TLoH Trails through Daybreak RECENSIONE | Il GOTY… 2021

Recensito su PlayStation 5

Se non conoscete The Legend of Heroes: Trails through Daybreak, potreste aver cliccato questa recensione con un pizzico di confusione. Perchè, pur essendo pubblicato il 27/06/2024, l’articolo porta fiero il titolo “miglior JRPG del 2021”? Beh, il motivo è semplice, sto aspettando da tre anni di poterne parlare!

Tre anni fa, dopo aver visto i titoli di coda di questo capolavoro targato Nihon Falcom, ero convinto di aver trovato uno dei miei giochi preferiti. Rigiocando oggi la release occidentale di NIS America, posso confermare quei miei stessi sentimenti.

The Legend of Heroes: Trails through Daybreak non è un JRPG perfetto per tutti, è un JRPG (quasi) perfetto per me.

Per chi non conoscesse la serie The Legend of Heroes, vorrei iniziare con un introduzione generale, necessaria per comprendere alcuni degli elementi che rendono Daybreak tanto speciale. Si tratta essenzialmente di JRPG a turni, con uscita bi-annuale, ambientati all’interno dello stesso mondo.

Il franchise è diviso in diverse sotto-serie, chiamate Trails in the Sky, Trails to Zero e Azure, Trails of Cold Steel ed infine Trails through Daybreak. Tutte hanno luogo nel continente di Zemuria e ne espandono la storia, anno dopo anno. Tuttavia ad ogni sotto-serie corrisponde un diverso gruppo di protagonisti e una diversa nazione da esplorare.

Daybreak funge come una specie di reset per la narrazione in quanto è il primo gioco a non ambientarsi nella parte ovest di Zemuria ed anche il primo successivo alla grossa crisi a cui conducono tutti i titoli precedenti.

Questo significa che Nihon Falcom ha un’occasione per disfarsi di alcuni difetti di scrittura che stavano cominciando ad essere molto fastidiosi verso la seconda parte della saga Cold Steel. Ha anche la possibilità di proporre un titolo che possa interessare sia i fan di lunga data che dei nuovi giocatori, specie grazie al nuovo gradevole motore grafico.

Sul primo punto, son felicissimo di dire che è stato svolto un ottimo lavoro. Trails through Daybreak è una vera e propria ventata d’aria fresca, con un ritorno a situazioni dalla moralità più questionabile e realistica rispetto alla deriva fantasy degli ultimi capitol (oltre che ad un ritorno dei personaggi femminili scritti bene pur non essendo interessi romantici).

Sul secondo, sono personalmente soddisfattissimo. Le avventure degli Spriggan avranno sicuramente un seguito (già uscito in madrepatria) ma già questo primo gioco regala un’esperienza completa e sostanziosa, che soddisfa con un finale che può funzionare come conclusione dello sviluppo di Van Arkride.

Sull’approcciabilità del gioco per nuovi arrivati invece… non riesco a tirare una linea netta. Penso che Nihon Falcom abbia fatto un lavorone per rendere il gioco godibile da chiunque, tuttavia non mancano momenti nei quali l’ignoranza degli eventi passati può confondere.

Action o Turn-Based?

Uno dei problemi della serie stava diventando il gameplay. Dopo 15 anni il sistema di combattimento era diventato talmente contorto da risultare troppo facile da “rompere”. Daybreak affronta questa problematica riportando dei sistemi più semplici ma introducendo un’importantissima novità.

Il combattimento è duplice, uno action e uno turni. Si potrà infatti cambiare tra i due in quasi qualsiasi momento. Generalmente il flusso di gioco ti impone di iniziare con una battaglia action, stordire il nemico e poi passare ai turni per finire la battaglia.

Quest’ultimo passaggio non è necessario se non lo si vuole intraprendere. Ogni battaglia che non sia un boss che affrontabile solamente in action. Questa è un’ottima idea, la quale Atlus sta già “copiando” con Metaphor. Il risultato è un sistema di gioco molto rapido nel quale non si vuole evitare alcun nemico ed è difficile finire sottolivellati.

I boss invece sono solamente a turni e si basano su una versione più curata del classico combat system della serie, strutturato attorno al posizionamento dei personaggi. Il nuovo HUD è molto intuitivo, le animazioni veloci e la presentazione gradevole e ciò risulta nel primo Trails in cui non sento il bisogno di accelerare le animazioni con la modalità High-Speed.

