The Last Door – Recensione
Indie e horror
La scena indie negli ultimi anni ha portato al mercato videoludico quella ventata di novità, genio creativo e originalità che ormai mancava. In mezzo a budget miliardari, esplosioni di poligoni, schede grafiche sempre più potenti, il mercato indie permette a piccoli sviluppatori di farsi notare con progetti che non di rado superano per qualità e design molti dei titoli oggi più quotati.
In questa affascinante e un poco romantica scena indie, che ricorda molto i tempi in cui singoli programmatori si chiudevano nella cantina di casa per creare da soli un intero titolo videoludico (vedi Manfred Trenz con Turrican per Commodore 64) da qualche tempo troviamo anche i ragazzi di The Game Kitchen.
Nel tentativo di unire le meccaniche dei punta e clicca tipici degli anni ’90 con la tensione e la trama delle moderne serie televisive, la piccola casa spagnola ha sviluppato The Last Door, un titolo dalle meccaniche semplici ma dall’insospettabile profondità, il cui sviluppo (al momento in cui scriviamo è in preparazione un sesto episodio) si basa anche su una continua collaborazione tra la comunità degli utenti e gli sviluppatori.
Vincitore di svariati premi, e distribuito dalla Phoenix Online Publishing (specializzata in avventure grafiche. Ha distribuito anche Moebius: Empire Rising, scritto da una certa Jane Jensen) The Last Door è disponibile su Steam, iOS e Android.
Videte ne quis sciat
Fate attenzione che nessuno lo sappia. In questo modo, dopo un prologo fulminante, inizia l’avventura di Jeremiah Devitt nella fine del XIX secolo. Insospettito da una delirante lettera speditagli dal suo ex compagno di studi Anthony Beechworth, Jeremiah si reca nell’antica magione del suo amico per saperne di più e, una volta entrato nella più classica delle ville vittoriane, immersa in una campagna desolata e nebbiosa, nota subito gli indizi di un lungo abbandono e l’assenza di qualsiasi essere umano.
Ben presto, deciso a venire a capo dell’intera faccenda, il nostro protagonista inizia a mettere insieme i numerosi elementi della villa, le lettere trovate in giro e le testimonianze lasciate dal suo amico, fino a delineare uno scenario ben più vasto e inquietante, scoprendo di essere legato ai suoi amici di gioventù (Beechworth incluso) da un segreto ormai dimenticato, una maledizione che forse li porterà tutti a confrontarsi con l’ultima porta del titolo.
La trama si ispira alla corrente letteraria gotico-horror della fine dell’800, che aveva in Lovecraft e Poe i suoi esponenti migliori e, nonostante rimanga ancorata a tutti gli stereotipi tipici della letteratura di quei tempi (corvi, sangue, gatti neri, antiche ville isolate, paranormale, suicidi), rimane il lato migliore del titolo The Game Kitchen (insieme al sonoro, come vedremo). Qui non abbiamo sparatorie, zombi, protagonisti superdotati o laboratori di ingegneria genetica, ma solo sane e intramontabili atmosfere horror.
Indagando su antichi orrori
Le meccaniche del titolo riprendono quelle tipiche dei punta e clicca anni ’90. Il classico puntatore cambia funzione in base all’elemento puntato, e tutte le azioni e gli oggetti rimangono sempre disponibili in una finestra in basso nello schermo. Un sistema di controllo, quindi, praticamente ridotto al minimo, ma proprio per questo immediato e intuitivo, che permette sin da subito di concentrarsi principalmente su storia ed enigmi. Enigmi inizialmente abbastanza semplici, nulla più del canonico “usa l’oggetto A nel punto B”, ma abbastanza complessi con il proseguire della nostra avventura.
Le schermate adiacenti, una volta esplorate, possono essere raggiunte velocemente con un doppio click, agevolando ulteriormente le meccaniche del titolo, e il sistema di salvataggio, geniale e semplice, salva automaticamente a ogni cambio di schermata. Nella versione iOS e Android, inoltre, il puntatore rimane leggermente distante, evitando di rimanere nascosto dalle nostre dita. Cosa che invece accade con molti punta e clicca per schermi tattili. La versione Steam, grazie al mouse, è comunque più precisa come sistema di controllo.
