The Lost Child – Recensione
Nel 2011 debuttò El Shaddai: Ascension of the Metatron, un interessantissimo action ispirato al Libro (apocrifo) di Enoch. A sette anni di distanza giunge The Lost Child, uno spin-off incentrato su un nuovo protagonista, ma contenente Enoch e Lucifel. Il gioco non è opera di Ignition, che non esiste più dal 2012, ma il nuovo team di sviluppo include Sawaki Takeyasu, director e character design di El Shaddai.
Nonostante questo collegamento, The Lost Child a prima vista potrebbe essere più probabilmente accostato a Shin Megami Tensei, trattandosi di un JRPG dungeon crawler in prima persona incentrato sul monster taming, con incontri casuali e battle system turn-based. Anche la trama e l’ambientazione potrebbero far pensare all’ennesimo spin-off della serie di ATLUS: Hayato è un giornalista di Tokyo che si occupa di occultismo per conto della rivista LOST; quasi subito il nostro viene raggiunto dall’angelo Lua, la quale è stata incaricata dall’Arcangelo Michele (abbiamo la solita commistione fra vari pantheon, incluso quello lovecraftiano) di assistere il prescelto, ma che è anche mossa dal desiderio di ritrovare la sorella Belucia.
In quanto prescelto, il protagonista ha alcuni poteri fondamentali, fra cui quello di catturare, potenziare, far evolvere e schierare in battaglia i demoni che incontra durante l’esplorazione dei dungeon: ciò avviene grazie all’utilizzo congiunto di Gangour, una specie di pistola acchiappa-mostri, e di un tablet gestito da Lua. Proprio nelle battute iniziali al giocatore sarà fornito Enoch quale demone da utilizzare in combattimento (lo vedete nell’immagine sotto).
Al netto di questa peculiarità – che tanto peculiare non è, come abbiamo già detto – il gameplay è piuttosto classico. L’esplorazione avviene tramite menu per quanto attiene alla città e in prima persona nei dungeon (chiamati layer) multistrato disseminati nei vari quartieri, ciascuno dei quali si caratterizza per una gimmick (ad esempio, la lava o l’acqua) e cela un obelisco responsabile della trasmigrazione delle anime: il nostro obiettivo è quello di raggiungerlo e sconfiggerne il guardiano.
Il level design è intricato ma sempre intelligibile, in virtù tanto della mappa (che si completa da sé ad ogni piè sospinto e che può essere richiamata in ogni momento o anche fissata in alto a destra) quanto della planimetria, elaborata in modo da rendere agevoli le traversate successive alla prima: alla fine di ciascun piano troverete una porta da sbloccare o altri meccanismi (ad esempio, i carrelli da minatore) che costituiscono scorciatoie molto convenienti; a ciò si aggiunga l’opzione auto-pilot per un risultato il meno frustrante possibile – rimangono pur sempre i succitati incontri casuali, anche se bisogna riconoscere che l’encounter rate non è eccessivamente pressante.
Le battaglie avvengono a turni rigidi e consentono al giocatore di schierare Hayato, Lua e tre demoni nel party (come vedete nell’immagine sopra), che include così fino a cinque “titolari” più cinque mostri in panchina, switchabili anche nel corso della pugna. Ogni mob è caratterizzato da un elemento – secondo questo schema di prevalenza: vento, elettricità, acqua, fuoco ed erba – e può essere catturato, per essere poi purificato spendendo punti Karma, che si accumulano perlopiù vincendo le battaglie e rispondendo alle domande a scelta multipla.
L’unico inconveniente è dato da una gestione dei demoni e degli oggetti un po’ macchinosa, che richiede una non brevissima permanenza nei menu: alla loro morte, infatti, le creature devono essere nuovamente purificate e collocate nella squadra, allungando il tempo di navigazione fra menu non sempre comodissimi. Inoltre, non salgono di livello con i punti esperienza come Hayato e Lua, ma con i punti Karma, da distribuire sempre tramite menu. Infine, va segnalato che nelle fasi più avanzate del gioco, quando si comincia ad accumulare decine di demoni, il tutto può rendersi più caotico, anche se ovviamente esistono utili criteri di sistemazione (come il livello del mostro).
La longevità, trattandosi di un dungeon crawler, è garantita: oltre ai numerosi layer – a loro volta composti da molteplici floor – da affrontare per giungere ai titoli di coda, The Lost Child mette sul piatto anche il dungeon opzionale R’lyeh Road, dotato di funzionalità online (lotteria di mostri, memorizzazione del proprio e degli altrui party) e di novantanove piani. A ciò si aggiungano le missioni secondarie, presentate sotto forma di investigazioni. Il loro svolgimento invero è piuttosto semplice: si tratta perlopiù di parlare con tutte le persone presenti in un luogo, raccogliendo indirizzi che porteranno a un dungeon già visitato, per trovare qualcosa o risolvere un mistero.
Come abbiamo avuto modo di osservare, l’offerta ludica di Kadokawa Games è piuttosto solida. L’unico comparto davvero povero di The Last Child è quello tecnico, senza peraltro grandi sorprese, considerato il genere di appartenenza e quindi il budget molto basso. Certo è che comunque si sarebbe potuto fare di più, almeno in termini quantitativi, in modo da evitare il riciclo di mob e NPC.
The Lost Child è un dungeon crawler ben studiato, che si avvale di meccaniche rodate e le implementa in modo intelligente. Il rovescio della medaglia è dato da un’identità non molto marcata, che rivela facilmente le sue fonti di ispirazione, Shin Megami Tensei su tutte.
Pro
- Level design intelligente
- La componente di monster taming è ricca di opzioni
- Il comparto narrativo fa il suo dovere
Contro
- Graficamente davvero spartano
- Menu non sempre comodi
- Non particolarmente originale