Forte personalizzazione ma più equilibrio.

Come ogni gioco precedente, Daybreak presenta una personalizzazione dei personaggi molto complessa. Usa un sistema simile alle materie dell’originale Final Fantasy VII ma ha anche equipaggiamenti in grado di cambiare le skill dei personaggi, dei “Core” equipaggiabili che funzionano da classi e molto altro.

Pur essendo un primo capitolo di una saga che si amplierà con almeno altri due giochi, Trails through Daybreak offre già molto in quanto a skill apprendibili, personaggi utilizzabili e anche livello raggiunto, ben più alto del classico 40 a cui si finiscono i primi capitoli delle altre saghe Trails.

Si tratta anche del “primo Trails” più longevo. Fortunatamente non è una longevità fine a sè stessa, con tanto filler. Quasi tutto il contenuto del gioco è importante e ben curato e ciò si dimostra anche nei personaggi utilizzabili.

Il party ha 8 personaggi principali e degli ospiti che entrano ed escono dalla formazione in base al momento. Si tratta di un graditissimo “downgrade” rispetto ai 40+ personaggi di Reverie. Il numero più ridotto permette di caratterizzare meglio l’intero cast, non solo come scrittura ma anche al livello del gameplay stesso.

La solita cura per il mondo e una ritrovata cura per i personaggi

Una cosa in cui The Legend of Heroes ha sempre eccelso è il worldbuilding. Non solo per la coerenza e la costruzione del mondo in sé ma soprattutto per la quantità di dialoghi unici dati a tutti i personaggi presenti nelle mappe di gioco. 

Si ha sempre l’impressione che il mondo sia vivo, che si muova al di fuori della storia che coinvolge i protagonisti. Daybreak è un’eccellenza anche all’interno della serie, con la città di Edith che presenta tantissime piccole storie e molto carattere. 

Le secondarie vanno a loro volta ad approfondire sia le ambientazioni che coloro che le abitano, dando inoltre un’atmosfera unica all’avventura di Van, grazie al suo camminare sulla linea grigia della moralità.

Non deludono nemmeno i personaggi principali, così come quelli secondari. Sono tutti scritti molto bene, ognuno ha il proprio ruolo e son tutti valorizzati da Van Arkride. Il nostro protagonista infatti è una persona che riesce a far brillare tutti coloro che gli girano attorno.

La storia non è “Van-centrica”, a differenza di quanto accaduto nell’arco Cold Steel con Rean, eppure la presenza scenica dello Spriggan è impressionante. In breve, è una gioia da avere a schermo in qualsiasi momento ed è interessante scoprire cosa nasconda, in quanto viene sempre messo in evidenza la maschera dietro alla quale si nasconde.

Vorrei parlare di ognuno dei personaggi principali, così come dei secondari più rilevanti come Renè, Bermotti, Elaine, Shizuna… ma uscirebbe una recensione di 10000 parole di sproloquio. Il punto è che non ricordo un altro cast tanto forte in un videogioco che non sia una visual novel o un titolo dalla narrazione decennale come Final Fantasy XIV.

Anche senza la conoscenza del passato della serie, ciò che riesce a offrire a livello di scrittura Trails through Daybreak è impressionante.

Saper soddisfare il presente e costruire il futuro

La storia in sé è a sua volta molto solida. Utilizza la solita struttura di Nihon Falcom; si divide in lunghi capitoli che rappresentano interi archi narrativi a sè stanti, collegati da un filo conduttore che poi sfocia nel capitolo conclusivo. Ogni capitolo è dedicato ad un personaggio e una location diversa.

Il ritmo narrativo è una montagna russa nella quale la salita è rappresentata dalle sezioni di esplorazione di Edith e dall’introduzione alla nuova città di turno mentre l’esilarante discesa è data dai dungeon più lineari piazzati quando la libertà esplorativa viene limitata.

Si tratta di una struttura che rischia di essere ripetitiva, cosa che si è vista in alcuni capitoli passati. In un certo senso, la ripetitività si sente anche in Daybreak, tuttavia c’è stato un lavoro intelligente di differenziazione dei vari climax narrativi. 

