Shadows of the Damned – Recensione Shadows of the Damned
Shadows of the Damned è riuscito a suscitare grande clamore alla vigilia della sua uscita per via dei nomi coinvolti nel progetto. Il gioco edito da Electronic Arts e sviluppato da Grasshopper Manufacture ha infatti visto gli sforzi congiunti di mostri sacri del settore come Goichi Suda, geniale mente creativa che ha partorito un capolavoro come No More Heroes, e Shinji Mikami, il papà della serie Resident Evil e apripista del survival horror di ultima generazione grazie allo sviluppo di un autentico capostipite del genere come Resident Evil 4.
All’inferno e ritorno
In questo titolo ecccessivo e sempre sopra le righe vestiremo i panni di Garcia Hotspur, un tenebroso e tatuatissimo cacciatore di demoni dal coraggio indomito e dalla battuta a doppio senso sempre pronta. Garcia ama alla follia la sua dolce e biondissima Paula e farebbe di tutto pur di proteggerla. Così Fleming, uno dei sovrani degli inferi, decide di rapire la ragazza per poter stabilire un patto con Garcia. Per avere indietro Paula, Garcia deve infatti prostrarsi a Fleming, dichiararsi suo schiavo e soprattutto autodefinirsi una nullità. Per tutta risposta il cacciatore di demoni riempie di coloriti insulti in lingua spagnoleggiante il re dell’inferno e così Paula viene definitivamente portata nel regno dei dannati. Inutile dire che Garcia si lancia così in una disperata ricerca della sua amata, massacrando tutto ciò che si frappone fra lui e il suo scopo. In questo viaggio avremo al nostro fianco sempre il fido teschietto Johnson che si rivelerà uno dei compagni più utili della storia dei videogiochi.
Trash e kitsch
Come abbiamo già accennato in precedenza, il gioco è volutamente kitsch e sopra le righe, sia nei dialoghi che nello stile artistico, in quello narrativo nonché nel gameplay. Un trash però voluto e controllato, artistico a tal punto come solo in un film di Tarantino dei tempi d’oro potrebbe essere. In questo splatter nulla è lasciato al caso e tutto è frutto di una precisa scelta artistica. Un’atmosfera che non faticherete ad amare immediatamente, ancora di più se siete fan di registi del calibro del già citato Tarantino o di Robert Rodriguez per esempio. Il titolo è inoltre innervato da un umorismo nero molto divertente in cui le pallottole si alterneranno a colorite espressioni in lingua chicana. Tutto è esagerato: dal nostro compagno Johnson che si trasformerà in armi da fuoco come lo spara-denti o lo spara-crani, in torcia o in motocicletta, alle capre che fungono da lampade, ai distributori di alcolici ricarica-energia, fino agli occhi alati che vi indicheranno la strada defecando dall’alto. Un titolo che scorrerà liscio fino alla fine, che va goduto e apprezzato tutto d’un fiato ma che difficilmente, è proprio il caso di dirlo, rigiocherete una seconda volta dopo averlo concluso.
Resident dell’oltretomba
Dal punto di vista del gameplay il tocco di Mikami appare evidente poiché ci troviamo di fronte a un third person shooter con elementi adventure, molto simile per struttura in quanto visto in Resident Evil 5. Questa struttura di gioco risulta palese in elementi cruciali quali la visuale della telecamera a tre quarti alle spalle del protagonista, il sistema di interazione con le location e soprattutto il metodo in cui Garcia si sbarazza dei suoi nemici demoni utilizzando le armi da fuoco. In questo caso però le novità sostanziali sono rappresentate dal fattore enigmi in cui vi imbatterete durante il vostro cammino e la possibilità, finalmente direi, di potere correre e sparare contemporaneamente. Le armi in cui Johnson potrà progressivamente trasformarsi sono all’incirca 10 e una volta eliminati i nostri nemici potremo impossessarci di cristalli bianchi o rossi, utilizzabili rispettivamente per acquistare oggetti o potenziare il nostro strampalato arsenale, colpo di luce secondario compreso. Tra un massacro e l’altro di demoni, il cui campionario faunistico è molto variegato e degno di nota, e la risoluzione di alcuni enigmi mai troppo frustranti, ci imbatteremo anche in boss di fine livello molto divertenti da affrontare per via delle differenti strategie che dovremo operare per sconfiggerli; il tutto fino alla resa dei conti con Fleming. Importante mettere in evidenza come tutta l’esperienza di gioco sia basata anche sull’alternarsi di luce e ombra. I nostri nemici infatti si nutrono di oscurità al contrario di Garcia che perderà lentamente energia nell’ombra. Di convesso quando ci troveremo alla luce al cacciatore di demoni verranno affibbiati dei bonus nel combat system mentre i vostri nemici soffriranno in maniera molto evidente.
Il bello degli Inferi
Sotto il profilo tecnico il titolo si comporta molto bene e trasuda arte, in un concetto molto sui generis sia ben chiaro, da tutti i pori. I modelli poligonali sono molto curati e dettagliati fin nei minimi particolari. Anche le animazioni realizzate per i vari movimenti sono molto credibili. Stesso discorso per la texturizzazione e per l’uso sapiente di shader che dettagliano in maniera molto convincente i volti dei personaggi e le varie espressioni. Buono anche il lavoro svolto per ciò che concerne gli ambienti così come la caratterizzazione degli stessi, perennemente sopra le righe. Il sonoro vede una colonna sonora pesantemente hard rock e metal coadiuvata da un doppiaggio in inglese ottimo anche se non proprio politically correct. Le espressioni colorite in spagnolo e le battute grossolane a sfondo sessuale da osteria infatti si sprecano, quindi i puritani sono avvisati. Un esempio su tutti sono i riferimenti di Garcia alla potenza del suo “fucilone a pompa”, ma d’altra parte è proprio in questa sfacciataggine grandiosamente fuori controllo che sta il bello del gioco.
Shadows of the Damned è un titolo che non osa moltissimo sotto il profilo del gameplay e della trama, un tantino scontata a dire il vero, ma sicuramente può dirsi un esperimento riuscito soprattutto per via della forte carica artistica che lo caratterizza. Un character design simile e un level design così ingegnoso sono difficili da trovarsi nelle produzioni moderne così come un umorismo così nero e sboccato che certamente amerete fin dalle prime battute.