Tom Clancy’s Splinter Cell: Conviction – Recensione Tom Clancy’s Splinter Cell: Conviction
La cellula fantasma
La cellula. Unità fondamentale di tutti gli organismi, forse organismo vivente, forse organismo vivacchiante. Sferica se acquosa, piatta se stratificata sulla pelle. Alcuni ne hanno più di una, altri se ne fanno bastare un’unica.
Il fantasma. Inconsistente forma leggendaria di residuo vitale. Invisibile agli occhi, non alle orecchie. Pericoloso, imprevedibile, inarrestabile, immortale.
La cellula fantasma. L’unione del fondamentale e del leggendario. Invisibile, vivente, capace di adattarsi a qualsiasi ambiente, purché buio. La più grande contraddizione organica: la più spettacolare unione letale. Sam Fisher. L’agente segreto più pericoloso di sempre: silenzioso, agile, abile, addestrato alla guerra, carico di sentimenti validi, inarrestabile.
E l’uccider m’è dolce in questa terra
La storia riprende quello che avevamo visto alla fine di Double Agent: la figlia di Sam Fisher, Sara, è stata investita da un ubriaco e uccisa sotto gli occhi del padre che da allora ha perso il suo unico motivo di vita e la voglia di andare avanti. Il filmato iniziale di Splinter Cell Conviction si apre con un’introspezione di ciò che rimane della vita di Fisher: nulla. Costretto ad uccidere il suo migliore amico in uno scantinato, costretto a vedere la figlia morire, costretto a rispettare ordini controvoglia dall’agenzia che l’aveva addestrato e formato. Tradito, abbandonato, si nasconde a Malta dove però non potrà sfuggire al suo destino. La morte di sua figlia non è stato un caso: c’è qualcuno dietro l’omicidio, e ha organizzato qualcosa di più grande di un semplice incidente. Sam Fisher dovrà tornare in pista e arrivare a chi ha organizzato il piano, perché forse per Sara c’è ancora speranza.
Un plot degno dei migliori romanzi di Tom Clancy, ancora una volta incentrato al meglio nell’ambiente sociopolitico che ritroverà l’agente Fisher invischiato non solo in una semplice lotta per sé stesso ma anche in qualcosa di più grande: la sua stessa federazione è venuta meno, gli è andata contro e ora Sam non è altro che un nemico pubblico, un avversario pericoloso per i suoi stessi concittadini. Dilaniato dalla perdita della figlia, messo alla sbarra come un criminale dai suoi maestri, Fisher dovrà muoversi nell’ombra, come un fantasma, uccidendo nell’ombra, interrogando i propri nemici, estirpando verità, conoscendo realtà, sapendo assurdità, soffrendo per i vari flashback che ogni tanto lo colpiranno.
La storia è narrata magistralmente come un intero grande flashback, tutto portato avanti da uno di famiglia, Victor Coste, l’unica persona di cui Sam imparerà a fidarsi. Tra sotterfugi, meschinità, imbrogli, bugie, contraffazioni, Fisher anche stavolta dovrà salvare il mondo, oltre al suo piccolo cantuccio d’orto che conserva quella tomba che recita Sarah Fisher.
Questo è l’epilogo di Sam Fisher, questa è l’ultima sua avventura. Il fantasma fa la sua ultima apparizione, e la fa con gran classe.
Third Echelion l’ha fatto: Third Echelion l’ha distrutto
Sam Fisher è nettamente cambiato e lo noteremo nelle prime battute: oltre alla vetustà mostrata nel suo volto, non si accompagna più col classico visore notturno che lo fece famoso nei primissimi capitoli e spesso predilige la camminata semplice senza alcuna arma: infiltrazione pura e, se necessario, combattimento a mani nude. Fisher però conserva il suo charme, la sua capacità di fantasma: si nasconde perfettamente nel buio, colpisce alle spalle come il peggior fantasma di sempre.
Ma lasciando i romanzi al loro posto e passando alla sostanza, cerchiamo ora di capire cosa Splinter Cell Conviction offre al giocatore che gli si avvicina e vi si appropinqua.