Sebbene strutturalmente si capisce bene cosa aspettarsi da ogni arco narrativo, gli archi stessi sono abbastanza diversi da ovviare al lato debole della struttura, mantenendone intatti invece i punti di forza (che consistono in un ritmo di scrittura solido e un esilarante rilascio di tensione sui finali di capitoli, quasi alla stregua di un finale vero e proprio).

Il cast ridotto rispetto a Reverie e Cold Steel permette inoltre di avere dialoghi meglio scritti rispetto agli ultimi anni di pubblicazione. Ogni tanto si rivedono alcuni brutti vizi di Falcom, tipo dialoghi superflui di personaggi poco coinvolti negli eventi o una gestione limitante delle possibili “romance” con il protagonista.

Tuttavia anche qua si vede l’intenzione di evolversi e migliorare. I dialoghi superflui sono molti meno e il party è molto più attivamente coinvolto in ogni evento, invece i personaggi femminili attorno a Van risultano molto meno “waifu-bait” grazie al fatto che quest’ultimo ha già un’interesse romantico canonico.

Il rapporto tra lui e la co-protagonista Agnès è molto carino, almeno in questo primo gioco. Più affine ad un rapporto fratello maggiore/sorella minore o ad un rapporto mentore/allieva, piuttosto che ad uno pregno di tensione romantica. Cosa che, dopo ben 7 capitoli che quasi tendevano all’Harem in stile Persona di Hashino, ho apprezzato tanto.

Un deciso passo in avanti tecnico

Sul lato tecnico ci sono luci ed ombre. Il principale pregio è quello del colpo d’occhio, specie sui modelli dei personaggi. Nihon Falcom ha datto passi da gigante in quanto a presentazione, tanto che ho preferito Trails through Daybreak a Shin Megami Tensi Vengeance, a livello grafico (per fare un esempio di un altro gioco di cui troverete mia recensione a breve).

Sembra una cosa da poco, ma è probabilmente la prima volta che posso dire che un gioco Falcom è effettivamente gradevole alla vista. Le animazioni sono ancora molto limitate, al di fuori di alcune specifiche cutscene molto ben realizzate, ma fanno il loro.

Quasi mi sembra strano da dire, ma rispetto ad Atlus (rivale più affine a Falcom, per quanto decisamente di più grande successo), il divario si è quasi annullato. Ovviamente Metaphor riaprirà il varco tra le due compagnie, tuttavia considerando l’originale rilascio di Daybreak, mi rende felice vedere i progressi di questo ben più piccolo studio.

Sfortunatamente, anche su Playstation 5, c’è qualche problemino tecnico che fatico a spiegarmi. Le mappe non sono enormi, nè tantomeno dettagliatissimo, però ho avuto qualche calo di frame qua e là. Nulla di grave, ma è comunque qualcosa da segnalare.

Le musiche invece sono la solita eccellenza. Non parliamo della miglior colonna sonora della serie, quella è ancora Trails to Azure, ma è solidissima e ha delle traccie assolutamente incredibili, specie verso le sezioni di gioco finali con Unmitigated Evil e Make a Breakthrough! che si guadagnano un posto tra le mie preferite della serie.

The Legend of Heroes: Trails through Daybreak è un JRPG eccezionale con pochi difetti a trattenerlo. Il sistema di combattimento action può essere (e sarà) ampliato, le animazioni possono essere (e saranno) migliorate e la storia ha inevitabilmente delle sfaccettature che sfuggiranno a chi vorrebbe iniziare da qui. 

Tuttavia è uno dei miglior JRPG della generazione, nonché l’esperienza più completa che la saga The Legend of Heroes può offrire. Se vi interessa, dategli un’occasione, iniziate da qui, perderete qualche dettaglio ma verrete colpiti da ciò che la storia ha da dire e da uno dei più bei protagonisti dai tempi dell’epoca d’oro del genere.

9.5
The Legend of Heroes Trails to Daybreak è il mio GOTY 2021 e rigiocarlo mi ha confermato il mio amore.

Pro

  • Cast perfetto
  • Sistema di combattimento interessante
  • Equilibrio di gioco ben calibrato
  • Ottima musica
  • Storia appassionante
  • Van è uno dei migliori protagonisti in un JRPG
  • Apparato grafico modernizzato...

Contro

  • ...Ma ancora legnosetto
  • Qualche problema di performance
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