Resident Evil Village – Recensione
Le trilogie di Resident Evil – senza contare i numerosissimi e variegati spin-off, più o meno riusciti –sono ormai nel pieno della loro terza incarnazione: dopo gli indimenticabili fasti degli esordi, con un RE2 e RE3 recentemente riportati in auge con i rispettivi – e ottimi – Remake, dopo la rivoluzione più votata all’action di RE4, RE5 e (soprattutto) RE6, tutto è cambiato, evolvendosi e tornando contemporaneamente origini. Perché dietro al nuovo Resident Evil 7: Biohazard e alla sua prospettiva in prima persona c’era la vera anima del survival horror ideato da Shinji Mikami, quella che non usciva allo scoperto ormai dai primi anni ’90. Con Resident Evil Village Capcom prosegue su questa strada: a illuminarla, la fievole luce di una torcia sempre troppo poco potente, che risveglia in noi l’ancestrale e mai sopita paura del buio. Rabbrividiamo, ma allo stesso tempo abbiamo stampato in volto un sorriso ammaliato: l’ottavo capitolo di Resident Evil è arrivato, e fa davvero paura.
Quattro signori per quattro case
Resident Evil Village riprende da dove il precedente capitolo si era concluso: Ethan e Mia sono ormai lontani dagli orrori della casa dei Baker e, dopo essere stati salvati da Chris Redfield, si sono rifatti una vita in Europa, dove hanno avuto la loro prima figlia, Rosemary. Ma è proprio lo stesso Chris, come già sappiamo dai triler del gioco già rilasciati da tempo, a distruggere questo idilliaco quadro familiare, colpendo a morte Mia e portando via con la forza la piccola Rose.
Questi eventi porteranno Ethan all’interno delle dimore dei “signori”, che insieme alla potentissima Madre Miranda regnano sul misterioso Villaggio che dà il titolo al gioco, mettendo immediatamente sul piatto una delle sorprese più apprezzate di Resident Evil Village: la costante ricerca di coerenza nella narrazione. Nessuno sano di mente, dopo villa Baker, si sarebbe cacciato nuovamente in un incubo del genere. Ethan però non può semplicemente fuggire dal villaggio perché è alla ricerca di sua figlia, e allora ecco che tutto acquista senso: l’esplorazione, i combattimenti, persino gli elementi più leggeri come il mercante – che grazie ai suoi dialoghi danno a quest’ultimo un vero e proprio ruolo nella trama – sono l’ovvia conseguenza del comportamento di un uomo che farebbe di tutto per salvare ciò che resta della sua famiglia. Non possiamo esporci ulteriormente sulla trama ma vi garantiamo che quest’ultima, una volta arrivati ai titoli di coda, pur non fregiandosi di una scrittura memorabile o di incredibili colpi di scena vi fornirà una spiegazione più o meno coerente per tutto: le grottesche e sanguinarie aberrazioni che vi troverete davanti, la ragguardevole soglia del dolore di Ethan Winters, il collegamento alle vicende di casa Baker e persino un riferimento a villa Spencer – insieme a quel simbolo a forma di ombrello che tutti abbiamo già riconosciuto nel trailer – configurano quella giusta componente fanservice che ci manda sempre in brodo di giuggiole. Dedicando un po’ di tempo anche alla lettura dei documenti sparsi per il mondo di gioco, quando alla fine avrete unito tutti i puntini vi ritroverete con una storia degna di un ottimo Resident Evil. Inutile dire che, nella pratica ormai resa tradizione dalla Marvel cinematografica, c’è l’immancabile scena dopo i titoli di coda che lascia ben sperare per un futuro DLC o, perché no, per un RE9 che chiuda questa terza trilogia nel migliore dei modi.