Nella speranza che siano ben pochi i coraggiosi che tenteranno di acquistare l’ultimo capitolo di Splinter Cell senza aver minimamente assaporato la gioia dei primi capitoli, l’impatto con Conviction non spaventerà nessun esperto delle avventure di Fisher. Nelle prime battute, infatti, saranno ben pochi i tutorial che ci accompagnano: il primo riguarderà il riparo dietro qualsiasi oggetto, muro o accostamento che raggiunga l’altezza da accovacciato di Fisher. Il nostro alter ego dimostrerà, com’è giusto che sia per un fantasma, una naturale propensione al nascondiglio e, posto questo come obiettivo, vi ci si potrà fiondare immediatamente con una capriola, una scivolata o semplicemente una camminata chinata, attivabile anche tramite il pulsante LB; per l’accovacciamento dietro un nascondiglio, invece, il tasto da usare sarà il dorsale LT, che offrirà inoltre interessanti azioni. L’ambiente, soprattutto nelle situazioni più complesse di infiltrazione, è favorevole alla nostra protesi digitale e il restare accovacciato dietro qualche luogo predisposto permette molte altre azioni, come lo sparare affiacciandosi da un lato dell’appostamento o spostarsi, con una combinazione molto intuitiva, rapidamente al prossimo nascondiglio, segnalato dal sistema con una freccia rasoterra.
L’altro tutorial, introdotto tramite un flashback, la quale situazione sarà valutata tra non molto, riguarda il sistema di marcatura. Per avvalersi di questa funzione, molto utile e dai livelli cinematografici molto elevati, è richiesto un punto, non cumulabile, che si ottiene uccidendo un avversario nel corpo a corpo, preferibilmente dalle spalle e nel buio, considerando che sarebbe un suicidio affrontare a mani nude un avversario per Sam Fisher: solo un supereroe resisterebbe ad una scarica di proiettili in petto, ed essendo noi in una realtà più che realistica, priva di sopravvivenza estrema, non abbiamo alieni da mettere in campo. Una volta ottenuto il nostro punto valevole per la marcatura basterà per l’appunto marcare, tramite il tasto LB, gli avversari che vorremo colpire: in un primo momento potremo marcarne solo due, ma andando avanti, acquistando potenziamenti, potremo arrivare anche al numero di quattro. Comparirà quindi sulla loro testa un puntatore che qualora fosse rosso ci fa intuire che possiamo colpirlo, se invece grigio ci suggerisce che da quella posizione non riusciremmo a centrarlo, perché magari nascosto o troppo lontano: dopotutto Fisher non ha di certo un mirino puntato negli occhi, tantomeno oggetti sofisticati come quelli che gli fornirono nelle sue prime esperienze di spionaggio. Una volta contenti e paghi della nostra marcatura, con la pressione del tasto Y potremo avviare la scarica di proiettili, pochi, precisi e silenziosi, verso la testa dei nostri avversari: il colpo è infallibile e per noi indolore, dato che nessuno ci noterà e nessuno ci torcerà capello. Ottimo per risolvere situazioni pericolose o per sgomberare corridoi poco facili da superare.
Restando nell’ambito dello sgombero ricordiamo anche che, come già detto poc’anzi, l’ambiente è nostro amico e Sam Fisher potrà usufruire di tutto ciò che, appeso malamente al soffitto, può essere lasciato cadere sulla testa dei malcapitati: anche se le occasioni saranno rare, sarà comunque piacevole attirare determinati nemici in un determinato punto, magari utilizzando una microspia che rumoreggia, e lasciare cadere sulla loro testa un lampadario appeso al soffitto: fracasso, diversi nemici messi al tappeto e altri avversari incuriositi, saranno i nostri risultati.
