Return to Monkey Island – Recensione
È inutile negare che l’annuncio di Return to Monkey Island, lo scorso Aprile, è arrivato come una sorpresa inaspettata, visto che l’ultimo titolo, Tales from Monkey Island, risaliva al 2009 e lo studio di sviluppo Telltale Games aveva “oltrepassato il velo della morte” nel 2018. Insomma, gli ingredienti per una scomparsa nell’oblio del franchise c’erano davvero tutti. Pochi mesi fa, però, è arrivata la conferma di Ron Gilbert e del co-writer Dave Grossman: il 6° titolo della saga era in lavorazione da 2 anni e avrebbe visto il ritorno di gran parte del team dietro ai precedenti capitoli, compresi i doppiatori Dominic Armato e Alexandra Boyd (Guybrush ed Elaine) e il trio di compositori Michael Land, Peter McConnell, e Clint Bajakian.
Beh, lo scopo di questa recensione è la ricerca della risposta a una delle domande fondamentali: è possibile fare giochi innovativi per un target di giocatori e giocatrici affezionato ai classici?
La ricerca del punto di unione fra freschezza e classicità è proprio al centro dell’anima di Return to Monkey Island e lo si nota (per chi non avesse visto i trailer) già dalle prime immagini: è evidente, ed espresso anche dagli stessi creatori in diverse interviste, che il team di sviluppo ha sempre voluto spingere un po’ oltre l’asticella, per i vari Monkey Island. Un esempio validissimo è il box di testo dal quale scegliere i dialoghi, elemento presente nel primo titolo ma scomparso nelle successive iterazioni in favore di testi che galleggiano attorno al character che parla e che in Return to Monkey Island diventa elemento di UI meta-diegetica, dato che potremo capire cosa pensa Guybrush di un oggetto o di un altro character solamente arrivandoci sopra con i tasti dorsali di Switch (R e L). Bastano davvero pochi secondi e una manciata di interazioni per apprezzare quanto fatto dal team di sviluppo, primi elementi di una serie di accorgimenti che dimostrano una cura verso il franchise e il suo target che è difficile non definire lodevole, e che riaccendono il ricordo dell’immancabile ironia che permea l’esperienza di gioco dei Monkey Island in generale.
C’è un altro elemento importante del quale voglio parlarti: i comandi. Non ho mai nascosto la mia opinione su Nintendo Switch, una console che, pur in grado di portare titoli interessanti nelle mani di giocatori e giocatrici, soffre ancora di un’eccessiva plasticosità e di una user experience, a livello di comandi, che mi viene da paragonare ai movimenti caotico-dinamici delle mani di Doctor Strange. Chiaro quindi che la mia preoccupazione fosse tanta, nell’affrontare l’esperienza Return to Monkey Island proprio su Switch. Come dice il saggio, solo gli idioti non cambiano mai idea, e devo confessarti che la trasposizione delle normali interazioni da punta e clicca sulla console Nintendo è riuscita quasi perfettamente: l’esperienza del team con Thimbleweed Park, che supportava il controller, si nota, tanto che mai a schermo ci sono oggetti troppo vicini; una differenza essenziale è che ora con l’analogico muoviamo fisicamente Guybrush, e il potersi muovere e contemporaneamente ispezionare l’ambiente magari interagendo con questo o quell’oggetto è un’esperienza molto fluida, tanto che, a riguardare i vecchi titoli, sembra che finalmente il mondo di gioco lo si stia vivendo ed esplorando per davvero e non solo osservando attraverso uno specchio. L’inventario è comodo, facile da aprire e consultare, e altrettanto facile è il combinare i vari elementi, azione che in Return to Monkey Island ti troverai stranamente a fare meno del solito.
