Thymesia – Recensione
L’originalità è un elemento molto importante nell’impatto di un videogioco esterno al mercato tripla A. L’originalità è anche il punto dove Thymesia, nuovo soulslike di OverBorder Studio e Team17, pecca maggiormente. Il gioco è palesemente ispirato sia a Bloodborne sia a Sekiro ed è a causa di questo che tante reazioni sono state tiepide. Team17 non ha creato un’esperienza fresca, né puntato a dare un proprio spin alla formula soulslike, ma è nel focus su ciò che già funziona che il gioco brilla.
Se riuscirete ad andare oltre alle similitudini con i giochi che lo hanno ispirato, vi troverete tra le mani una piccola gemma limitata solo dalla breve durata e un’ispirazione estetica derivativa.
In Thymesia prenderemo il controllo di Corvus, misterioso protagonista muto che dovrà rivivere i propri ricordi scoprendo pian piano il motivo per cui il regno di Ermes è caduto in rovina. La narrativa è raccontata tramite documenti trovati qua e là e dettagli ambientali, come da tradizione del genere.
Pur non essendo memorabile, fa il suo e funge da buon contorno per la portata principale: il combattimento. Nonostante Thymesia possa sembrare un tentativo di copia-carbone di Bloodborne, in realtà condivide molto più con Sekiro, prendendo elementi di entrambi i giochi per modificare il feeling del secondo quanto basta per non sembrarne una mod. Ogni nemico ha due barre della vita, una bianca e una verde; per sconfiggerlo bisogna prima togliere quella bianca con attacchi leggeri o parate e poi quella verde con quelli pesanti. Nel caso si adotti un atteggiamento troppo passivo, la vita bianca si rigenera, promuovendo quindi molto l’aggressività.
La base è molto simile a quella vista in Sekiro – imparare i pattern nemici e pararne ogni colpo è essenziale – ma l’idea delle due barre introduce una variabile che cambia completamente le carte in tavola: per quanto perfetti si possa diventare nell’approccio difensivo, prima o poi si sarà costretti ad attaccare trovando le finestre migliori per uscirne integri. Questa idea è geniale per integrare un feeling di gioco molto più affine ai classici soulslike. Ecco quindi che la schivata diventa molto utile e interessante, dato che sostituendola al parry cambia completamente l’approccio allo scontro. Questo elemento di game design è molto intelligente ed è il motivo per cui non sono d’accordo con chi dice che il gioco soffre nell’essere eccessivamente derivativo.
Ove il combat system splende maggiormente è ovviamente nelle boss fight, piuttosto numerose considerando la ridottissima durata di gioco e anche abbastanza varie. La difficoltà è buona, senza raggiungere i livelli di Sekiro ma risultando comunque sopra la media dei “normali” soulslike, in quanto le meccaniche RPG sono molto limitate. In pratica, Thymesia non è un titolo estremamente complesso, ma i boss vanno “imparati”, non c’è Rivers of Blood o Machete del Demone Capra che possa scioglierli.
Le mappe sono lineari ma intricate, simili a quelle viste nei vecchi Souls di From o nella serie Nioh di Team Ninja. Con quest’ultima condivide anche la struttura a missioni, cosa che a mio parere limita molto l’esperienza. Dopo aver esplorato per la prima volta una macroarea torneremo all’hub principale, ove sarà possibile entrare in missioni secondarie. Queste sono spesso molto belle e portano a esplorare lati della mappa completamente originali. Sarebbe stato bello avere la possibilità di scoprire da soli le “zone segrete” e i boss opzionali. Avrebbe anche dato un senso di soddisfazione maggiore e reso l’esperienza più saziante. Purtroppo è stato deciso di usare un sistema di missioni secondarie per sfruttare al meglio il contenuto di gioco.
Altro difetto di Thymesia è la durata. Premetto che non ho nulla contro giochi corti, ciò che valuto non sono tanto le ore di gioco quanto soddisfatto del suo contenuto mi lascia un titolo alla sua conclusione. Nel caso di Thymesia sono riuscito a finire tutto ciò che ha da offrire in una prima run con circa dieci ore. Normalmente, per un action game non è male. Purtroppo, però, sento che il gioco non mi ha offerto abbastanza. Ci sono solo quattro biomi esplorabili, densi e intricati, ma non sufficienti a soddisfare appieno. Avrei voluto vedere di più di questo regno di Ermes.
Una nota sull’estetica. Thymesia ha un comparto artistico buono, niente di incredibile, ma ben curato e ben realizzato. Si poteva fare di più considerata anche la durata del gioco, non ricordo punti particolari degni di nota né a livello di dettaglio né a livello di idee. Sono in forte disaccordo con chi considera Thymesia troppo derivativo sotto il lato gameplay, tuttavia condivido appieno il fatto che non sembra avere una propria anima estetica. Una cosa che tanti soulslike purtroppo non riescono a portare è il livello di spettacolo e creatività visiva dei titoli From Software, integrale nel successo di Bloodborne e purtroppo mancante in Thymesia.
A livello musicale il discorso è molto simile: se i classici cori latini possono fare il proprio lavoro quando si cerca di copiare Dark Souls (il quale ha solitamente una OST solida ma con poca varietà), nel caso si voglia ricalcare l’atmosfera di Yarnham serve lasciare il segno con composizioni impattanti. Non è questo il caso, per quanto il tema principale e la boss fight di Urd riescano a essere abbastanza memorabili.
Thymesia non è un titolo originale, lo si capisce già dalle anteprime. Tuttavia fa bene ciò che vuole fare e la sua proposta di ibrido Sekiro/Bloodborne funziona molto bene nel gameplay. Solo per questo non posso che consigliarlo a chiunque apprezzi il genere, in particolare se fan di Sekiro. Detto ciò, la corta durata e la mancanza di un art direction di alto livello lo limitano molto. Una piccola gemma che magari avrebbe avuto bisogno di essere lucidata meglio.
Pro
- Gameplay reattivo e divertente
- Boss fight varie
Contro
- Piuttosto corto
- Esteticamente poco memorabile