Dedichiamo qualche parola anche all’armamento che Fisher porterà con sé in questa avventura: partendo dal presupposto che spesso se ne priverà o che altre volte sarà inutilizzabile perché non dovremo assolutamente fare rumore, avremo un limite di due armi e tutti i gadget che riusciamo a portare con noi. Nella seconda metà dell’avventura, quando avremo intuito che l’intero paese ci è contro e che la nostra intera vita è stata una bugia architettata da chi ritenevamo amici solo per spronarci a continuare nella nostra poco decorosa attività, verremo equipaggiati con un interessante zainetto: questo non solo contiene un sistema di EMP, stordimento di oggetti elettronici e di conseguenza anche di radar e torce dei nostri avversari, che in questa sessione di gioco saranno nuovi Splinter Cell, ma ci permette di portare con noi quante più cose possibili. Granate, flashbang, mine di posizionamento, microspie, sono tutte cose che non peseranno nel nostro arsenale. Per quanto riguarda le armi invece avremo a disposizione una pistola, sulla base dei 9mm, e un fucile, che può essere d’assalto, a mitraglia o addirittura a doppietta: tutte le armi sono ovviamente potenziabili, tramite un’armeria, che troveremo posizionata all’inizio del capitolo nella macchina che ci accompagna da un luogo all’altro, altrimenti disseminata nel mezzo del nostro luogo d’inflitrazione. Potremo aumentarne la potenza, la precisione, ma anche il numero di avversari che potremo marcare. Ogni arma ha un massimo di tre potenziamenti e una volta acquistati questi non avremo modo di potenziarle oltre: potremmo quasi avanzare una lamentela per questa scarsa possibilità di miglioria ma dopotutto Fisher non è un armaiolo ma semplicemente una cellula fantasma.
Come potenziare tali armi? Le armi si potenziano tramite dei punti che andremo a guadagnare nella nostra avventura: i punti possono essere accumulati tramite uccisioni in maniera particolare o portando a termine delle sfide. Queste saranno intrinseche alle nostre scorribande e spesso si sbloccheranno facendo normali azioni di gioco, altre volte invece dovremo stare attenti a soddisfare alcune condizioni. Per visualizzare le sfide che ci verranno proposte basterà mettere in pausa il gioco e selezionare la voce prestabilita: troveremo tre gruppi a dividere le nostre missioni, a seconda della loro natura, e accanto ad ognuna di essa la percentuale di completamento, essendo richieste più azioni per ognuna. Quelle completate verranno segnate in rosso e al loro completamento consegneranno un tot di punti. Possono andare dall’uccisione nell’ombra, oppure dallo sparire nel silenzio dalla vista degli avversari, o ancora compiere un’uccisione gettando qualche avversario nel vuoto.
Un’ultima cosa interessante che riguarda il posizionamento ambientale è rappresentato dalla nostra ombra, non intesa come ombra di luce ma bensì di ricordo degli avversari. Spiegando meglio, quando gli avversari noteranno la nostra presenza, il sistema registrerà la posizione in cui e dove siamo stati visti e lascerà un alone trasparente con bordi bianchi della nostra vecchia posizione, registrandola nella memoria dei nemici: questi si recheranno, o continueranno a sparare, in quella posizione, e se saremo bravi potremmo aggirarli e prenderli alle spalle; ovviamente qualora si avvicinassero all’alone della nostra immagine e dovessero notare che non c’è più nessuno torneranno a sezionare l’intera zona. Ne approfittiamo anche per valutare positivamente l’IA degli avversari che non risultano mai stupidi e che, soprattutto nelle ultime battute, quando avremo a che fare con nostri colleghi Splinter Cell, non si lasceranno mai sopraffare da eventuali scontri corpo a corpo.
Piccola critica invece va fatta al sistema di controllo, piccolezze evidenziabili anche nel sistema che Ubisoft aveva usato per Assassin’s Creed: Sam Fisher non ha tasti prestabiliti per correre, saltare o effettuare acrobazie ma solo un tasto azione, A, applicabile in determinate situazioni, come nell’aprire le porte, usare una lente per guardare sotto l’uscio, saltare su qualche inferriata o addirittura scalare finestre e tubi quasi alla Altair o alla Ezio Auditore. Però la pecca sta nel doversi avvicinare piuttosto precisamente all’obiettivo per far uscire il tasto azione selezionabile, magari perdendo qualche secondo a far comparire il pulsante al momento giusto. Infine citiamo l’interessante ritorno al passato nelle battute finali della storia dove Sam Fisher si equipaggia in maniera definitiva col visore notturno che gli permette di visualizzare non solo gli avversari disposti in giro attraverso le mura ma anche i vari antifurti che potrebbero mettere fine alla sua storia anzitempo: quindi il dover superare stanze riempite di laser diventa un’altra interessante sfida.
