Torchlight II – Recensione Torchlight II
Quando si parla di hack’n’slash, il primo gioco che viene in mente è sicuramente Diablo. Un genere "semplice", in cui il vero scopo non è altro che uccidere mostri all’infinito con lo scopo di salire di livello ed ottenere equipaggiamento sempre più potente. Ciononostante, a molti di essi manca l’appeal necessario per spingere il giocatore a ripetere le stesse azioni senza venire rapidamente alla noia. Pertanto, chi meglio di alcuni ex-sviluppatori del pilastro di Blizzard poteva creare un "clone" tanto ben riuscito come Torchlight, sufficientemente di successo da permetterci oggi di provare il suo seguito?
Secondo atto
Con una palese citazione di Diablo II, Torchlight II riprende poco dopo la fine del primo, mostrando il vecchio eroe intento a seminare distruzione per il mondo appena salvato, a causa della corruzione dell’Ember, il minerale in grado di infondere magia in oggetti ed esseri viventi, parte integrante del background. Una trama pretestuosa a cui difficilmente si presta attenzione, adatta giusto a dare un senso all’atmosfera fantasy con qualche vago ritocco steampunk, il cui stile grafico non è cambiato e mantiene un sentore di Blizzard, a riprova del passato di chi produce questo gioco.
Dimenticata ogni possibilità di riciclare il vecchio eroe ci si accinge a crearne uno ex-novo, questa volta tra quattro classi: Embermage, Outlander, Engineer e Berserker. Se lo scarso numero di classi, già criticato nel primo, può far sorgere qualche dubbio su varietà e rigiocabilità, possiamo rassicurare sin da ora che nessuno dei due fattori viene a mancare: l’albero delle abilità è stato ampliato e rivisitato, e come prima novità non è più necessario seguire una crescita forzata sviluppando interi rami per arrivare alle abilità che più interessano, che dunque ora hanno come unico pre-requisito, il raggiungimento di un dato livello di esperienza. Può sembrare sottile, ma all’atto pratico questo vuol dire non essere forzati a sprecare punti in abilità transitorie e poter creare build molto elaborate, garantendo la varietà tanto voluta riducendo il rischio di trovare cloni di se stessi online. Sì, online: annunciato a gonfie vele, fa finalmente il suo ingresso il multiplayer, che esamineremo meglio successivamente.
Eroi erranti
La giocabilità segue la tradizione del genere, ove il pretesto narrativo porta a girare per il mondo aiutando ogni personaggio che richieda l’aiuto dell’eroe in cambio di una ricompensa, e che si tratti di continuare la trama o completare qualche incarico secondario, le missioni consistono sempre e comunque nel raggiungere il fondo di qualche dungeon, decimare tutti i nemici che si incontrano nel mezzo ed uccidere un boss, che puntualmente lascia cadere oggetti più potenti di quelli promessi da chi ha affidato l’incarico. Il combattimento avviene come ci si attende da ogni titolo analogo, senza reali innovazioni rispetto al genere, ma godendo comunque di una elevata immediatezza. Quest’ultima, oltre che nella semplicità dell’interfaccia (ancora più intuitiva e pulita del predecessore), è constatabile in vari elementi che rendono la fruibilità molto più snella della media, come ad esempio i companion animali, già presenti nel prequel, di supporto in combattimento e utili porta pacchi che all’occorrenza possono anche essere spediti in città a fare acquisti, ma soprattutto nella velocità con cui si sale di livello senza dover ripetere interminabili sessioni di grinding. Quest’ultimo è così veloce che non sussiste la necessità che i mob rinascano nelle aree (generate casualmente, è bene ricordarlo) che avete già visitato, e generalmente queste sono abbastanza ampie e popolate da non rendere assolutamente necessario cercare escamotage per poter ripetere parti di gioco.