République – Recensione
Nel mercato di oggi il genere stealth è per lo più dominato da poche granitiche serie come Metal Gear Solid, Hitman e Splinter Cell; titoli che, al di là della loro qualità, raramente propongono qualcosa di realmente nuovo. Chi è in cerca di esperienze di gioco originali deve quindi rivolgersi a quel prolifico sottobosco di titoli indie da cui occasionalmente emerge qualche titolo davvero degno di nota. È questo il caso di République, titolo nato per mobile dal successo tale da essere sbarcato in versione Remastered per console casalinghe.
Quando tra le fila del team di Camouflaj trovi il director Ryan Payton (che tra le altre cose ha lavorato a titoli come MGS4 e Halo 4), diversi veterani provenienti da altre software house, nonché il mitico David Hayter (voce storica di Snake di MGS) si capisce perché il titolo in questione merita decisamente la nostra attenzione.
Prodotto grazie a una campagna Kickstarter, République ha l’ambizione di distaccarsi nettamente dalla miriade di giochini casual disponibili negli store, e proporre una produzione di qualità rara per le piattaforme mobile su cui nasce, una qualità paragonabile a quella di titoli più blasonati per console casalinghe.
Lo si capisce già dall’utilizzo dell’engine Unity, di doppiatori professionisti, oltre che da una storia di alto profilo.
Dopo essere partito come gioco a episodi per iOS, poi Android e PC, il titolo ci arriva ora in versione completa per PlayStation 4.
Fortemente basato sulla narrazione, République mostra la sua peculiarità già dal setting.
Il gioco parte senza preamboli, con un telefono che squilla. Rispondiamo, e sullo schermo ci appare una ragazza impaurita e agitata, che ci chiede di aiutarla da qualcuno che vuole “cancellarla”. Veniamo a scoprire che la ragazza di nome Hope vive in una struttura di un micro-stato totalitario chiamato Metamorphosis. Qui i giovani vengono indottrinati al rispetto più totale dell’autorità, la loro vita controllata in ogni aspetto e qualsiasi interferenza di idee sovversive estirpata tramite la censura. Hope è accusata di aver letto un testo scritto da un dissidente rivoluzionario, pertanto la sua mente viene dichiarata “avvelenata”; la soluzione è quella di “ricalibrarla”, ovvero cancellarle i ricordi.
Fin da subito il gioco non si risparmia nel dipingere Metamorphosis in tutto il suo insopportabile e opprimente controllo. È presto chiaro che la struttura è più una prigione che una casa per i giovani “Pre-Cal” che vi risiedono. Esplorando i meandri di Metamorphosis faremo sempre più luce sugli efferati metodi del regime: dogmatismo, controllo dell’informazione e obbedienza coatta tramite un corpo di guardie chiamate Prizrak.
L’iniziale obbiettivo della protagonista di scappare sarà ben presto ridimensionato quando scopriremo che il leader dell’organizzazione, il cosiddetto Sovrintendente, è in procinto di avviare un’operazione segreta denominata “The Arrival” che coinvolgerà gli altri Pre-Cal come Hope, che neanche a dirlo non promette nulla di buono. Verremo quindi coinvolti nelle torbide trame dietro la nascita e il controllo di Metamorphosis, e chiamati a porre fine alle megalomani ambizioni del Sovrintendente.
Stealth tecnologico
Lo scopo del gioco sarà guidare Hope verso la salvezza, e lo faremo grazie alla nostra capacità di hackerare diversi dispositivi tecnologici di cui la struttura è disseminata. Dal cellulare della ragazza potremo infiltrarci direttamente nel network di Metamorphosis, passando da una telecamera all’altra in perfetto stile Watch_Dogs. Da questa prospettiva avvantaggiata controlleremo i movimenti della protagonista facendola procedere da un nascondiglio all’altro, cercando di superare le guardie Prizrak che pattugliano le stanze.
In qualsiasi momento potremo congelare l’azione di gioco passando alla visuale “OMNI View” (che ricorda un po’ la modalità detective della serie Batman: Arkham) tramite la quale scannerizzare dettagli ambientali rilevanti, come pure azionare dispositivi elettronici e utilizzare alcune upgrade sbloccabili nel corso dell’avventura, che ci permetteranno di distrarre le guardie, calcolare il loro percorso e altro ancora.
République è quindi un gioco dal solido gameplay prettamente stealth, anche più dei vari Metal Gear Solid visto che Hope non disporrà di armi vere e proprie, se non qualche difensivo spray al peperoncino, teaser e mine soporifere.
Questo maggior accento sulla furtività è purtroppo depotenziato dal gioco stesso. In primis le guardie non brillano certo per intelligenza, udito o campo visivo; avvicinarci di soppiatto sarà tutt’altro che arduo, facendo attenzione a non finire di fronte a loro. Se anche dovesse capitare di venire catturati, si viene scortati verso una delle stanze di confinamento, che non sono altro che stanze sicure dove poter salvare la partita e scappare agevolmente non appena la guardia se ne sarà andata.