Inoltre da segnalare che durante l’avventura avremo modo di affrontare alcune situazioni di flashback, precedentemente nominati, che ci metteranno dinanzi a situazioni di storia antica per Sam: in un determinato punto saremo anche nei panni di un soldato, il giovane Victor Coste, narratore di Conviction, che dovrà salvare Fisher. Durante queste situazioni ci muoveremo come in un normale sparatutto, con un fucile d’assalto imbracciato, all’attacco dei nostri avversari. Questo ci permetterà anche di sopprimere la possibile noia che potremmo avere durante le fasi stealth e ci lascerà scorrere un po’ più di adrenalina nelle vene.
Insomma gameplay ad alti livelli, con spunti lontani dalla fantascienza e che riproducono alla grande la realtà: la Ubisoft dimostra di saper fare molto altro rispetto a salti, corse sui tetti e arrampicate sul complesso di Santa Maria Novella. Riesce ad analizzare la realtà e ad affrontare una problematica sociopolitica spinta da un’etica morale determinante, attorno alla quale riesce a creare un’avventura ad alti livelli. Tralasciando alcune situazioni di gioco davvero frustranti, anche a difficoltà normale, che potrebbero lasciarci andare a qualche ingiuria verso ignoti, Sam Fisher è riuscito a ritagliarsi un grande livello di giocabilità e renderà la sua storia davvero emozionante ed interessante.
Le catene del fantasma
Passando al lato tecnico notiamo che il lavoro di Ubisoft rispetto all’ultimo Splinter Cell, Double Agent del 2006, è molto migliorato, com’è giusto e ovvio che sia, e il sistema grafico è quello che aveva caratterizzato Assassin’s Creed 2: ambientazione sublime, dettaglio dei personaggi leggermente migliorabile. L’ambiente, come nell’azione, anche nella sua formazione è davvero amichevole e tutto si può distruggere e toccare: ovviamente noi a disposizione avremo una pistola o un fucile, quindi potremo distruggere solamente tutto ciò che è "a portata di proiettile". In altre situazioni, quando ad esempio dovremo interrogare alcuni soggetti predisposti, potremo sbatterli in qualsiasi punto rompendo tutto il rompibile: un esempio simpatico è uno dei primissimi interrogatori, prima dell’arresto di Fisher, dove avremo a disposizione una stanza con vetri e un pianoforte, e avremo la possibilità di sbattere il malcapitato più volte con la testa sulla tastiera provando a suonare una simpatica melodia. In altri casi potremo sbattere gli avversari contro alcuni abbellimenti della loro stanza e farli cadere a terra fracassandoli: insomma un’interattività davvero molto alta. Il dettaglio, come detto prima, invece, dei volti è alquanto approssimativo e il movimento delle labbra non sempre è in sincronia col doppiaggio.
Sul doppiaggio spendiamo poche parole per dire che la necessità di cambiare voce a Sam Fisher non è tra le più belle decisioni che si potessero prendere, ma per il resto possiamo lodare l’intera produzione che raggiunge livelli accettabili. Stessa cosa per il sonoro che deve solo riprendere i proiettili, il lamento dei vari avversari e soprattutto lo scoppiare delle granate o di altri rumori dell’ambiente. Una cosa che conviene sottolineare, e che supponiamo abbia costretto il PEGI a vedersi aumentare a +18, dal +16 originale, è l’immensa volgarità che troviamo nelle voci del parco nemici che affronta Fisher, che non avranno difficoltà a ingiuriarlo come si conviene ad una persona per la quale siete stati costretti ad imbracciare un fucile e rischiare la morte da un momento all’altro, a causa di un fantasma che vi spara in testa.
Emozionante, davvero, la colonna sonora, che se in moltissime parti viene nascosta da momenti di sparatorie e urla, nelle battute finali, concitate, ansiose, cariche di tensione, fa vedere, non sentire, tutto il suo fascino: l’orchestra intona meraviglie sonore che fanno venire quasi voglia di vedere Fisher danzare su quella melodia: e Sam danza, danza ogni volta che spara un proiettile, ogni volta che, marcati gli avversari, li colpisce uno ad uno, in un tripudio di suoni, in un capolavoro di alti e bassi, in un andante degno del miglior Mozart, in una cavalcata sognata da Wagner, in una fuga disegnata da Brahms. Kaveh Cohen sicuramente non verrà dimenticato così facilmente dai fan di Splinter Cell e, a mio parere, nemmeno da Ubisoft.