Risparmiandovi inutili e fastidiosi spoiler sulla trama lasciamo a voi il gusto di scoprire le reali motivazioni che muovono Chris Redfield e Madre Miranda, e come queste si intersecano con la Umbrella, e la BSAA. Una cosa però ve la dobbiamo dire: Resident Evil Village fa paura. Ma una paura viscerale, di quelle che anche il più accanito fan dei survival horror (e chi vi scrive ne sa qualcosa -ndr) si è scoperto almeno in un paio di occasioni a saltare sulla sedia urlando come una donnicciola. Il villaggio è terrificante ma le quattro case dei suoi signori lo sono mille volte di più: sappiate che il castello di Lady Dimitrescu, che avete potuto esplorare in parte nella demo, è solo la punta dell’iceberg. La seconda casa è una delle esperienze in stile P.T. terrificante come non ne vivevamo da anni (oltre che riesumare dei vecchi concept dell’ormai dimenticato Resident Evil 3.5), e l’ultima parte del gioco, ambientata in una fabbrica che sembra uscita dagli incubi in cui il Freddy Krueger di Wes Craven macella le sue vittime, è la ciliegina sulla torta di un’esperienza che in quanto a varietà e caratterizzazione dei personaggi è decisamente superiore al precedente RE7. Volendo trovare un neo in tutto questo, ammettiamo che nella totalità dell’esperienza avremmo apprezzato passare un po’ più di tempo in alcune aree: per completare il gioco vi serviranno infatti circa 10 ore, 12 al massimo considerando anche la ricerca dei tesori e l’esplorazione di alcune aree opzionali – che vi suggeriamo caldamente di visitare, dato che una di queste contiene uno degli enigmi più interessanti di tutto il gioco – e alla fine permane la sensazione che alcuni personaggi potevano essere trattati con trame di più ampio respiro. Il secondo e il terzo signore che vi troverete ad affrontare, ad esempio, chiuderanno il proprio cerchio narrativo molto più velocemente del primo e dell’ultimo, così come il tempo necessario a sbloccare tutte le case e i tesori nel villaggio non supererà le due ore totali, calcolando che anche il backtracking è reso molto agevole da scorciatoie che si sbloccano e che aprono strade in grado di collegare molto velocemente i vari punti della mappa.
Se sanguina lo puoi uccidere
Il gameplay di Resident Evil Village è anch’esso un miglioramento di RE7, con quella sensazione di rivoluzione apportata ai tempi da RE4, al quale Resident Evil Village strizza sicuramente l’occhio in più di un’occasione: ritroviamo l’inventario Tetris, in cui spostare e combinare i vari elementi per ottimizzare lo spazio a disposizione, e il mercante. Il Duca, così si presenta a Ethan mentre ammiccando al giocatore fa chiari riferimenti al mercante incontrato da Leon in RE4, è come dicevamo più sopra integrato nella trama, cosa che rende meno strano ritrovarlo nei posti più impensabili durante l’avventura. Il Duca vende nuove armi e modifiche per quelle esistenti, ma non finisce qui: questo bizzarro personaggio acquista anche oggetti, tesori droppati dai nemici e cibo (Ethan può dare la caccia a pesce, pollame e altri animali), tramite il quale cucinare cibi che forniscono dei perk permanenti al protagonista.
Anche il combattimento ha fatto dei leggeri passi in avanti: la nuova meccanica della parata si rivela molto utile contro alcuni tipi di nemici, così come alcune nuove armi, le bombe e le mine offrono interessanti varianti di approccio al combattimento. Alla difficoltà più facile non avrete problemi a liberarvi anche dell’antagonista più coriaceo, mentre aumentando il livello di sfida avrete pane per i vostri denti, anche se giostrandovi bene tra crafting delle munizioni e vendita dei tesori dovreste sempre avere a disposizione abbastanza potenza di fuoco per liberarvi di chiunque vi sbarri la strada. Purtroppo sono proprio le bossfight uno dei punti deboli di Resident Evil Village: nonostante siano necessari un minimo di strategia e di ragionamento per identificare i punti deboli da colpire, per uscire vittoriosi dalle battaglie basta sostanzialmente scaricare il proprio arsenale contro il boss di turno. Avremmo sicuramente apprezzato qualche meccanica più complessa, che avrebbe reso l’esperienza più varia e divertente.
Infine, tornano gli enigmi: mai complessi e per la maggior parte riconducibili alla canonica ricerca della chiave o dell’oggetto necessario a sbloccare la porta corrispondente, i puzzle e la componente di esplorazione si integrano ottimamente nel gameplay e controbilanciano ottimamente le sezioni in cui si impugnano le armi, così da mantenere Resident Evil Village nell’ambito del survival horror, evitandogli di sconfinare nell’action tanto odiato e che per sua natura avrebbe rischiato di rendere meno paurosa l’esperienza.