La longevità rimane nella media per questo genere di prodotto, i singoli episodi sono abbastanza brevi, ma messi insieme hanno una durata rispettabile, aumentata dalla presenza di mini episodi extra.
Una chicca inserita dagli sviluppatori, che rivela una sensibilità piuttosto rara nel campo, è la possibilità di regolare alcuni parametri per utenti con problemi sensoriali (come l’opzione per cambiare i caratteri per ovviare a problemi di dislessia).
Dal punto di vista della giocabilità e delle meccaniche, quindi, non troviamo nulla di veramente nuovo, ma è come se gli sviluppatori avessero preso gli aspetti migliori di questo genere di prodotto, e si siano messi sinceramente a migliorarli.
Tra paura e pixel
Il primo impatto con il comparto tecnico di The Last Door non è dei migliori, specialmente per chi è abituato a poligoni pompati e texture realistiche. Qui i pixel si possono letteralmente contare, talvolta sembra di trovarsi davanti allo zoom del Mode 7 del glorioso Super Nes, ma superati i primi minuti ci si rende conto che è una scelta riuscita e voluta (dovuta in parte anche a limitate risorse economiche e tecniche degli sviluppatori).
In un titolo che fa della trama e della paura i suoi pilastri principali, una grafica a malapena distinguibile aumenta la tensione, in quanto quel che non si vede lo si immagina (il che è peggio). Ma se sul versante del puro dettaglio il titolo sembra la fiera del pixel, nel contesto risulta molto ben elaborato: i corridoi della villa, gli elementi dello scenario, i giochi di luce e ombre, persino le stesse scelte cromatiche rivelano un gusto e una classe ormai rare in campo videoludico.
Se al primo impatto la grafica non colpisce molto, diverso è il discorso per il comparto sonoro. Sin dai titoli di testa troviamo eccellenti musiche orchestrali, quasi violente nella loro bellezza, che ci accompagneranno per buona parte della nostra avventura, pur non risultando mai invasive. A fare da gradito contorno alla colonna sonora (realizzata da un musicista freelance che si è già portato a casa diversi premi e del quale bisogna segnarsi il nome: Carlos Viola) troviamo anche degli effetti sonori molto curati, tra miagolii inquietanti, rumori ambientali, versi dei corvi, i passi del protagonista e il ticchettio del classico orologio a pendolo.
Ma la qualità del comparto sonoro non rimane confinata all’eccellenza delle musiche e al realismo degli effetti sonori, ma aumenta con il loro perfetto inserirsi nel contesto generale della nostra avventura. Ogni singolo rumore o stacco musicale non sembra mai inserito per caso, ma con una cura che talvolta sconfina nel sadico, confermando ancora una volta (Akira Yamaoka insegna) come il comparto sonoro sia parte importante del processo di horror videoludico.
[signoff predefined=”Signoff 1″]Con The Last Door i ragazzi di The Game Kitchen non inventano nulla di nuovo, ma prendono gli elementi migliori di questa tipologia di prodotto e li rimescolano abilmente, creando un’eccellente punta e clicca, un titolo che sembra provenire da un glorioso passato, quando la genialità e le doti narrative colmavano inevitabili mancanze tecniche o di budget. The Last Door rimane un titolo coinvolgente, scorrevole, a tratti geniale e spesso inquietante, a dispetto del suo comparto grafico decisamente retro. Il suo ispirarsi alla letteratura della migliore epoca horror, il suo sincero tributo ai maestri Lovecraft e Poe, ricreano storie e sensazioni che sembravano ormai perdute. Un’ulteriore prova, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che un titolo eccellente non deve per forza puntare su meccaniche collaudate (o abusate) e su requisiti tecnici elevati.[/signoff]