Stray Blade – Recensione
Farren West è un esploratore che ha perso la bussola, un avventuriero (o avventuriera) la cui esistenza è guidata unicamente dalla curiosità e da una corsa sfrenata verso la scoperta di nuovi mondi e nuove culture.
A causa di un passato burrascoso da emarginato ha davvero poco da condividere con la sua stessa specie, gli esseri umani, per questo decide di lanciarsi nel viaggio della vita salpando, come sempre in solitaria, verso terre lontane e sconosciute.
Dopo varie peregrinazioni il fato si abbatte inesorabile su Farren conducendolo ad Acrea, una leggendaria terra dimenticata ricca di oscuri segreti, luogo in cui si verifica immediatamente un misterioso incidente in cui l’esploratore perde la vita.
Ma non tutto è perduto. Acrea non è un luogo come tutti gli altri e Farren torna dalla morte risvegliato da un misterioso incantesimo, ritrovandosi uno strano minerale impiantato nel petto.
Preso il controllo del protagonista di Stray Blade, opera prima, se non altro con questo respiro, di una minuscola società di sviluppo berlinese composta solamente da una manciata di sviluppatori, Point Blank Studio, scopriremo presto che Farren è stato riportato in vita da un simpatico esserino a metà tra un goblin e un lupetto dotato di ancestrali poteri magici.
Boji, questo il suo nome, ci svelerà che sfortunatamente la nostra apparizione ha creato un qualche genere di squilibrio nell’essenza di Acrea e che la strana pietra nel nostro petto è in realtà fonte di un potere che saremo obbligati a spezzare per poter lasciare l’isola.
Un incipit modestamente classico, ma non particolarmente longevo, che ci condurrà attraverso foreste, grotte e templi arcaici.
Ci ritroveremo dunque obbligati a inoltrarci nelle terre di Acrea affrontandone le insidie, non solo per sfidare le forze che la dominano al fine di liberarci dal malefico potere che ci tiene imprigionati, ma per aiutare lo stesso Boji a ristabilire la pace in un territorio una volta fiorente ormai caduto in rovina, abitato in tempi sconosciuti da un’antica e nobile civiltà.
Talvolta capita che i soulslike incontrino una scatola di pennarelli
Stray Blade è un titolo che funziona e come spesso mi piace ricordare, fin troppe volte ci dimentichiamo che lo scopo primario di un videogioco è quello di divertire.
Faccio questa doverosa premessa in quanto il titolo di Point Blank Studio non è affatto scevro da difetti e presenta a mio avviso una relativamente ampia quantità di limiti che sfociano talvolta anche in punti negativi, ma che non devono oscurare quello che si rivela a tutti gli effetti un videogioco assolutamente godibile, ben strutturato e in grado di regalare una buona quantità di ore di divertimento.
Quando Dark Souls viene morso a una caviglia da un cartone animato della Disney quello che ne esce è Stray Blade, un coloratissimo e vivacissimo videogioco action fantasy con elementi RPG connotato contemporaneamente da un mood costantemente sopra le righe e da un combat system brutale.
Il mondo di Acrea è davvero cattivo, ogni essere che lo popola è aggressivo e pronto a farci la pelle, sarà determinante quindi non abbassare mai la guardia e far nostra ogni meccanica di combattimento il prima possibile.
Un combat system che fa la muffa?
Un sistema che non ho sinceramente capito se sia mal bilanciato o solamente non adatto a me.
Il combattimento di Stray Blade è lento e aggressivo allo stesso tempo, richiede ragionamento ma anche riflessi, pretende pacatezza ma anche ritmo, risultando del tutto simile al combat system di un qualsiasi soulslike ma inglobando in sé anche la meccanica di rottura della postura apparsa in titoli come Sekiro: Shadows Die Twice o il recente Wo Long: Fallen Dynasty.
E va benissimo, potremo decidere di sconfiggere soldati e mostri attendendo il momento giusto per infliggere danno o essere più impavidi, avventandoci su di essi sferrando raffiche di colpi così da spezzargli immediatamente la guardia devastandoli infine con una finisher.
