The Crow’s Eye – Recensione
Agli inizi del 2007, la neonata Frictional Games si preparava a scuotere le vite dei videogiocatori con il primo terrificante capitolo di Penumbra. Un puzzle game dai tratti decisamente horror, che faceva della paura primordiale di essere inseguiti il suo punto di forza principale. Avanti veloce di un paio di anni, nel 2010 esce Amnesia e con questo titolo (Frictional Games) scrive a caratteri cubitali il suo nome nella storia del genere horror, grazie soprattutto alla forte subcultura – praticata attraverso YouTube – a cui diede vita, che vedrà nomi come Pewdiepie, Toby Turner e molti altri, fare fortuna grazie a dei videogameplay seguiti da tutto il mondo.
Tornando ai giorni nostri, di acqua (e titoli simili) sotto i ponti ne è passata abbastanza, potendo sicuramente affermare che ormai il filone d’oro degli horror game si sia quasi completamente esaurito, nonostante qualcuno pensi ancora che ci sia della ricchezza da estrarre da questa miniera dimenticata.
La spagnola 3D2 Enterteinment con il suo The Crow’s Eye ad esempio, sulla falsa riga dei suoi predecessori, cerca di riportare in auge un genere che ormai sembra essere in declino.
Nonostante possa essere concluso senza dare attenzione a una singola parte della trama, l’indentità del personaggio e di tutti gli altri protagonisti si metteranno a fuoco lentamente, sfogliando le note che incontreremo tra un puzzle e l’altro.
Per evitare di inserirci in fastidiosi spoiler, vi raccontiamo un po’ il concept di partenza di The Crow’s Eye: in seguito alla sparizione di quattro studenti universitari presso la Crowswood University, la polizia e un investigatore privato vengono incaricati di controllare la situazione. Per (s)fortuna, qualcosa andrà storto. Vent’anni dopo, un ragazzo si ritroverà prigioniero nella stessa facoltà, cercando di sfuggire alle psichedeliche macchinazioni che incontrerà, nonché di comprendere il suo ruolo in esse.
La narrazione lineare ci viene raccontata attraverso le scritture e le registrazioni di cui il titolo è pregno. Vi sono svariati cerchi narrativi che si intrecciano tra loro e bisognerà attendere la fine del titolo per riuscire a chiuderne la maggior parte senza lasciare delle falle scoperte.
Da buon rompicapo horror, l’approccio al gameplay è di tipo investigativo in prima persona. Il nostro personaggio dovrà girovagare per ambienti ben diversificati, misteriosi e ossessionanti, portando con se, per gran parte del titolo, un certo senso di terrore psicologico. Ogni elemento sparso può essere utilizzato per risolvere enigmi e superare gli ostacoli che si incontreranno nei nove livelli di gioco.
Da brave cavie da laboratorio, il level design del titolo è strutturato per ricreare una serie di esperimenti a nostro sfavore. Fin dalla ricerca della chiave nella prima stanza, ci verrà richiesto di completare rompicapi di variabile difficoltà, nella maggior parte dei quali dovremo interagire con dei cubi rossi indistruttibili. Nonostante possano sembrare già visti, la difficoltà presentata fa passare in secondo piano la loro non originalità. Tra un imprecazione e l’altra, poi, era l’ultima cosa a cui pensavamo.
Non immaginatevi certo delle situazioni complicate a livello esponenziale. Questa gabbia universitaria ha enigmi risolvibili: alcuni più sereni; altri un po’ meno. Infatti non si appoggiano a un arsenale di oggetti differenziato. Al massimo ci toccherà interagire con poco più di una decina di elementi diversi e rallentare il tempo usando l’adrenalina per muoversi con più tranquillità. The Crow’s Eye ci permette però di craftare bende curative, upgrade, grimaldelli – portando a termine il relativo minigame, si potrà aprire delle determinate porte – mappe e altro ancora.
Costruito sulle solide fondamenta di Unity, mostra sicuramente un dettaglio notevole degli ambienti, soprattutto se si parla del sistema di luci. Non abbiamo notato grandi problemi di ottimizzazione sulla nostra configurazione, anche se siamo stati costretti a riavviare la partita un paio di volte, poiché non ci veniva permesso di usare l’adrenalina, nei momenti in cui era bloccante non poterlo fare.
Notevole l’accompagnamento musicale, che riesce a mantenere salda la tensione delle fasi esplorative. La campionatura di suoni ed effetti è a dir poco ottima, e varia dai normali cigolii fino a delle ben arrangiate melodie, uno dei veri punti forti del titolo. Non va sottovalutato neanche il doppiaggio (al momento solo inglese), un lavoro certosino, che permette alla sceneggiatura di risultare ancora più efficace.
Il primo gioco sviluppato da 3D2 Enterteinment si mostra al banco con idee già viste, ma ben rielaborate. Dopo qualche ora di gioco, si allontana dal tentativo di imitare i suoi predecessori, e si muove da vero puzzle game (story driven), fino a garantire un esperienza di gioco efficace e competitiva. Se siete disposti a riscoprire – con la dovuta pazienza, curiosità e il giusto intuito – una storia folle quanto interessante, vi consigliamo di non lasciarvelo sfuggire.
Pro
- Nove livelli di gioco da esplorare
- Svariati enigmi da risolvere
- Una storia affascinante da scoprire
- Le musiche ci hanno tenuti incollati allo schermo
Contro
- Ci aspettavamo qualcosa di più a livello grafico
- Alcuni enigmi possono far perdere la pazienza
- Qualche problema di ottimizzazione