Red Dead Redemption – Recensione Red Dead Redemption
Correva l’anno 2004 quando Rockstar pubblicò Red Dead Revolver. La casa americana cavalcava l’onda del successo di capolavori come Vice City, ed il progetto venne seguito con molta attenzione dai sostenitori della casa statunitense e, soprattutto, dalla schiera di appassionati che da tempo sognavano di vedere un prodotto videoludico in grado di rendere giustizia alle atmosfere fino ad allora, vissute solamente grazie ai capolavori di Sergio Leone & Co. Il succitato titolo era un Third-Person-Shooter dall’ambientazione Spaghetti Western, graziato, oltre che da un’ottima giocabilità, da un’atmosfera eccezionale e da una storia coinvolgente.Tali elementi, purtroppo, non riuscirono comunque a decretarne il giusto successo di pubblico e critica. Tuttavia, già all’epoca, era possibile intravedere le innumerevoli possibilità che un prodotto del genere aveva nelle mani dei creatori della serie Grand Theft Auto: l’idea di poter vivere avventure ambientate nel Vecchio West in salsa free-roaming faceva gola, e Rockstar lo aveva capito. E’ così che, sei anni fa, ha avuto inizio il travagliato sviluppo di uno dei titoli più ambiziosi di questo 2010: Red Dead Redemption.
Benvenuti nel vecchio west
Analogamente a quanto accaduto per titoli come ICO e Shadow of the Colossus, questo Redemption non si pone come diretto successore del precedente prodotto, con il quale condivide solamente parte del nome. La storia, i personaggi e gli avvenimenti con cui ci ritroveremo quindi ad interagire, non avranno nulla da spartire con il titolo del 2004, malgrado siano presenti citazioni più o meno evidenti che lo riguardino, sparsi all’interno del mondo di gioco.
Il filo narrativo che pian piano ci avvolgerà in un crescendo di situazioni e avvenimenti sempre più spettacolari, vede l’ex-fuorilegge John Marston costretto a rintracciare i suoi vecchi compagni di scorribande per consegnarli alla giustizia del governo federale, pena, in caso di fallimento, la morte della moglie e del figlio. Senza troppo tergiversare con i poco ortodossi agenti governativi, il protagonista parte quindi per il New Austin, primo di tre territori visitabili nel corso dell’avventura, alla ricerca del primo membro della sua banda e vecchio amico Bill Williamson. Al di là di una trama non certamente originale o particolarmente articolata, Red Dead Redemption stupisce per il legame emotivo che riesce a creare tra il giocatore ed i personaggi che questi incontrerà tra una missione e l’altra e, soprattutto, per proporre un personaggio principale di assoluto spessore. John Marston è complesso, articolato, ben costruito e, specialmente, uno con cui è facile immedesimarsi; complici di ciò le meccaniche "etiche" alla base del gameplay.
Spara che ti passa
Malgrado la sua impostazione e le meccaniche alla base del suo gameplay possano renderlo facile, sarebbe sbagliato etichettare questo Red Dead Redemption (da ora RDR) come un GTA nel Far West: mentre la gallina dalle uova d’oro di Rockstar ha sempre costituito un inno alla distruzione ed al massacro indiscriminato, RDR cerca di indurre il giocatore a tenere un comportamento "civile", a non commettere reati e ad ergersi paladino degli indifesi. Il vero tocco di classe, è che fa questo senza spiattellarlo in faccia al giocatore: come? La risposta è situata qualche riga più in su: John Marston era un fuorilegge, ma ora è solamente un uomo che cerca redenzione per i suoi crimini ed una vita tranquilla per lui e la sua famiglia; questo, unitamente alla sopracitata superba caratterizzazione del protagonista ed al legame emotivo che viene ad instaurarsi tra giocante e giocato, porta l’utente ad agire rispecchiando la nuova condotta filopacifica di Marston. Mentre alcuni potrebbero storcere il naso di fronte a tale verità, altri converranno sicuramente che questo è un nuovo inizio per i titoli free-roaming: un inizio che porta i giochi sandbox verso un’evoluzione importante, che li elevi dalla semplice definizione di "distruzione e violenza gratuita". Tuttavia, restano ovviamente a far da colonna portante al gameplay le ben realizzate, e mai tedianti, fasi shooter: RDR propone l’ormai canonica visuale alle spalle del nostro alter-ego, pronta a zoomare sullo stesso qualora si entrasse in fase di mira.
