The Evil Within
The Evil Within, “Il Male Dentro”: un titolo che sin dai primi vagiti ha fatto sì che sul volto degli appassionati di Survival Horror si stampasse un sorriso a trentadue denti, soprattutto alla conferma che Shinji Mikami, papà di Resident Evil, avrebbe seguito l’intera produzione accomodato sulla poltrona del regista. Quando abbiamo assistito ai filmati e provato la Demo all’E3 di Los Angeles e alla Gamescom di Colonia, lo avrete capito dalla nostra anteprima, il nostro hype è salito alle stelle. Oggi, dopo aver finalmente potuto provare a fondo l’intera l’avventura, possiamo finalmente darvi il nostro parere su quello che potrebbe essere l’apripista per il ritorno in pompa magna dei Survival Horror nella nuova generazione di console.
Tra clichè e novità
Dal punto di vista narrativo The Evil Within inizia quasi in sordina, seppur nel tentativo di gettare il giocatore a capofitto nell’azione: il protagonista è il detective Sebastian Castellanos che, con i suoi colleghi, si ritrova ad indagare su un efferato omicidio plurimo commesso nella hall di un ospedale. All’interno della struttura il protagonista farà immediatamente la conoscenza di Ruvik, antagonista principale del gioco. Addormentato da quest’ultimo, Sebastian precipiterà nell’incubo che farà da sfondo all’intera avventura, il cui principale espediente narrativo per tenervi sul filo del rasoio sarà catapultarvi continuamente tra un’ambientazione e l’altra, spiazzandovi volutamente per non farvi comprendere cosa è reale e cosa non lo è. Inizialmente, dicevamo, The Evil Within ha un ritmo piuttosto saltellante ed è saldamente ancorato a dei binari che lasciano ben poco spazio all’esplorazione e alla libertà d’azione. Fortunatamente con il passare delle ore il gioco rivela un costante climax in grado di offrire interessanti spunti anche sotto l’aspetto della trama.
I fan del genere sono quindi avvisati: inizialmente The Evil Within potrebbe apparirvi un banale cocktail di già visto, con un protagonista che richiama l’Edward Carnby di Alone in The Dark, un tetro ospedale abbandonato in puro stile Silent Hill e, ovviamente, un antagonista che strizza l’occhio al Wesker di Resident Evil. Solamente chi darà credito al titolo giocandolo fino ai titoli di coda potrà apprezzare tutte le sfumature che si mostreranno solo nella seconda metà del gioco.
Dal punto di vista della trama e delle atmosfere, quindi, ci sentiamo di fare un solo appunto: The Evil Within non è un gioco che fa paura come alcuni fan dell’horror si potrebbero aspettare. I temi del survival horror ci sono tutti, così come l’atmosfera e le situazioni in grado di far saltare il giocatore sulla sedia regalando un bel brivido dietro la schiena; detto questo però è necessario tener presente che Mikami ha scelto di incentrare la componente terrorizzante del gioco sul gore e sulla violenza gratuita, decidendo di far paura al giocatore tenendolo sulle spine con una costante e angosciosa suspance: stiamo parlando di stanze piene di sangue e di corpi smembrati, di mostri deformi e di un’atmosfera costantemente truce e malata. Stiano quindi attenti i fan dell’horror: qui non si parla tanto di paura, quanto più di una costante sensazione di disagio e inadeguatezza in cui più volte il puro splatter prende il posto del terrore vero e proprio.
Trial and error
Il gameplay di The Evil Within, se ne accorgerà chi ha anche solo provato Resident Evil 4, porta a chiare lettere la firma di Mikami: con la telecamera inchiodata alle spalle del protagonista, il giocatore si muoverà nell’ambiente circostante comandando Sebastian come nel più classico degli shooter in terza persona. L’arsenale a disposizione di Sebastian comprende la classica rivoltella e il fucile a pompa, ben presto affiancati da trappole, esplosivi, fucili da cecchino e Agonia, una balestra in grado di utilizzare dardi dalle molteplici caratteristiche offensive che il giocatore potrà creare con le parti ricavate dopo aver disinnescato le trappole dei nemici. Tutte le armi, la quantità di munizioni disponibili nell’inventario e le caratteristiche fisiche di Sebastian sono migliorabili visitando una particolare stanza dell’ospedale, dove il protagonista si accomoderà su di una sedia che sembra progettata da Jigsaw in persona, altro elemento malato che sicuramente i giocatori ricorderanno negli anni a venire come tratto distintivo di The Evil Within.
