Trover Saves the Universe – Recensione
Conoscete la definizione di follia? Un saggio (o era un pazzo?) la definì come “il perseguire qualcosa sempre attraverso le stesse metodiche e con gli stessi strumenti, vederla fallire, e poi riprovarci senza cambiare approccio di una virgola”, convinti di un outcome diverso.
In un mondo che nel bene e nel male sorprende ogni giorno, è naturale sentire il desiderio di rifugiarsi fra le sicure pareti di un videogioco, e quale realtà migliore di quella virtuale, controllata e noi-centrica? Beh, l’inarrestabile follia dell’assurdo e la comfort-zone della realtà virtuale si fondono in Trover Saves the Universe, ultimo titolo di Squanch Games.
E se ve lo state chiedendo, la risposta è sì: si percepisce ogni milligrammo della follia di Justin Roiland, il creatore, tra le altre cose, di quel capolavoro chiamato Rick & Morty. Allacciate le cinture, ragazzi. Sarà un viaggio molto molto pazzerello.
Eliminiamo subito i dubbi: il titolo di Squanch Games, come Accounting+ prima di esso, non è un titolo convenzionale per niente; da una mente come quella di Roiland non ci si può aspettare altrimenti, e in questo (come in altro) Trover Saves the Universe non delude. In un certo senso, anzi, oltrepassa le aspettative, come videogioco e come mero prodotto d’intrattenimento, spingendo la metaforica asticella di entrambi i mondi un po’ più in alto. Ma partiamo dall’inizio.
In Trover Saves the Universe vi troverete a vestire le (sedute) membra di un “Chairopian”, particolare razza aliena caratterizzata dalla loro volontaria e costante sedentarietà; stare seduti tutto il giorno sulla propria sedia fluttuante è uno status quo, in questo bizzarro pianeta, tanto che in un dialogo con un NPC si scopre che non serve niente meno che una guerra, e a malapena quella, a far alzare un Chairopian dalla propria confortevole poltrona.
In quello che non può essere descritto che come l’incipit narrativo più assurdo della storia dell’intrattenimento galattico, il protagonista si vedrà rapire i suoi due amati cagnolini da Glorkon, un enorme uccello la cui caratteristica più assurda è costituita dalle sue cavità oculari completamente vuote. Si, davvero. E no, non è finita qui.
Il criminoso volatile decide infatti di apporre suddetti cani all’interno delle suddette cavità oculari, ricavandone un potere immenso che, ovviamente, ha intenzione di sfruttare per i suoi malvagi scopi. Tranquilli, da qui è tutta in discesa. Subito dopo lo strano avvenimento, vi troverete davanti a uno dei tutorial più assurdi della storia, tanto inusuale nella presentazione quanto meta-narrativamente irrisorio verso l’assurdità che sembra ormai essere il minimo comune denominatore dei tutorial in-game.
Superata questa prima fase di presa di confidenza con i comandi base, finirete quasi subito faccia a faccia con il comprimario Trover, un altro assurdo alieno che in men che non si dica ci spiegherà quella che in fondo è la meccanica principale di movimento del gioco: il vostro alter ego in-game, il Chairopian, ha fra le mani e utilizza infatti un controller molto simile al DualShock che stringete fra le mani nel mondo reale; è questo lo strumento con il quale il Chairopian potrà muovere Trover, che dovrà piazzarsi su alcuni portali luminosi permettendo così il movimento del Chairopian attraverso di essi.
Trover ha quindi massima libertà di movimento nel mondo di gioco, lasciandovi relegati a questi punti fissi; questa consecutio di “giocatore muove personaggio che muove personaggio” fa un po’ sorridere, ma non si rivela mai sbagliata o fuori tono rispetto ai parametri di level design del titolo.
Per quanto a parole possa sembrare un modus operandi un po’ noioso o potenzialmente macchinoso, esso si rivela invece un ottimo trampolino di lancio per l’introduzione di tutte le meccaniche d’azione e movimento successive; sia Trover che il Chairopian otterranno infatti, durante lo scorrere dell’avventura, diversi potenziamenti che renderanno di volta in volta più complesso e variopinto il modo di navigare e superare ogni livello.
L’introduzione di un buon numero di collezionabili colora il gioco con una leggera sfumatura “metroidvanica” che non guasta, soprattutto in un titolo in cui la rigiocabilità è sì vagamente suggerita ma solo sommariamente giustificata. É apprezzabile inoltre il risvolto “pratico” della raccolta dei collezionabili: se infatti tutti gli altri potenziamenti riguardano la mobilità del Chairopian o la potenza d’attacco di Trover, solo raccogliendo i Power Babies (questo il nome del collezionabile) potrete migliorare la salute di quest’ultimo, statistica che potremo consultare in ogni momento a schermo.
Almeno nella definizione del proprio genere, Trover Saves the Universe rispetta maggiormente i canoni, sedendosi comodamente all’intersezione fra platform, action e puzzle game: se la prima è più un insaporitore del caotico piatto, sono le ultime due a caratterizzare maggiormente l’identità del titolo di Squanch Games, con la parte action maggiormente in primo piano rispetto agli sporadici e semplicissimi enigmi che vi si pareranno davanti.