La paura è nei dettagli
Graficamente Resident Evil Village è ineccepibile soprattutto per quanto riguarda gli interni. Se i campi lunghi tra le strade innevate del villaggio non impressionano più di tanto, una volta entrati nelle case dei signori cambia tutto: gli effetti di luce, i riflessi sulle superfici in legno o sugli umidi mattoni delle cantine, gli angoli sporchi di sangue,… nulla è lasciato al caso e più ci si addentra nell’esplorazione degli ambienti più si sprofonda nell’immedesimazione che ingigantisce la carica empatica che ci lega a Ethan Winters. Il protagonista non si vede mai volto: la visuale è sempre in prima persona e gli specchi troppo sporchi per rifletterne l’immagine. Eppure, grazie a una regia virtuale impeccabile, si riesce a immedesimarsi in Ethan tanto da eleggerlo attore principale del mondo di Resident Evil, al pari di nomi storici come Leon, Claire, Chris e Jill. La telecamera, a tratti claudicante, è intelligentemente utilizzata per sottolineare lo stato d’animo del protagonista nelle occasioni più terrificanti, le stesse in cui anche noi ci siamo ritrovati a sobbalzare sulla sedia.
Passando ai nemici, gli antagonisti di Resident Evil Village non fanno rimpiangere i più classici zombi, rivelandosi una via di mezzo tra questi e dei lupi mannari con un pizzico di windigo – ma chiamiamoli Lycan, per usare la terminologia del gioco – rivelandosi veloci e letali. I signori delle quattro case sono a sé, decisamente più dettagliati e paurosi dei normali nemici che incontrerete sul vostro cammino. Nell’ultima casa, poi, affronterete anche degli abomini particolarmente curati nella realizzazione, che in quello che è l’ennesimo un omaggio a RE4 andranno colpiti in precisi punti deboli per essere abbattuti.
Per terminare l’analisi sul comparto tecnico, non possiamo esimerci da fare un grande applauso al porting su console: se su PS5, Xbox Seris X/S e PC Resident Evil Village dà ovviamente il meglio di sé, siamo ben felici di segnalarvi come l’esperienza sia perfettamente godibile in tutto il suo spaventoso splendore anche sulle ormai anziane PlayStation 4 standard e Xbox One. Fatte salve l’attesa di circa 45 secondi per il caricamento iniziale e ovviamente la risoluzione inferiore, il gioco procede senza tentennamenti per l’intera durata dell’avventura, stupendo anche nell’incredibile velocità di salvataggio – da effettuarsi alle sempreverdi macchine da scrivere – o di caricamento di un checkpoint a seguito di una prematura dipartita. La stessa fluidità si ritrova anche nel gradito (e molto richiesto dai fan) ritorno della storica modalità mercenari, che vi vedrà affrontare interminabili orde di nemici entro un tempo limite: anche in questo caso il RE Engine si dimostra all’altezza delle aspettative e perfettamente in grado di gestire anche molti elementi in movimento contemporaneamente sullo schermo, caratteristica fondamentale in questa modalità che, così ottimizzata, vi farà sicuramente tornare la voglia di farvi un giro di tanto in tanto nel Villaggio per regalarvi qualche ora di divertimento aggiuntivo in salsa più action.
Il comparto sonoro, infine, è la ciliegina sulla torta dell’esperienza, con l’implementazione del 3D audio che in più di un’occasione vi farà rischiare l’infarto: sentire il silenzio rotto dai grugniti di un abominio che si avvicina è qualcosa che fa sempre e comunque trasalire, a prescindere dall’arma posseduta e dall’entità del pericolo. Nella seconda casa, in particolar modo, la colonna sonora si unisce ai rumori ambientali e agli effetti grafici per regalare un’esperienza che, lo ripetiamo nel caso non l’aveste ancora capito, fa davvero paura, come (e di più di quanto) ci aspettavamo.
Resident Evil si conferma il RE incontrastato dei survival horror: al pari del precedente capitolo, Resident Evil Village incarna tutto quello che di buono c’è nel brand, presentandolo con la visuale in prima persona caratteristica di questa trilogia e riportandoci nei panni di Ethan Winters, ancora una volta vittima degli eventi che lo catapulteranno in un incubo dalle tante facce. Tra queste, al netto di un’esperienza che poteva essere a tratti approfondita a beneficio della longevità e di una serie di bossfight che non spiccano di originalità, c’è la faccia più importante: la nostra, con un espressione terrorizzata. Perché Resident Evil Village fa quello che ogni Resident Evil dovrebbe fare: paura. E lo fa davvero bene.
Pro
- Fa paura, come e più dei suoi predecessori
- Trama ben congeniata per giustificare anche gli elementi più arcade
- Graficamente ineccepibile, soprattutto negli ambienti interni
Contro
- Bossfight non troppo ispirate
- Alcune sezioni potevano essere più longeve