The Way of Life: Definitive Edition – Recensione
A volte, rivestire il ruolo di critico videoludico, può essere doloroso: Questa è una di quelle volte. Scrivere la recensione di The Way of Life ci ha fatto male perché conosciamo gli sviluppatori (Cyber Coconut), conosciamo i loro sacrifici e la loro buona volontà, e soprattutto conosciamo il progetto sin dagli albori. La fonte del dolore? Il nostro impegno a essere onesti di fronte a voi lettori, per offrirvi un giudizio obbiettivo a prescindere da qualsiasi coinvolgimento personale in questo gioco creato da nostri connazionali.
In questa recensione vi spiegheremo perché The Way of Life, nonostante tutte le buone premesse, ha fallito nel convincerci.
Difficilmente definibile videogioco in senso stretto, The Way of Life permette di “vivere” storie di vita attraverso gli occhi di un bambino, di un adulto o di un anziano. Le storie sono indipendenti fra di loro: non c’è un filo conduttore, solo una trascurabile metastoria che giustifica la presenza del giocatore all’interno dell’ hub che conduce all’interno delle varie esperienze (10 in totale, 30 se si moltiplica per i personaggi).
Queste esperienze coprono vari aspetti della vita, come l’amore, la guerra, l’intrattenimento e altro ancora, e attraverso le scelte del giocatore all’interno delle medesime il finale cambierà, offrendo diversi spunti di riflessione.
Sulla carta l’idea funziona, e lo dimostra il successo del prototipo originale (ora ribattezzato The Way of Life Free Edition, disponibile su Steam) : creato nel 2014 durante un hackathon e formato da sole tre storie, l’originale The Way of Life ha ottenuto notevole ammirazione da parte di critica e giocatori. Sull’onda dell’entusiasmo gli sviluppatori si sono poi lanciati in una campagna di crowdfunding chiusa con successo e che, in tre anni, ha portato alla Definitive Edition.
Nella pratica, allungare il brodo non è una strategia vincente: le tre storie del prototipo sono rimaste l’apice dell’intero progetto. Le nuove storie scadono spesso in banalità e moralismi che paiono adeguati soltanto a un pubblico di bambini che non sanno ancora distinguere il bene dal male, con una verbosità di spiegazioni che uccidono ogni libera interpretazione o possibilità di meditazione sulle scelte effettuate. Un’esperienza, ad esempio, porta a scegliere sulla vita o la morte di un bambino e invece di lasciare che sia il giocatore a decidere per sé stesso sul valore della scelta, l’epilogo fornisce interpretazioni letterali come “quello che ho fatto è profondamente sbagliato” o “ho sacrificato tutto ma ne è valsa la pena“. Ancor peggio, in alcuni episodi la conseguenza viene addirittura anticipata, non lasciando alcuno spazio all’immaginazione.
Non parliamo poi della caduta di braccia di fronte a certe rappresentazioni, come nello scenario in cui un imprenditore raggiunge il successo grazie alle sue conoscenze informatiche e che poi si ritrova a gridare disperato “non sono in grado di fare nulla senza tecnologia!” una volta che il suo computer si rompe (come se non fosse sufficiente sostituirlo) – è evidente che l’episodio critichi come la società odierna ci renda schiavi della tecnologia, ma pare incredibile come gli sviluppatori non siano riusciti a pensare a una migliore rappresentazione.
Non aiuta a ingerire la pillola il tentativo di trasformare questo non-gioco in un gioco. Generalmente, il gameplay di questo genere di prodotti riducono tutto alla pura esplorazione o a poche meccaniche di gameplay: anche titoli più ad alto budget come Heavy Rain ad esempio, hanno un set limitato di azioni che il giocatore può compiere, (esplorazione o premere i tasti giusti al momento giusto), mentre The Way of Life tenta il passo più lungo della gamba aggiungendo decine di mini-giochi tutti diversi fra di loro ma che spesso e volentieri non divertono o, peggio ancora, causano frustrazione.
Non c’è bilanciamento o un comune denominatore che aiuti il giocatore a capire in che tipo di gameplay si trovi: alcuni mini giochi trattano il giocatore come un imbecille guidandolo passo per passo, altri sono semplicemente noiosi e si protraggono troppo a lungo, mentre i peggiori non danno alcuna seconda possibilità e costringono a ripetere intere sezioni dell’esperienza.
Il vero peccato di The Way of Life è l’occasione sprecata. Al netto del gameplay, il gioco riesce a smuovere le emozioni dei giocatori grazie all’ampio uso di rappresentazioni visive allegoriche, ad esempio l’ansia della quotidianità lavorativa rappresentata attraverso corridoi grigi, o le fatiche dell’invecchiamento rappresentate con ambienti che appaiono più lunghi di quello che sono.
Colpiscono anche le animazioni, estremamente espressive a dispetto dello stile minimalista utilizzato (gli scenari sono spogli e le figure umane sono pochi poligoni) al punto che i personaggi potrebbero comunicare chiaramente messaggi senza bisogno di proferire parola – il problema è che poi lo fanno! Per usare una metafora: è come trovarsi davanti una persona molto attraente ma che quando apre bocca perde istantaneamente tutto il suo fascino.
The Way of Life Definitive Edition sarebbe un ottimo titolo se non tentasse di essere quello che non è, e lasciasse all’utente libertà interpretativa. I messaggi “profondi” che le esperienze vorrebbero comunicare vengono rovinati da dialoghi infantili e luoghi comuni, aggravati da elementi di gameplay noiosi o frustranti e spesso inadeguati all’esperienza che The Way of Life vorrebbe offrire. Da provare solo se siete disposti a tapparvi il naso e certamente non a prezzo pieno.
Pro
- Stile grafico peculiare
- Alcune storie sono molto meritevoli...
Contro
- ...ma la maggior parte non lo sono
- L'eccesso di narrazione testuale rovina l'atmosfera
- A tratti infantile
- Gameplay noioso e talvolta frustrante