Non sempre i controlli sono agevoli, anche a causa di qualche problema con le visuali semi-fisse, che come spesso accade per titoli simili (come Resident Evil) finiscono per disorientare i controlli in occasione dei cambi di visuale.
Distopia
L’impostazione della storia è decisamente interessante e prevede una “base” di narrazione a cui assisteremo tramite i dialoghi delle scene non interattive, alla quale si somma un’enorme quantità di messaggi, giornali, mail, registrazioni e quant’altro, che potremo trovare disseminati negli ambienti. Questi documenti saranno opzionali, ma forniscono in realtà gran parte dei dettagli sui personaggi coinvolti nella trama e gli eventi che accadono tra le mura di Metamorphosis.
Il tutto acquista un sapore positivamente turpe se si considera che il giocatore otterrà questi documenti hackerando e spiando il network della struttura. In qualche modo quindi il giocatore si ritrova paradossalmente nella stessa posizione del regime che sta combattendo, lo stesso antagonista da cui République ci mette in guardia: la telecamera; quel Grande Fratello orwelliano che tutto vede e tutto può, e di cui sarà costretto a utilizzare i metodi per proseguire.
Ci sono purtroppo un paio di limiti principali che riguardano il comparto narrativo.
Il primo riguarda la struttura stessa dei background, affidati ai documenti collaterali. Benché sia in qualche modo realistico venire a scoprire i dettagli nascosti in modo indiretto, è anche vero che interrompere continuamente l’azione di gioco per mettersi a cercare documenti da scannerizzare in ogni angolo interrompe non poco il ritmo di gioco. C’è inoltre il rischio che il giocatore resti confuso semplicemente perché non ha trovato qualche dettaglio importante, e rimanga con un quadro incompleto della situazione.
Il secondo problema riguarda la narrazione vera e propria, che esibisce una qualità “parabolica” attraverso i capitoli. Nei primi due capitoli la trama gioca molto con il senso di smarrimento e la voglia di sapere di più del giocatore, montando un climax anche emotivo che avviene nel terzo capitolo (probabilmente il migliore, sia in termini di storyline che di gameplay); segue poi un quarto capitolo confuso e dal gameplay ritoccato (anche se efficace), per poi vedere la resa dei conti finale in un ultimo capitolo frettoloso, sfocato, dal finale deludente.
In alcune occasioni durante le vicende di Hope, il gioco ci chiederà di prendere delle decisioni, ma queste non influiranno quasi per nulla sullo svolgersi degli eventi, o sulla protagonista in generale. Il giocatore rimane esterno nel senso più vero del termine.
Nonostante la reticenza della sua struttura, la trama ci immerge efficacemente nell’incubo distopico che è il vero leitmotiv di République, coinvolgendo temi che vanno dall’abuso dell’onnipresente tecnologia capace di annullare la privacy e persino rovinare la vita di una persona, alle tecniche di fascismo moderno, fino a farci riflettere sull’estremo ideologico opposto: i metodi e la morale dei movimenti rivoluzionari. Il vero problema è che tali temi, più comuni in letteratura che in un videogioco, troppo spesso non ricevono il giusto spazio e la giusta messa a fuoco.
Metamorfosi di unità
Per questa versione Remastered, Camouflaj ha aggiornato il motore Unity dalla versione 4 alla 5, e le differenze si vedono eccome. Le texture sono ora più realistiche, mentre la gestione delle fonti luminose ha ricevuto un potenziamento impressionante, con luci e ombre dinamiche e più verosimili. Parliamo comunque del remaster di un gioco limitato in partenza, quindi non aspettatevi una qualità degna di un titolo nativo per PS4.
Al di là della qualità tecnica, il comparto visivo ne guadagna non poco in atmosfera, e Metamorphosis risulta ancora più opprimente con le sue stanze fredde e asettiche.
Colpisce purtroppo che durante di le transizioni tra una telecamera e l’altra il gioco possa impiegarci da un attimo fino a diversi secondi, nel quale l’immagine si congela (soprattutto quando si passa da una stanza all’altra). Considerando la potenza più che sufficiente della console, è evidente che si tratti di una mancata ottimizzazione da parte degli sviluppatori.
Il comparto sonoro è uno degli aspetti più solidi del titolo. La discreta colonna sonora si incastra ottimamente nell’atmosfera di mistero di Metamorphosis, anche se non raramente sarà assente durante l’azione di gioco, lasciandoci in compagnia di un buon sound design ambientale di sale e corridoi tecnologici.
Il doppiaggio è di altissima qualità, e annovera nomi importanti come il già citato David Hayter, Jennifer Hale, Rena Strober, Dwight Schultz e Khary Payton. Doppiaggio di cui possiamo apprezzare le ottime performance sia in occasione dei dialoghi, che analizzando i vari documenti sparsi per il gioco.