Saint Seiya: Sanctuary Battle – Recensione I Cavalieri dello Zodiaco: La Battaglia del Santuario
La modalità storia si divide in più selezioni che verranno rese disponibili man mano che si procede nel gioco, mettendoci nei panni ora dei Cavalieri di bronzo, ora di Aiolos e così via. Scegliendo di svolgere le missioni, invece, verremo posti di fronte a obiettivi dalla difficoltà crescente affrontabili con uno qualsiasi dei personaggi di gioco, ognuno dei quali opportunamente potenziabile grazie ai punti esperienza ricevuti a ogni battaglia terminata. A questo proposito, utile dire che il roster selezionabile include tutti i rappresentanti delle dodici costellazioni proprie dell’astrologia, i cinque Cavalieri di Atena più qualche altro comprimario principale proveniente dalla prima serie. Inoltre, il punteggio ottenuto nella missione potrà in seguito essere caricato online per saggiare la nostra abilità al cospetto della galassia intera (si fa così per dire). Concludendo, la modalità permette anche di affrontare delle missioni in tag team, affrontabile sia in singolo che da due giocatori – un multiplayer che definire inutile sembra già un complimento, nonostante possa inizialmente intrattenere ma che rimane semplicemente un’aggiunta a una formula di gioco fondata principalmente sul gioco in singolo. Insomma, il vero problema è che in qualche modo si suppone che un’offerta ludica odierna tenti di differenziarsi secondo la modalità selezionabili, ed è un peccato constatare come il carattere ludico del titolo venga compreso fin troppo a fondo già dalla prima partita, pregiudicandone così la longevità. Pur nella misura in cui riesce a convincere, l’esperienza offerta dalla prima ora di gioco si riproporrà ininterrotta sino alla fine.
Eppure. Concentrare la nostra attenzione sul piano tecnico pregiudica la capacità di prendere in conto l’aspetto più importante del titolo. L’illusione che un buon gioco consista nella sua struttura variegata, nel suo aspetto all’avanguardia o nella sua popolarità è giusto solo un’illusione. Che cosa sia un buon gioco è, invece, ben meno chiaro. Quello di cui parliamo è un gioco lineare, senza pretese. Non stimola un’attenta fruizione e neppure la richiede. È però davvero difficile non ammettere che sia un gioco che convince, nella misura in cui convincono le innumerevoli minuzie che i programmatori hanno sapientemente dosato e che l’appassionato coglierà con malcelata nostalgia e la forza e la concretezza di un sistema di controllo che non lascia spazio a dubbi: I cavalieri dello zodiaco: la battaglia del santuario diverte.
Diverte sfruttare un sistema di controllo progettato per produrre un autentico coinvolgimento immaginativo nel giocatore: macchinoso all’inizio, una volta masterizzato dona soddisfazioni tanto imprevedibili quanto gradite. Soprattutto alle difficoltà più elevate, infatti, non è raro il caso in cui stretti con le spalle al muro nasca un coinvolgimento che si rifletta in analoga misura alla situazione, ormai disperata, del proprio simulacro, e ciò a cui devono rispondere certe funzioni di attacco e difesa finiscono quasi per superare il distacco tra finzione di gioco e realtà, facendoci elevare al rango di Cavaliere: se ad attivare il settimo senso non è che la pressione di un tasto, per entrare nel Vero settimo senso dovremo invece affidarci alle parate perfette; per far scaturire in noi l’energia necessaria per sferrare uno degli attacchi speciali del proprio personaggio invece, dovremo agire senza alcun errore nel parare e infliggere al nostro avversario più attacchi in sequenza (o, al contrario, utilizzare un Continua dopo una nostra morte); immergersi negli scontri più impegnativi che il gioco propone significa non riversare la sorte del proprio successo unicamente sulla crescita del proprio personaggio ma valutare attentamente la propria strategia in base agli attacchi del nemico e agire di conseguenza.
Certo, ogni singola caratteristica qui elencata non sarebbe, qualora presa singolarmente, che un’aggiunta di poco interesse. Ma è la loro appartenenza a un insieme coerente, fedele all’opera di appartenenza e per di più spassoso e senza pretese che dà quel fascino che riesce a reggere onestamente la fragile impalcatura di Dimps. È chiaro che, in questi termini, La battaglia del santuario si trova quasi completamente dalla parte del “buon gioco per appassionati” piuttosto che da quella del “buon gioco in senso assoluto”. Ma inutile nascondere che questa fosse una verità già manifesta, riconfermata qui forse solo per senso del dovere, proprio come si confà a un vero Cavaliere di Atena. E la sensazione è che forse oggi rendiamo scarsa giustizia al “gioco per appassionati”, quando invece le tante ragioni che lo vedono possibile sono, per alcuni, più che ragionevoli.
Una recensione difficile. Il sentimento che si prova giocando a I Cavalieri dello zodiaco: la battaglia del santuario oscilla tra l’esaltazione pasciutamente compiaciuta dell’appassionato, forse ormai cresciuto, e la delusione per un’occasione malamente utilizzata, perdonabile solo in parte e non senza una buona dose di interrogativi irrisolti. Ci troviamo, in realtà, di fronte a un’opera riuscita solo in parte. Difatti, I cavalieri dello zodiaco: la battaglia del santuario ha il suo nucleo nel coinvolgimento che riesce a offrire tra le sue corazze opalescenti e scene nelle quali l’indole eroica del giocatore dovrà per forza prendere il sopravvento sul suo temperamento razionale e non fa leva in alcun modo sulla sua componente tecnologica o strutturale. Sarebbe quindi sbagliato catalogare l’impresa di Dimps come un fallimento poiché, al suo interno, si cela qualche piccolo successo: o quanto meno, di questi successi ci si dà, individualmente, una risoluta assicurazione.