State of Mind – Recensione
Corpo, anima, coscienza, intelligenza artificiale e società utopica sono temi ricorrenti nella fantascienza moderna e non; da sempre si sono estesi a media di ogni genere, dal cartaceo al cinematografico, dall’animazione episodica, fino ad arrivare al mezzo più giovane fra tutti: l’intrattenimento videoludico.
A un primissimo e superficialissimo impatto, State of Mind finirebbe paragonato con Detroit Become Human, il recente Tripla A figlio di Sony e Quantic Dream, ma la realtà dei fatti è diversa: senza dubbio alcuni tropes coincidono, ma il lavoro dell’azienda francese punta a toccare corde più emotive e sociali, piuttosto che presentare un duro, credibile e non troppo lontano futuro della società.
State of Mind è un’esperienza interattiva, sviluppata da Daedalic Entertainment, che nel proprio curriculum vanta giochi d’indubbio valore, come Silence, la serie Deponia e Machinarium. L’azienda tedesca, dopo undici anni di onorata carriera ha quindi realizzato un gioco dalle tinte futuristiche e thriller, fortemente story-driven e incentrato sulle (dis)avventure di Richard e Adam, due uomini, mariti e padri estremamente diversi e dalle vite pressoché opposte, ma che per lo sviluppo degli eventi scopriranno essere assai più legati di quanto si possa credere, in quanto ugualmente invischiati in un turbine di eventi, complotti e incidenti in cui la definizione di materico e virtuale, naturale e artificiale si fondono e confondono, fino a risultare indistinguibili.
La storia (lunga circa 8-10 ore) si dipana quindi attraverso due principali protagonisti, affiancati da numerosi comprimari. Tutti i personaggi, anche quelli apparentemente di minore importanza, sono stati pensati e scritti con cura, per risultare credibili durante il loro breve screen-time; in particolare, Richard Nolan riesce a mantenere una coerenza adamantina dall’inizio alla fine di State of Mind, senza per questo apparire stereotipato o macchiettistico, dunque prevedibile.
L’unico, oggettivo difetto della narrazione di State of Mind è semmai una condizione esattamente opposta alla banalità: nell’ultimo terzo del gioco gli eventi si susseguono senza pausa e questo aiuta sicuramente il giocatore a non annoiarsi, ma strappa con violenza quella sensazione “neo-noir” delle prime ore e getta senza remore in azioni e scelte macroscopiche che potrebbero confondere o persino indisporre, visto il loro build-up quasi assente.
Non è da escludere che questa mancanza d’equilibrio tra prima e seconda parte di State of Mind sia stata dovuta alla tante, forse troppe idee messe in ballo in sede di scrittura e sceneggiatura, impossibili da sviluppare in modo completo a causa dei limiti strutturali (ed economici) del titolo: se i finali di Detroit Become Human sono sembrati a molti fumosi e troppo aperti, State of Mind riuscirà a scombussolare ancora di più i giocatori, tirando in ballo concetti ben più astratti e cavillosi, per quanto incredibilmente affascinanti e attuali.
Escludendo quanto appena detto, non mancano alcune ingenuità di trama, probabilmente causate dal non potersi dilungar troppo in eventi secondari e “spiegoni”, che avrebbero annacquato una seconda parte in cui gli sviluppatori sono riusciti a introdurre divertenti (per quanto semplici) sezioni d’enigmi ambientali e puzzle, quasi del tutto assenti nella sezione iniziale di State of Mind.
Il gioco dell’azienda tedesca punta in primis a colpire con il suo stile e raccontare una bella storia. La grafica ha uno stile volutamente low-poly e palette di colori vibrante a dispetto dell’inverno berlinese del 2048: tanto i neon dell’ambiente urbano e freddo, quanto la luce soffusa e calda della misteriosa City-5 giovano della scelta estetica, così come i modelli dei personaggi. Al di là dello stile grafico minimalista, la cura per il design del titolo (e soprattutto per la realizzazione degli interni degli edifici) è in grado di far immergere il giocatore in ogni luogo e vivere l’avventura nel migliore dei modi.
A tal scopo concorre anche l’ottimo comparto audio, che vanta un’OST caratterizzata ed espressiva e un team di doppiaggio senza dubbio competente. Anche i testi e sottotitoli a schermo, presenti anche in italiano, sono pressoché privi d’errori e permettono anche ai meno avvezzi alle lingue straniere di capire agevolmente cosa accade e come proseguire nel gioco. Unico neo per la componente immersività sono le animazioni dei modelli in-game, estremamente rigidi e con espressioni vitree anche durante i filmati; il problema è senza dubbio arginato dall’estetica simil-cubista analitica, applicata persino agli effetti particellari e ambientali, ma rimane un limite presente, evidente soprattutto nel caso si giochi a ridotta distanza dallo schermo.
Il livello di difficoltà di State of Mind rende tutto perfettamente fruibile anche ai giocatori non esperti: esclusi i citati enigmi ambientali e alcune intuitive meccaniche di esplorazione, il gioco richiede una coscienza in stato cognitivo poco superiore al Nrem e pollici opponibili e, nel caso si stessero utilizzando mouse e tastiera, questi diventano persino opzionali.
Ciò che invece richiede la massima soglia d’attenzione è la comprensione (e apprezzamento) del cuore pulsante del titolo, ovvero la storia: si tratta senza dubbio di temi già trattati in altre sedi e in ogni epoca del mondo moderno, eppure nella sua semplicità – e con qualche ingenuità – State of Mind regala scene di grande impatto, che portano a riflettere (ancora una volta) su quanto labile possa essere la differenza tra la nostra vita e un’avanzatissima simulazione.
State of Mind è il Detroit Become Human di cui abbiamo bisogno. In attesa di lavori ben più longevi e con maggiore spazio di manovra sia per tempi che per risorse investite in sede di sviluppo per osservare, ipotizzare, reinventare il futuro della nostra specie (Cyberpunk 2077 anyone?) State of Mind mostra un’umanità spaccata e sanguinante, tra sognatori e disillusi, impotenti e onnipotenti, umani, avatar e macchine. La più volte nominata accelerazione finale non rovina tutto quello che di buono offre il titolo, ovvero una confusa, ma piena sensazione d’aver vissuto qualcosa di scritto con la testa e creato con il cuore… organico o artificiale che sia.
Pro
- Resa grafica ed estetica azzeccata
- Musiche e doppiaggio di ottimo livello
- Personaggi ben scritti, convincenti
- Gameplay scorrevole per tutta la durata della storia
Contro
- Estremamente lineare, scelte quasi sempre irrilevanti
- Animazioni rigide, a volte poco convincenti
- Fasi finali affrettate
- Il budget limitato ne ha mozzato il potenziale