Giudice, giuria e boia
Sam Fisher è tutto ciò: giudice del suo destino, giuria della sua avventura, boia delle malefatte. Gameplay altisonante, ovviamente non per tutti, com’è giusto che sia; tecnicamente, soprattutto nel sonoro, un prodotto eccelso, graficamente un po’ meno; la trama è sicuramente è incontestabile: potremmo chiedere fino alla fine dei nostri giorni una trama del genere in un cliché dei J-RPG e state certi che, sia per la conformazione del genere, sia perché pare che ultimamente i nipponici abbiano difficoltà nei plot, non troverete nulla di simile. Raggiungendo quei canoni elevati che furono di Hideo Kojima con Metal Gear, Ubisoft offre una variante dello stealth fantapolitico che ci tiene impegnati per diverse ore, per un divertimento impari: finita l’avventura, non pensiate sia tutto terminato. Splinter Cell Conviction, tornando un attimo ad esaminare l’aspetto tecnico del tutto, è anche cooperativa, è anche online: numerose missioni, da affrontare online o in split screen. Le missioni vengono suddivise in diverse modalità, da quella Hunter all’infiltrazione, che vi permetterà di rivivere alcune situazioni già analizzate in single player e rilanciarle in compagnia, per un ulteriore divertimento.
Nei panni di Archel e Kestrel, quindi, le vostre missioni co-op vi mettono dinanzi alla situazione drastica del convivere col vostro compagno di avventura: la sua morte è la vostra morte. Inoltre, notando che entrambi i personaggi si muovono come Sam, avrete un ottimo sistema di collaborazione: se il vostro compagno marca qualche avversario ma non riesce ad avere l’angolazione giusta, sarete voi a premere il grilletto e stendere l’avversario. Presente anche la possibilità di curare il vostro compagno ed evitarne la morte, che significherebbe la fine della missione. La campagna online rappresenta, comunque, un prequel all’avventura in single player, dato che Archel e Kestrel ricompariranno in grande stile nell’avventura principale.
Torna presto, Sam.
Tirando le somme, in maniera ancora più definita rispetto al paragrafo precedente, Splinter Cell Conviction mostra differenze dai precedenti: Sam Fisher è diventato un killer definitivo e non è più il semplice fantasma dei primi momenti in cui, con visore notturno e tuta nera, si avviava a compiere le missioni per la Third Echelion. Gli eventi l’hanno cambiato, ora ha la rabbia dalla sua e i sentimenti l’hanno reso più cattivo, più crudele. Spara senza pietà, velocizza le sue azioni, raramente resta appostato a lungo attendendo che una guardia gli passi davanti, e difficilmente la lascia andare viva: dove passa Fisher non cresce più la vita. Lui è il boia di chi lo ha privato della figlia, di chi l’ha ingannato, di chi l’ha ingiustamente tradito.
Ora può imbracciare fucili d’assalto, partire alla carica ed effettuare sparatorie che mai avrebbe immaginato di fare: certo, con le dovute conseguenze di una morte quasi certa. Questo non è un Modern Warfare, ricordate, è pur sempre Splinter Cell: accovacciatevi, lanciate un oggetto per farvi sentire, aspettate che la guardia si avvicini, uccidetela sfruttando il corpo a corpo, tornate nel nascondiglio, marcate quattro avversari, lanciatevi al centro della stanza e sparate loro alla testa: scena sgombra. Il palcoscenico è tutto vuoto: è tutto per Sam Fisher.
In un finale che lascia l’amaro, in bocca esclusivamente, che fa trattenere il fiato e che fa desiderare, anelare, volere, sentire la necessità di un ritorno di Sam Fisher, anche solo per sapere cosa farà della sua vita ora che regge la morte nella sua mano destra, noi lanciamo un solo ultimo verbo: torna presto, Sam.