Qual è allora il mio problema? Non lo so. Anche dopo ore e ore di gioco fatico a bloccare i colpi dei nemici in maniera precisa finendo quasi sempre per incassare mazzate su mazzate. Effettuare una schivata perfetta è semplice, ma parare mi riesce poco, su alcuni nemici ce la faccio tranquillamente, su altri decisamente meno.
Sono io o sono loro?
Probabilmente sono semplicemente scarso. Quello che mi rende perplesso però è che uno dei giochi che ho completato recentemente al 100% è proprio Wo Long: Fallen Dynasty.
Com’è possibile quindi che abbia portato a termine un titolo dichiaratamente basato su un sistema di parry e mi venga così difficile difendermi da una sottospecie di puzzola chiodata in Stray Blade?
La risposta che mi sono dato è che gli input dei comandi e la meccanica delle animazioni durante il combattimento sono estremamente imprecisi e poco fluidi, con alcune azioni probabilmente sovrascritte o annullate da altre in caso di pressione di tasti in momenti sbagliati, risultando nel 100% di probabilità di subire danni (molti) per via dell’eccessiva tempistica necessaria al completamento di un attacco, una schivata o una parata partiti per errore.
Uno scenario che non mi è difficile immaginare anche alla luce delle svariate sporcature a livello di aggancio tra un’animazione e l’altra, come per esempio quelle delle finisher, dove spesso ho notato il personaggio variare postura inaspettatamente o il gioco scattare lievemente perdendo un paio di colpetti.
Un altro dettaglio che ho trovato mal bilanciato, ma che è in realtà parte integrante del gameplay, è la presenza di una evidenziazione dei nemici in rosso o in azzurro in concomitanza di azioni schivabili o parabili.
Il gioco suggerisce il fatto che uno di questi attacchi sia in arrivo ma non quando deve essere effettivamente avviata la nostra risposta, creando a mio modo di vedere uno stato di confusione nel giocatore che potrebbe faticare a leggere chiaramente le reali mosse del nemico, soprattutto considerando che ogni tipo di mob combatte con un proprio set di movimenti caratterizzati da tempistiche differenti, non sempre facili da memorizzare.
Trovo quindi che questo sistema concorra nel rendere confusionaria una meccanica di combattimento che in proporzione funzionerebbe meglio se più pulita e meno didascalica.
Questo ragionamento sulle meccaniche di combattimento racchiude bene o male tutti i punti negativi che ho riscontrato spolpando il gioco dei ragazzi di Berlino, un titolo veramente denso e divertente, molto ben strutturato a livello di world building, ricchissimo di abilità, armi e armature da creare, ma rudimentale.
Nonostante gli sforzi e il buon comparto visivo l’impressione è quella di trovarsi costantemente immersi in un mondo ancora acerbo, costellato di piccole imperfezioni tecniche, animazioni piuttosto abbozzate, elementi compenetranti, menu esteticamente abbastanza poveri e una storia che per quanto divertente e intrigante da approfondire non riesce comunque a raggiungere chissà quale vetta di profondità narrativa.
Ma quindi è bello o brutto?
Fermi tutti. Ho anche detto che il gioco è bello e divertente… e in effetti è così, Stray Blade cattura e lo fa immediatamente grazie alla vivacità della sua anima e ad alcuni punti di forza oggettivamente insindacabili.
Un level design con i fiocchi
Acrea è bellissima, una terra grande, ma senza esagerare, ricca di prati con cascate, nebbiose foreste, montagne, antichi templi e arcaici monumenti. Esplorarla è fantastico e ogni angolino ci permetterà di raccogliere qualche materiale utile a creare equipaggiamenti una volta raggiunta un fidata forgia.