La varietà dei nemici è buona, tanto che, dopo qualche scontro con i minion di base, vi troverete a dover raggirare giganti nemici tank mentre evitate i proiettili esplosivi di cecchini sulla distanza, il tutto cercando qualcosa da lanciare addosso all’armatura di quell’uccello arrabbiato che vi sta correndo incontro. Non aspettatevi chissà quale profondità nella suddivisione in classi dei nemici, una leggerezza che nuovamente non stona ma riafferma lo status quo “caciarone” del titolo.
Non esistono vere e proprie boss battle, però sono diverse le situazioni in cui ci troveremo “bloccati” in una sezione, con tutti i portali di teletrasporto disattivati e braccati dagli avversari; per superare queste zone, l’unica via è l’uccisione di tutti i nemici a schermo, morte da somministrare grazie a quella pseudo-spada laser di cui è provvisto Trover. La libertà “ai domiciliari” offerta dalla poltrona fluttuante del Chairopian fornisce un’ulteriore occasione per far rientrare il protagonista in una sorta di ruolo da “Deus Ex Machina”, un “supervisore” che è sempre capace di salvare la situazione all’ultimo momento, o che almeno ha i mezzi per farlo.
Grazie a uno dei primi potenziamenti che potrete attivare, vi troverete a dover slittare da rasoterra a 10-15 metri in verticale e poi di nuovo verso terra per tenere sotto controllo tutti i nemici e cercare di non far morire Trover nel mentre: il level design in questo si dimostra davvero ben concepito, realizzato rispettando la sorta di ampia linearità che già ha avuto come suo ultimo massimo esponente God of War e il suo Lago dei Nove.
Anche grazie a questa multi-dimensionalità la ricerca dei collezionabili non risulta mai tediosa, e metterà alle prove le vostre diottrie, alla ricerca di quella macchiolina verde fluttuante nascosta nel paesaggio o magari all’interno di quell’anfratto semi-invisibile o perché no, in fondo a quell’area segreta che avete appena scoperto per caso.
Sia chiaro, Trover Saves the Universe è un titolo pensato assolutamente per il VR, verità conclamata anche dalla presenza di una sorta di meccanica di risposta alle domande che i vari personaggi potranno porvi nel corso dell’avventura: mentre un gioco diverso avrebbe relegato la risposta ad un tasto, qui il VR ci permette di eseguire uno dei gesti più quotidiani di sempre, quel cenno di assenso o dissenso con la testa che è capace di sostituire un breve dialogo anche meglio di tanti altri meccanismi paraverbali. Chiaramente non aspettatevi chissà quali conseguenze a un vostro “no” piuttosto che a un “sì”, ma è l’ennesima mini-feature curiosa in un gioco incredibilmente tale.
Non temete, però, perché Trover Saves the Universe potrà essere giocato anche al di fuori del VR: mentre in realtà virtuale il nostro movimento rotatorio sulla sedia rispetta intervalli di 90° (quindi a ogni colpo sul direzionale ci muoveremmo di 1/4 di circonferenza a destra o sinistra), senza Playstation VR il movimento rotatorio è completamente libero, a 360°. Sì, un altro meccanismo dai minimi effetti sul gioco ma che restituisce nuovamente il quadro di un titolo ben ideato, e non “buttato lì” come forse verrebbe da pensare di primo acchito.
In un titolo così geniale nella sua follia e squilibrato nella sua genialità, colpisce (ma senza ferire troppo gravemente) il comparto musicale e il doppiaggio: mentre la prima riesce difficilmente a crearsi uno spazio vitale nel mezzo della fin troppo prolifica mole di dialogo, è il secondo a stancare più velocemente.
Sebbene i dialoghi siano scritti con quell’acidità e quel mordente che sono ormai marchio di fabbrica di Roiland, il fatto che questi siano doppiati praticamente da solo un paio di voci diventa molto stagnante, molto presto; metteteci poi dentro che il 90% dei personaggi è doppiato da Roiland stesso, e potete iniziare a capire il sottile disagio.
Tolto questo piccolo strafalcione, Trover Saves the Universe rimane comunque un titolo molto valido; facilmente scorporabile, a necessità, dalla sua non vincolante natura VR, ha pochi livelli ma tutti molto originali, una storia piena di assurdità e alcune meccaniche di gameplay davvero rinfrescanti nella loro intrinseca spontaneità. Sono molti i titoli che pretendono o mirano a essere il caviale del supermercato videoludico, e pochi ci riescono; seguendo questa metafora, Trover Saves the Universe è e non vuol essere altro che la più buona delle pizze surgelate, geniale nella categoria che ha deciso di ritagliarsi, senza pretesa di esser nulla più che l’ultimo fra i primi.
Pro
- la storia è folle e diverte
- il level design è ben studiato e realizzato
- i dialoghi sono puro vetriolo
- lo stile grafico è unico nel suo genere
Contro
- la musica non ha spazio per esprimersi
- il doppiaggio è ripetitivo a causa delle poche voci usate