SoulCalibur Legends – Recensione SoulCalibur Legends
Soul Calibur Legends
Quando si sente risuonare nell’aria il titolo Soul Calibur, la prima cosa che ci viene in mente è il famoso picchiaduro all’arma bianca. Fino ad ora la serie si era limitata a produrre capitoli in sequenza, e con il quarto capitolo (in realtà quinto) l’intera saga si posa sui gradini per aspettare una nuova ventata di freschezza. Tuttavia, mentre usciva quello che è stato denominato come l’ultimo capitolo della serie su XBox 360 e PlayStation 3, Soul Calibur IV, su Wii accadeva qualcosa di strano che portava il nome di SoulCalibur. Il primo spin-off della gloriosa serie di picchiaduro, ecco cosa accadeva; o, meglio ancora, usciva. Sotto il nome di Soul Calibur Legends, approda in esclusiva su Wii uno spin-off che libera le spade dei guerrieri nella frenetica vita dei giochi d’azione.
La minimappa è l’inutilità primaria
La forma originale? Fino ad ora la migliore
La saga di Soul Calibur non è mai stata propriamente riconosciuta brillante per la sua storia, ma ciò che ha sempre più entusiasmato dei vari personaggi era il semplice passato citato nei loro vari profili. Soul Calibur Legends tenta di riproporre alcuni retroscena, e di ampliare la visuale del giocatore sulla trama; purtroppo è solo un tentativo. Un pretesto, lo chiamerebbero alcuni. Ebbene sì, la trama che si tenta di approfondire non viene di fatto approfondita, la serie non giova di nessun supporto narrativo da parte di questo spin-off, che per quanto concerne la trama risulta oltremodo inutile, se non altro piacevole nell’introduzione e nel finale. E quest’ultimi, privati del look degli storici video introduttivi in 3D, sono stati resi in alcune sequenze animate che ad ogni modo nessuno disprezzerà, visto lo stile e la dedizione che gli è stata dedicata. Il cast che è stato chiamato all’appello, e parliamo dei personaggi utilizzabili, è composto da solo sette personaggi. Oltre ai noti Astaroth, Ivy, Mitsurugi, Sophitia, Taki e Siegfried, Soul Calibur Legends non fa eccezione e porta con sé quell’abitudinario personaggio “fuori luogo”. E se non viene da un famoso fumetto o da una lontana galassia, viene da Tales of Symphonia. La guest star è infatti Lloyd, che per motivi decisamente assurdi si ritrova implicato nella leggenda. Il gameplay, su cui erano riposte numerose speranze, è caduto in un fascio di giochi davvero poco eclatanti. La combinazione Nunchuck e WiiMote tiene in sé tutte le combo dei personaggi: con combinazioni particolari dei controller è possibile attuare tutto l’elenco mosse, che per ogni personaggio è abbastanza spigoloso e conciso. La modalità a singolo giocatore, ovvero quella principale, è suddivisa in missioni, che tentano di riproporre enigmi fra i più basilari nella storia dei dungeon. L’azione d’altra parte non è varia quanto si possa immaginare, i nemici si contano sulle dita delle mani e nessuno di loro si rivelerà particolarmente ostico. Se c’è infatti qualcosa che va a minare quel minimo di dedizione che è stata donata al gameplay, è il livello di sfida. È infatti oltremodo facile farsi largo fra i nemici con semplici colpi e parate, evitando quel minimo di varietà che l’elenco mosse dei vari personaggi tenta di dare. La struttura restante su cui si erge il gioco è quella già vista per tutti i giochi di questo genere: una barra della vita, una minimappa, e come non citare la telecamera gestita in modo automatico che tanto fa storcere il naso. Oltre alla modalità “Storia”, vi sono le più piacevoli modalità dedicate al multiplayer: Competizione, Cooperativa e Duello. Le tre suddette modalità sono quel che serviva a rendere giusto più interessante il gioco, per quanto i duelli e la cooperazione a lungo andare stanchino, vista la natura del gioco.
La possibilità di scegliere i componenti del party è sicuramente una nota positiva
Vesti strappate
Comparto grafico e sonoro sono a malapena vicini alla mediocrità, e questo spinge sempre di più il gioco verso un abisso inglorioso. I personaggi principali sono resi bene, ma non si può dire altrettanto dei paesaggi e dei nemici, spesso scialbi e privi di una degna caratterizzazione. Le animazioni non godono anche loro di una grande qualità, e la resa complessiva della grafica raggiunge livelli solo accettabili. Il comparto audio è forse più curato per quanto riguarda il doppiaggio e la colonna sonora, ma d’altra parte gli effetti sonori sono repentini e prolissi. La longevità, che dir si voglia, è invece un aspetto riuscito, ma solo se si riesce a deglutire la struttura del gioco. Ad ogni modo, le varie modalità costituiscono quella dozzina d’ore mediamente dedicabili.
Se si torna a parlare di comandi, e della risposta che essi danno, si può andare su qualcosa di discretamente più elevato per quanto riguarda la qualità, ma nulla di particolarmente curato e ben sfruttato.
Tiriamo le somme
Soul Calibur è una serie che ha sempre ottenuto un grandissimo successo e grandi acclamazioni dalla critica specializzata. E se non per la gioia di rivedere alcuni beniamini in questo esperimento mal riuscito, non vi sarà alcun giocatore a cui sarà consigliato l’acquisto di questo spin-off. La sua vicinanza agli standard che fanno di un gioco “un gioco mediocre” non è affatto sufficiente a rendere godibile l’esperienza di gioco. Una trama affascinante ma spoglia, un gameplay pensato ma non riuscito, un comparto tecnico fondato ma ingiusto, sono la rovina di un qualcosa che sarebbe potuto divenire grande. È sicuramente facile pensare che questo sia un gioco che del brand porta solo il nome e non la qualità, ed è difficile smentirlo perché pare sia proprio così.
I fan potranno tentare di giocarci, e forse il loro amore verso la saga riuscirà a farli digerire il duro colpo; per quanto riguarda invece i giocatori più casuali, e che la Soul Edge mai hanno sentito menzionare, provino pure ad apprezzarlo, ma gli si consiglia di provare la saga originale. Soul Calibur Legends: una medaglia di partecipazione fra i trofei ottenuti dalla serie.