Ciò che è veramente incredibile però è la qualità del level design, che definirei eccellente: sicuramente mutuata dal lavoro svolto da From Software nei suoi ormai famosi lavori e nel recente Elden Ring, la struttura del mondo è completamente connessa grazie a una rete di scorciatoie e porte progettata in maniera assolutamente minuziosa e oltremodo inaspettata.
Contrariamente ad altri titoli basati sullo stesso concept di struttura della mappa, in Stray Blade mi è quasi sempre capitato di rimanere sbalordito nello scoprire che di esser tornato in un determinato punto visitato in precedenza dopo mezz’ora di esplorazione vagando a naso, senza nemmeno guardare la bussola interattiva richiamabile con il tasto direzionale.
Trovo che questo elemento di design sia davvero meraviglioso, un trucco per rendere più viva e spiazzante la mappa di un titolo che comunque non è open world e che rimane decisamente più contenuto, presentando un mondo più simile alle open map degli ultimi Tomb Raider.
Sbaglio o è cambiato qualcosa?
Uno dei cavalli di battaglia di Stray Blade è proprio il suo mondo: secondo gli sviluppatori Acrea è viva… e lo è veramente, anche se non come ci si potrebbe aspettare.
Però l’idea funziona più che decentemente e aggiunge un altro tassello a un puzzle fatto di tanti piccoli dettagli che rendono il gioco assolutamente da provare.
Il tempo nel mondo di Stray Blade non si ferma mai e continua a scorrere anche alla morte; mentre la nostra anima rientra nel flusso energetico della natura e il nostro corpo viene riportato in vita dal magico Boji, le lancette continuano a correre e dove prima vi era luce potrebbe esser calata l’oscurità, con tanto di cambiamento di fauna e nemici in campo, un sistema in grado di rendere sempre freschi esplorazione e loot.
Ma non solo: alcuni accampamenti prima del nostro passaggio dominati da spietati soldati potrebbero ora essere stati invasi da belve selvatiche, riappropriatesi del loro habitat una volta scomparso l’invasore.
O al contrario, alcune zone una volta completamente selvagge potrebbero successivamente venire colonizzate da esseri umani… un sistema di popolazione del mondo davvero originale che svecchia a tutti gli effetti il classico e banale meccanismo di respawn dei nemici.
Se le mie parole potrebbero però aver dipinto uno scenario idilliaco mi è d’obbligo rivelare che nonostante l’idea brilli di originalità, non è purtroppo stata messa in pratica egregiamente e non porta alcun reale cambiamento al mondo di gioco al di fuori di quanto appena descritto, rientrando dalla finestra come quel pizzico di spunto in più ma con lo stesso retrogusto di abbozzato che caratterizza un po’ tutto il videogioco.
Armi e abilità sono una cosa sola
Un’altra meccanica che ho trovato particolarmente intrigante è proprio quella della progressione del personaggio e delle sue abilità, un sistema di sviluppo legato a doppio filo a quello dell’equipaggiamento; ma mentre le armature vanno a influire unicamente su alcune statistiche del personaggio come difesa e stamina, le armi giocano qui un ruolo assolutamente fondamentale.
Gli sviluppatori hanno ovviato alle limitate doti di GDR del gioco inserendo una lista di ben 30 armi con cui combattere, 22 di derivazione umana e 8 progettate dalla civiltà acreana, forgiabili una volta recuperati i relativi progetti.
Grazie però alla brillante idea di legare le abilità di potenziamento (acquistabili guadagnando esperienza in battaglia) a ognuna di esse, le armi non rappresenteranno solamente strumenti indispensabili alla vittoria ma un vero e proprio schema di livellamento del protagonista.
In questo modo non solo saremo in grado di giocare con moltissime armi differenti ma saremo forzati a utilizzarle tutte per portare al massimo la maestria di Farren nel loro utilizzo, pena l’impossibilità di sbloccare le abilità collegate a esse.
Un sistema davvero intelligente in grado di assicurare una grandissima varietà a un gameplay che di fatto è esclusivamente incentrato sul combattimento.