Ovviamente devo anche parlarti di quello che è rimasto 100% Monkey Island, ossia la storia. Gli elementi narrativi classici ci sono tutti: streghe, pirati, eroi, puzzle da risolvere, barili di ironia e i character folli e assurdi ai quali la serie ci ha abituato, da Guybrush stesso, a LeChuck, senza dimenticare il caro vecchio Stan e le sue mani sempre in movimento. In questo contesto ho apprezzato molto che l’esperienza Telltale non abbia eccessivamente pesato su quanto Return to Monkey Island regala a chi gioca: se negli altri titoli Telltale quasi sempre le scelte sono importanti e, in tutta onestà, sembra che esse ricadano fra una cosa brutta, una più brutta e una davvero pessima, qui è pieno di scelte senza conseguenze e dall’ironia esponenziale. Ah, e lo shader della giacca di Stan è ancora lo stesso, quindi davvero, un inchino agli sviluppatori.
Anche i vari puzzle sono intelligenti e ben congeniati, nel perfetto punto medio fra “scontato” e “machiavellico” che così tanti sviluppatori mancano: devi sapere infatti che il più delle volte, nel momento in cui da game designer costruisci un puzzle, rischi di trovarne la soluzione comprensibile solo perché sei stato tu a crearlo, ed è questo che succede in diversi puzzle game, per lo più indie, che lasciano giocatori e giocatrici in un oceano di dubbi e conflitti esistenziali, per fortuna risolti da una rapida ricerca sul web. Anche in questo gli sviluppatori hanno intrapreso la strada migliore offrendo, all’interno dell’inventario di gioco di Return to Monkey Island, un libro che permette di sfruttare dei suggerimenti sugli enigmi da risolvere nella sezione di gioco in corso senza subire alcun tipo di malus: non ci verrà data la soluzione immediatamente, sia chiaro, ma ci verranno dati 3 indizi sempre più specifici sul cosa fare. È un sistema che funziona e aumenta di molto la fascia di pubblico che può avvicinarsi al franchise dato che, come espresso da Gilbert e Grossman, la porta per eventuali titoli futuri è spalancata e questo non sarà l’ultimo titolo della saga di Threepwood, e sicuramente il voler mettere a dura prova le meningi di giocatori e giocatrici non è il pilastro centrale di quanto Return to Monkey Island vuole regalarci.
Se soundtrack e durata di gioco sono anch’essi perfetti e l’artstyle è semplicemente adorabile, sulla narrazione della decina (o poco meno) di ore di gioco che ti aspettano ti dirò davvero poco, e ho tenuto gli screenshot meno spoilerosi proprio in funzione del godimento che meriti nello scoprire dove va a parare la storia: diciamo solo che Monkey Island e il suo segreto sono di nuovo al centro dell’avventura, in un quintetto di capitoli pieni di colpi di scena, occhiolini a luoghi e personaggi storici della saga, e un finale così commovente e meta che davvero non mi sarei mai aspettato, nemmeno da Monkey Island.
Return to Monkey Island è la dimostrazione che il cambiamento fa bene, anche per saghe e franchise storici: i tanti piccoli accorgimenti del team di sviluppo fanno di questa un’esperienza ai limiti della perfezione, sia come gioco in sé che come titolo Nintendo Switch. La trasposizione dei comandi tipici da punta e clicca al mondo console è ottima, e ora c’è finalmente la sensazione di navigare ed esplorare l’ambiente, senza quel distacco che, a posteriori, sembra inevitabile retrogusto dei precedenti titoli della saga. La presenza dei doppiatori e compositori storici eleva ancor di più la qualità del titolo, che mantiene intatta tutta l’ironia della saga, portandola anche nell’interazione con gli oggetti e i personaggi che abitano i mondi di gioco. Return to Monkey Island è insomma la perfetta idiosincrasia fra “nuovo” e “classico”, e non posso che dichiararmi curioso di come proseguirà l’avventura da qui.
Pro
- L'artstyle è un ottimo elemento per questa nuova iterazione
- Ironia e puzzle sono perfettamente rispettosi della tradizione, pur innovando in alcuni elementi
- Il finale è ai limiti del sublime, e non può far commuovere i più adulti di noi, anche se relativamente agnostici rispetto al franchise
- A sorpresa, i comandi su Switch sono ottimi...
Contro
- ...anche se lo switch fra diversi elementi con cui interagire a volte non rispetta un'orientamento comprensibile