The Longest Five Minutes – Recensione
Ogni amante dei JRPG vecchio stile lo sa: la via verso il boss finale è ardua, piena di peripezie, ostacoli e difficoltà. Un percorso costellato da vittorie, fallimenti, sessioni di allenamento e grinding, città, borghi, navi e aeronavi. Tutto per arrivare a quel fatidico momento, al boss finale. Qualsiasi cosa sia, è l’obiettivo di tutti i giocatori.
The Longest Five Minutes, titolo pubblicato in Occidente da NIS America e sviluppato da Nippon Ichi Software (i creatori di Disgaea) e SYUPRO-DX e in uscita il 16 Febbraio su PlayStation Vita e Nintendo Switch in Europa (il 13 Febbraio, invece, su PC in tutto il mondo), stravolge tutto questo.
Un titolo curioso, quindi, ma l’idea di base avrà funzionato?
Un eroe… smemorato?
Il gioco inizia, per l’appunto, dal boss finale. I nostri protagonisti stanno combattendo il Re dei Demoni quando, improvvisamente, l’Eroe, Flash, perde completamente la memoria. Non poteva certamente esistere momento peggiore.
Il titolo, nel nostro caso, è piuttosto emblematico: lo scontro col Re dei Demoni si svolgerà come una cutscene e durerà 5 minuti e, in questo lasso di tempo, Flash dovrà assolutamente recuperare tutti i suoi ricordi per poter combattere e sconfiggere il temibile boss. Tutto questo grazie all’aiuto dei suoi fidati amici e compagni d’avventura, Regent, il Mago Nero, Yuzu, la Monaca e Clover, la Maga Bianca. Il classico gruppo da gioco di ruolo vecchio stampo, insomma.
Il concept, quindi, sembra essere originale, seppur semplice: il giocatore dovrà ripercorrere tutta l’avventura di Flash e i suoi compagni, suddivisa in ricordi separati tra loro.
Un gioco di ruolo… classico?
Veniamo al problema principale di The Longest Five Minutes. Il gioco, ad un primo e disattento sguardo, sembra essere un classico gioco di ruolo in pixel art, ma non è davvero così.
La struttura stessa che è stata data al titolo non permette di poterlo definire tale. I ricordi sono, come già detto, separati tra loro e completamente scollegati, se non, ovviamente, per trama. Questo vuol dire che un oggetto curativo o un’arma acquistata in un ricordo non sarà presente nel successivo.
Ogni frammento dona ai protagonisti un determinato livello di esperienza, un set di armi e armature e un ammontare preciso di soldi da poter spendere. Tutto quello che guadagneremo poi, sconfiggendo mostri e completando i dungeon, sparirà una volta terminato quel ricordo. Questo, da un lato, potrebbe sembrare comodo, visto che si potrà spendere tutto quello che si ha al primo negozio che si trova. D’altro canto, fa perdere quel fascino dei giochi di ruolo, in cui comprare una spada nuova per il nostro eroe significava spendere quei pochi, sudati soldi e lo si considerava un vero e proprio upgrade.
Non si ha quindi quel senso di riuscita nella personalizzazione e crescita di un personaggi. L’unica sfaccettatura che potrebbe soddisfare un minimo il giocatore è il livello di “ReExperience”. Combattendo nemici e completando le varie “Missions”, 2 o 3 compiti secondari disponibili per ogni ricordo, il giocatore, ovviamente, otterrà esperienza, che aumenterà anche il livello dei ricordi, il che donerà piccoli upgrade alle statistiche, permanenti anche nei frammenti successivi. Il senso di insoddisfazione e di mancanza di progressione, però, permane.
Una storia in rewind
L’espediente utilizzato per la creazione della trama potrebbe sembrare piuttosto banale – e in effetti lo è – ma all’interno di The Longest Five Minutes ha funzionato abbastanza bene. Seppure il fascino del rivivere una storia “al contrario” svanisce dopo i primi 4 o 5 ricordi, l’avere fra le mani qualcosa di diverso e di più peculiare potrebbe soddisfare e divertire anche i più avvezzi ai giochi di ruolo. Certo, la trama che si viene poi a delineare è piuttosto basilare: un mondo sconvolto dai demoni in cui il nostro eroe deve riportare la pace, ma il gioco ha una particolarità ben evidente sin dall’inizio. Non si prende sul serio.
Ad esempio, il nostro Mago Nero, Regent, odia il solo pensiero di seguire la strada dettata dai suoi genitori, che lo vorrebbero veder diventare, un giorno, un grande stregone. Vuole, invece, diventare il più famoso cantante rock di tutti i tempi. Quest’atmosfera irriverente e divertente, unita ai dialoghi simpatici ed interessanti, non basta però a rendere la storia meno banale e ci si ritroverà, dopo le prime ore di gioco, ad accelerare il passo.
Il gioco è semplice, troppo semplice. Non c’è stato un singolo momento durante la run in cui sia stato necessario fermarsi a grindare un po’, complice anche il fatto che all’avvio di un nuovo frammento, il livello dei personaggi viene adattato a quello dei nemici dell’area.
Le OST sono invece piacevoli e rimandano alle vecchie glorie in 8 Bit, quelle a cui The Longest Five Minutes si ispira, fallendo in parte. Rimane però, in alcuni suoi tratti, piuttosto gradevole.
The Longest Five Minutes, in definitiva, ha parzialmente fallito nel suo intento. Il voler ricreare un ambiente classico da JRPG vecchio stile non è riuscito a causa della struttura di base sezionata in ricordi, scollegati fra loro. Il senso di insoddisfazione e di mancanza di progressione si accoppiano a una trama banale e scontata. I dialoghi divertenti ed una OST gradevole non bastano ad elevare il titolo al di sopra di una sufficienza piena.
Pro
- Personaggi e dialoghi divertenti
- OST piacevole
- Concept interessante...
Contro
- ... ma snatura il gioco in quanto JRPG
- Troppo, troppo semplice
- Trama banale
- Mancata localizzazione in italiano
Lo so mi linceranno per averlo detto, ma una localizzazione in italiano ci stava
Guarda, la localizzazione in realtà avrebbe soltanto semplificato l’approccio. Il gioco rimane poco più che sufficiente, purtroppo…