La varietà di armi è così vasta da non stancare mai, obbligandoci in senso positivo a rivedere le nostre strategie scontro dopo scontro; lance, spade, lame, martelli, qualsiasi strumento di morte impugneremo sarà caratterizzato da differenti moveset e statistiche di attacco.
Il sistema funziona egregiamente in quanto le abilità sbloccabili utilizzando le armi non sono affatto legate a una di esse in particolare; volendo quindi per esempio aumentare gli slot disponibili al trasporto di bacche curative, dovremo “maxare” la mestria nell’uso di una determinata spada.
Non potremo quindi semplicemente favorire alcune armi rispetto ad altre, non in prima battuta, al fine di potenziare il più possibile Farren dovremo necessariamente sperimentare il combattimento con ognuna di esse.
Il solo meccanismo di sviluppo del personaggio, come se l’ottimo level design non bastasse, rende Stray Blade un titolo assolutamente imperdibile per tutti gli amanti del genere; non perché denoti chissà quale profondità di game design ma perché rappresenta la dimostrazione tangibile dell’intelligenza degli sviluppatori nell’inventare un metodo atto a mantenere alto l’interesse del giocatore all’interno di un titolo che vive di enormi limitazioni.
Una lama rudimentale
Come anticipato, Stray Blade è un titolo che avrebbe beneficiato uno sviluppo più approfondito.
É sviluppato da un piccolo studio e probabilmente si nota, i glitch sono parecchi, divisi tra animazioni imprecise, compenetrazioni e uno strano effetto che mostra gli elementi in lontananza muoversi in maniera scattosa, come se non venissero volutamente renderizzati tutti i frame delle animazioni.
Tuttavia il gioco si fa strada nella nostra testa con i denti e con le unghie, richiamandoci costantemente grazie alla sua sprizzante energia e a un mondo che risulta comunque piacevole da affrontare ed esplorare alla ricerca di ogni dettaglio di una storia che in fin dei conti riesce a stuzzicare l’interesse, pur rimanendo eccessivamente ancorata a un immaginario un po’ troppo infantile; un pubblico che ritengo essere decisamente lontano da un titolo fortemente connotato da elementi soulslike come un grado di sfida mediamente alto, pur risultando ben più digeribile rispetto a titoli analoghi di ben altra pasta.
Stray Blade risulta infine nel complesso un titolo dal valore elevato sotto un profilo squisitamente ludico: è bello da giocare ma poco da vedere, o meglio, potrebbe essere più bello da vedere.
La grafica in stile cartoon, con i suoi colori saturi e le sue ombre sfumate, rende l’avventura simpatica e leggera anche nelle situazioni più oscure ma manca di uno stile estetico originale che non arriva nemmeno a esagerare da un punto di vista marcatamente grafico, dimostrandosi però eccellente da un punto di vista tecnico grazie a dei granitici 60 frame al secondo e alla quasi totale assenza di caricamenti. Sfortunatamente invece non posso esprimermi positivamente circa il comparto audio, che ho trovato piatto e giusto di contorno.
La ciliegina sulla torta sarebbe stata la possibilità di disattivare le evidenziazioni degli attacchi e l’animazione delle finisher (belle le prime volte, tediose in seguito), non ritengo però rappresentino reali nei di cui tener conto in fase di valutazione. Mi sono divertito, tanto mi basta.
Stray Blade RECENSIONE | Un Dark Souls... Disney?
Quando Dark Souls viene morso a una caviglia da un cartone animato della Disney quello che ne esce è Stray Blade, un coloratissimo e vivacissimo videogioco action fantasy con elementi RPG connotato contemporaneamente da un mood costantemente sopra le righe e da un combat system brutale.
Un coloratissimo soulslike con qualche incertezza di sviluppo ma che non mancherà di divertire facendo scendere qualche goccia di sudore.
Pro
- Level design eccelso
- Divertente e visivamente carino
- Moltissime armi e abilità
Contro
- Combat system acerbo
- Qualche limite tecnico
- Comparto audio anonimo