Tom Clancy’s Rainbow Six Vegas – Recensione Tom Clancy’s Rainbow Six Vegas
Tom Clancy, Tom Clancy, e ancora Tom Clancy.
Come diceva mia nonna “il prezzemolo sta bene dappertutto”, così Tom Clancy, fra libri, film, giochi per pc e console casalinghe, sembra essere davvero un provetto Tuttofare. Ma, non ancora soddisfatto della sua imprescindibile onnipresenza, ultimamente ce lo stiamo ritrovando anche sui piccoli schermi riflettenti delle nostre console portatili.
La serie di Rainbow Six, partorita dalla sua fertile mente (e dalla sua approfondita conoscenza personale del mondo militare), non ha davvero bisogno di presentazioni, in quanto si tratta di una delle saghe FPS più famose nel mondo videoludico.
L’idea di trasportare un gioco come questo su un hardware come quello della Playstation Portable è in effetti degna di grande rispetto e ammirazione. Anche le meccaniche di gioco sono molto difficilmente trasferibili su un simile sistema di controllo, quindi tanto di cappello per l’impresa.
In questo capitolo, il primo su PSP, impersonerete alternativamente i due agenti Armstrong e Rivers, impegnati questa volta in una missione che li riguarderà particolarmente da vicino.
Questa volta la squadra Rainbow pensa più a se stessa che al prossimo…
La trama di questo episodio della serie si differenzia un po’ dai suoi predecessori (pubblicati su PC, Playstation, e quant’altro), che normalmente vedono i vari componenti della squadra impegnati in azioni anti-terroristiche a livello planetario.
Questa volta la situazione sarà leggermente diversa.
In un futuro molto vicino (2010), una cellula terroristica attacca uno dei tanti casinò situati a Las Vegas. Nel momento in cui due membri del Team Rainbow vengono rapiti, il superiore Brian Armstrong e il suo aiutante Shawn Rivers saranno costretti ad intervenire in loro aiuto. Così, il team che generalmente si occupa eroicamente di proteggere i cittadini innocenti dai pericoli del terrorismo, questa volta si ritrova in azione negli interessi dei suoi stessi membri…
Che si tratti di una fase egoistica ?
Un motore grafico troppo scialbo e pesante.
Le textures che costituiscono questo gioco sono quanto di più piatto la PSP abbia mai visto.
Se poi a dei modelli 3D esageratamente squadrati aggiungete un frame rate saltellante, capace di calare dai 25 FPS fino ai 10 nel giro di un attimo, il risultato non sarà ovviamente dei più eccelsi.
Ora io non dico di pretendere il Frame Rate Fisso, ma diciamo che su console gradirei non scendere MAI sotto i 25 fotogrammi al secondo. Non stiamo parlando di un pc, quindi in fase di sviluppo i programmatori sapevano benissimo su quale hardware avrebbe dovuto girare il loro gioco, e avevano di conseguenza tutte le possibilità di ottimizzare il loro software, avendo uno standard console come piattaforma predefinita. Detto questo non riesco a mandar giù, quindi, quest’ultima “moda” di veder scattare i giochi anche sulle nostre Xbox, Playstation, e adesso pure sulle PSP…e poi parliamoci chiaro: su questa piattaforma abbiamo visto grafiche nettamente migliori girare a livelli di fluidità assolutamente più soddisfacenti.
L’unica cosa decente sono i filmati di intermezzo, che credo siano stati realizzati con l’ Unreal Engine per poi esser stati abbassati di definizione fino ad entrare nel piccolo schermo della nostra console portatile preferita.
Il comparto audio, invece, risulta abbastanza pulito e realistico.
Secondo voi, in un FPS, è importante poter mirare senza problemi?
Non saprei, forse in un RTS o in un GDR il sistema di puntamento potrebbe anche permettersi qualche sbavatura, ma in un FPS decisamente no!
La situazione è questa: come in tutti gli shooter su PSP, ci si sposta nella mappa utilizzando la levetta analogica, mentre la mira (o lo “sguardo”, che dir si voglia) è affidato ai quattro tasti figura.
Tutto bene fin qui, se non fosse che il sistema risponde agli impulsi della mira in maniera esageratamente lenta, rendendo di fatto impossibile passare da un bersaglio all’altro nelle fasi più movimentate di gioco. Fasi che forse nei precedenti titoli della serie erano meno presenti, ma che in Vegas rappresentano il 50% del gioco.
Si, perché il caso vuole che il personaggio di Brian sia l’elemento più “caciarone” della squadra, quello che penetra velocemente nei covi del nemico armato di mitragliatore, e che spesso si ritrova dentro stanze piene di nemici da cui uscire vivo solo grazie ad azioni alla “Hard Boiled”; mentre Shawn ha il ruolo del cecchino, e quindi evita il contatto ravvicinato con le zone calde, tendendo a piazzarsi bello distante per ripulire poi con tutta calma la mappa a forza di mirino telescopico.
Potrete strisciare lungo le pareti, appostarvi dietro un angolo e sbirciare al di là di un muro, ed infine potrete osservare la stanza che si cela dietro una porta tramite una micro telecamera da infilare sotto l’uscio. Ma dimenticatevi assolutamente tutta l’interazione strategica fra i vari membri del gruppo, tipica dei precedenti capitoli.
I due personaggi si utilizzeranno alternativamente, in una missione userete uno, nella successiva comanderete l’altro. Ciò comporta che nelle fasi di gioco più “stealth” il giocatore non avrà grossi problemi a far fuori i nemici che gli si pareranno davanti, ma nelle fasi in cui userete Brian aka il “Rambo” della situazione, il problema sopra citato relativo alla lentezza del sistema di puntamento
vi comporterà non poche frustrazioni.
Occhio quindi alle crisi di nervi, ed evitate di cedere al noto “Lancio della Psp” che ha ormai sostituito il più famoso “Lancio del JoyPad” nella lista delle nuove discipline olimpiche…
In conclusione…
Le missioni proposte sono molto varie, e in numero tale da garantire una buona longevità di gioco, ma il sistema di controllo, per i motivi che abbiamo visto precedentemente, vi farà più volte passare la voglia di andare avanti.
Ammettendo però che, nonostante tutto, siate così bravi da riuscire a far strage di terroristi in tutta scioltezza, ci penseranno la grafica inguardabile, unita ad una scarsa fluidità, a farvi desistere dall’intrattenervi in lunghe sessioni di gioco.
In ogni caso, una volta completata la campagna principale, le missioni saranno tutte rigiocabili singolarmente, e si sbloccherà la modalità “Caccia ai terroristi”: una sorta di Arena che vedrà il giocatore intento a fraggare un numero di nemici che aumenta man mano esponenzialmente. C’è anche la versione MultiPlayer ad allungare il brodo, nelle versioni DeathMatch e TeamDM.
Visto il genere, ci saremmo aspettati anche una gustosa modalità cooperativa, cosa presente in tutti gli altri capitoli, e che in questa ennesima incarnazione guarda caso non c’è. Insomma, grandi aspettative, buonissime le intenzioni, ma con un comparto tecnico così poco curato non ci si può certo attendere un giudizio molto positivo, nonostante tutto il rispetto (comunque meritato) che si possa nutrire verso Ubisoft e verso lo stesso Tom Clancy.