gioco di creare un elevato grado di variabilità di note e accordi.
La lista delle canzoni è buona, sia in fatto di varietà che in fatto di divertimento offerto nell’affrontare i singoli pezzi, ma l’aggiunta di due livelli di difficoltà e alcune tecniche musicali aggiuntive non devia troppo Unplugged da un sottofondo di ripetitività. Purtroppo non tutte le canzoni sono i successi che si spera di trovare in un titolo a là Guitar Hero e la presenza di Satchel (Russell John Parrish, degli Steel Panther) come mentore, motivatore e generico fornitore di info e tutorial è un po’ ridondante e avrei onestamente fatto a meno di qualche sua comparsata.
L’approccio tecnico di Unplugged è inusuale, dato che, se con una mano terremo la chitarra e passeremo il plettro sulle virtuali corde del nostro strumento, con l’altra premeremo o solleveremo le dita dai due tasti con i quali interagiremo con il mondo di gioco, ma un plauso che va assolutamente fatto ad Unplugged è la semplicità di approccio, anche se di volta in volta dovremo dedicare qualche minuto a del sano stretching: in pochi secondi dall’avvio del gioco sarai infatti in piedi, a oscillare la testa a ritmo sulle note di Roadie di Tenacious D, la mente ben lontana dalla location nella quale il tuo corpo si trova, il tuo battito e la tua attenzione marionette nelle mani del design di gioco.
Non tutte le canzoni sono disponibili dall’inizio e, se questo potrebbe risultare un po’ ostico e ingiusto a chi è ben abituato/a alla libertà di Guitar Hero, è piacevole e ben bilanciato il percorso offerto dai singoli eventi, composti da 5 canzoni che gradualmente ci introdurranno a nuovi spartiti, nuovi ritmi e magari nuovi modi di affrontare le sfide che ti troveremo davanti. Certo, si ricade nella questione che citavo prima, ossia il fatto che le meccaniche non possono offrire troppa profondità, per la struttura stessa della periferica di gioco, però il team di sviluppo ha fatto sicuramente il meglio che poteva nei limiti tecnici della periferica. Posso solo immaginare il potenziale del titolo senza i limiti dettati dal tracking dei Dualsense VR.
A livello tecnico c’è anche qualche piccola incertezza per quel che riguarda il tracking stesso della posizione del giocare rispetto alla chitarra virtuale: per poter strimpellare al meglio delle nostre possibilità, infatti, dovremo virtualmente portarci la chitarra il più vicino possibile alla “vera” posizione di una chitarra indossata a dovere, e qualche volta l’inevitabile ondeggiare di chi gioca, sopratutto nelle sessioni più intense o con le canzoni più soddisfacenti (e ce sono parecchie), comporta qualche errore che rompe la magia, magari facendoci sbagliare o skippare una nota che interrompe lo streak da 200 al quale eravamo faticamente arrivati poco prima.
Un altro piccolo limite che ci tengo a riportare è la relativa monotonia degli spazi nei quali ci troveremo a suonare: tutto risulta molto statico, sopratutto il pubblico, cartonato passivo per le nostre follie armoniche, al massimo pronto a lanciarci biancheria intima a fine canzone.
Unplugged Air Guitar è sicuramente un gioco magico, pur nei suoi limiti tecnici e nella poca varietà degli ambienti, ma prima d’ora solo Guitar Hero si era avvicinato così tanto alla sensazione di suonare davvero sopra un palco, e la natura VR qui traposta fedelmente per PSVR 2, consapevole dei limiti della periferica, fa del suo meglio e riesce per lo più nell’intento di divertire e far dimenticare il mondo lì fuori. Se simulare assoli di chitarra è il tuo pane quotidiano, Unplugger Air Guitar è un ottimo modo per farlo dalla comodità di casa tua, lontano da sguardi pretenziosi e giudicanti.
Musica e divertimento si fondono in maniera quasi perfetta
Pro
- Raramente si trovano giochi così immediati e immediatamente divertenti
- Il numero di canzoni è adeguato al tempo medio che si ha il potenziale di passare sul titolo
- Finalmente possiamo fare Air Guitar tra le comode e ingiudiziose pareti di casa...
Contro
- ...ma i limiti fisici della periferica a volte fanno violento capolino