Fortunatamente, rispetto a quanto già visto in RE4 – caratteristica poi esasperata nei successivi capitoli – in The Evil Within le munizioni e le possibilità di attacco del protagonista saranno molto limitate: questo, oltre a rendere l’avventura più angosciante a causa della scarsità delle risorse disponibili, renderà necessario un approccio al gameplay maggiormente stealth invece di un semplice gettarsi a testa bassa contro il nemico. Per sconfiggere i boss, ma anche i gruppi più numerosi di nemici, il gioco offre quasi sempre un’alternativa allo scontro diretto, soluzione che permette di risparmiare munizioni e salute. Quando lo scontro è inevitabile, invece, sono solitamente presenti munizioni in quantità giusto un poco superiore al necessario nei pressi dell’area di gioco teatro della battaglia: in questo caso sarà comunque fondamentale mirare alla testa e utilizzare con cognizione di causa le armi, in modo da avere sempre la potenza di fuoco necessaria a tenere a bada gli abomini più coriacei, pena la morte.
Ed è appunto la morte il tema centrale di The Evil Within che, anche in questo caso ritenetevi avvisati, è sempre dietro l’angolo. Il titolo prevede infatti il superamento di alcune sezioni di gioco con il semplice – ma a tratti frustrante – sistema del “trial and error”: per sconfiggere un boss o sopravvivere a una trappola dovrete essere pronti a vedere Sebastian macellato e triturato più volte, finché non capirete il modo per proseguire. Non siamo certo ai livelli di Dark Souls o simili, pertanto se già avete provato questo stile di gioco non rischierete di scagliare il pad contro la parete; resta però il fatto che i fan più vicini alle classiche meccaniche del Survival Horror potrebbero abbandonare precocemente il titolo a causa di questo meccanismo ricco di morti e ripetizioni di intere sezioni, rischiando così di perdersi la parte migliore dell’avventura che, come dicevamo nella sezione precedente, è proprio quella conclusiva.
Terrore in penombra
Il comparto tecnico di The Evil Within è in grado di affascinare, nonostante alcune chiare lacune presenti anche nella versione definitiva dell’avventura: alcune texture sono evidentemente in bassa definizione, così come i toni scuri e gli ambienti in penombra sono molte volte visibilmente inseriti ad arte per nascondere le magagne di un motore grafico che fatica a tenere insieme tutto quello che succede sullo schermo. Nonostante ciò, il dettaglio dei personaggi principali e delle animazioni, unitamente agli effetti di illuminazione, riesce ad amalgamare il tutto rendendo l’esperienza visivamente piacevole.
Chi non ha amato Resident Evil 4 avrà certamente da ridire sulla telecamera, alle volte così prepotentemente ancorata alle spalle del protagonista da risultare fastidiosa, impedendo una visuale ottimale dell’azione di gioco. A questo si aggiungono le due bande nere sempre presenti in alto e in basso allo schermo che, sebbene diano un taglio cinematografico all’avventura – e alleggeriscano allo stesso tempo il lavoro del motore grafico che non deve lavorare a schermo intero – rendono ancora più limitato il campo visivo del giocatore. Nella versione PC esiste già una patch per eliminare queste bande nere e, volendo, anche per scegliere quale framerate utilizzare tra i 30 e i 60 fps. I più appassionati di grafica farebbero bene a tenere in considerazione questa caratteristica, dal momento che attualmente per la versione console non sono ancora invece disponibili queste opzioni.
Per quanto riguarda il sonoro, invece, Mikami ha optato per musiche ricercate ma certamente d’atmosfera: musica classica di Bach, archi e violoncelli compongono la maggior parte della colonna sonora che accompagnerà Sebastian nella sua avventura, terrorizzando il giocatore grazie allo stridore generato dalle stanze buie e insanguinate rapportate a quella che dovrebbe essere rilassante musica da camera.
[signoff icon=”quote-circled”]Tra alti e bassi, The Evil Within è un gioco in grado di sorprendere: degno di Resident Evil 4, è un titolo che mostra come Shinji Mikami non abbia perso il tocco da maestro. I proiettili sono limitati ma l’armamentario è vario e ben realizzato, così come i pochi e semplici enigmi sono comunque in grado di bilanciare i momenti di azione ed esplorazione. Il terrore vero e proprio non c’è, ma l’angoscia e il disagio provocati dal rantolo dei nemici, dai – letteralmente – bagni di sangue del protagonista e dalle ambientazioni malate basteranno a lasciare intatto quel sorriso a trentadue denti di cui parlavamo in apertura: certamente questa generazione avrà molto di più da offrirci in ambito horror, ma se il buongiorno si vede dal mattino The Evil Within è un ottimo inizio.[/signoff]