L’ormai classica visuale alle spalle di ogni TPS che si rispetti
Di quest’ultima, risultano particolarmente apprezzabili due aspetti; il primo riguarda il sistema di puntamento: esso prevede una sorta di "assist" (comunque liberamente disattivabile dal menù, richiamabile a schermo in qualsiasi momento) consistente nel puntare automaticamente il bersaglio a noi più vicino all’atto d’estrazione di una delle nostre sputafuoco (revolver, fucili, pistole semi-automatiche e molte altre varianti passanti anche per molotov e coltelli da lancio), aiutando non poco il giocatore a raccapezzarsi nelle confusionarie e non rare fasi, in cui nello schermo siano presenti numerosi personaggi, avversari o alleati che siano.
La seconda peculiarità del sistema di mira di RDR potrebbe sembrare marginale, ma è ad oggi trascurata da molti titoli: "cambiare spalla", analogamente a quanto visto in Uncharted 2 o Metal Gear Solid 4, comporta lo spostamento dell’inquadratura in modo diametralmente opposto, in modo tale da non vedersi colpiti a tradimento, perchè un muro troppo invadente intralcia la nostra linea di tiro.
Ma non di sole sparatorie vive un cowboy. Ciò che rende RDR un’esperienza realmente particolare ed atipica è la sua ambientazione ed il modo in cui essa influenza la "vita" del giocatore che si muove all’interno di essa: le lunghe sequenze esplorative ci vedono in sella al nostro cavallo intenti a osservare territori vastissimi e resi magnificamente attraverso una caratterizzazione davvero riuscita delle diverse zone visitabili, suddivisibili in deserti, praterie, colline e montagne innevate. Impressiona soprattutto l’evidente cura riposta nel tentativo di ricreare un vero e proprio ecosistema a sè stante, che il giocatore può influenzare al suo passaggio e da cui può essere a sua volta influenzato. Come se tutto ciò non bastasse, durante le nostre scorribande sarà possibile imbattersi in eventi generati casualmente, che vanno dallo scontrarsi con un branco di banditi al salvare damigelle ed avventurieri in pericolo. Da segnalare, per i più indisposti a lunghe cavalcate in solitaria, la presenza di un fast travel magari un po’ scomodo da usare, ma che può portare in qualunque punto del mondo di gioco dopo aver selezionato ed impostato la nostra meta tramite la mappa, richiamabile dal menù. Nelle varie città sarà altresì possibile partecipare a sfide contro NPC a vari giochi d’azzardo come Poker, Blackjack, Dadi Bugiardi, Braccio di Ferro e Ferri di Cavallo: tali minigiochi sono ben realizzati e possono essere considerati come un "gioco nel gioco", andando essi ad ampliare il già ottimo ventaglio d’opzioni interattive offerto dal titolo. In sostanza, si può dire che la varietà non manchi, e che difficilmente chi deciderà di avventurarsi nelle terre proposte dal titolo Rockstar si annoierà. Vanno tuttavia segnalati alcuni problemi nella risposta ai comandi, che in saltuarie occasioni renderanno difficile gestire i movimenti del nostro alter-ego causando morti evitabilissime, soprattutto considerando che il livello di difficoltà proposto non è particolarmente elevato. Inoltre i menù di gioco, molto completi per quanto riguarda le opzioni offerte e utili ai fini del gameplay, risultano macchinosi e lenti da consultare, oltremodo scomodi quando si tratta di dover dare spesso un’occhiata agli obiettivi da raggiungere per completare le sfide, che il giocatore deve superare per ottenere particolari bonus.
Guarda che tramonto
RDR è mosso dal medesimo motore grafico che ha animato le gesta di Niko Bellic in GTA IV, e ne eredita quindi sia i pregi che i difetti: tale motore risulta in grado di mantenere un framerate stabile anche in frangenti piuttosto confusionari con più personaggi ed esplosioni a schermo, senza scadere, quindi, in cadute in grado d’inficiare la godibilità della scena. Anche per quanto concerne la linea dell’orizzonte (ossia la distanza sino a cui risulta possibile vedere oggetti e personaggi, senza attendere la renderizzazione progressiva degli stessi) il lavoro svolto è di ottimo livello. Essa ci permetterà di godere di visuali nitide anche a distanze non indifferenti, senza proporre quel fastidioso effetti fogging a cui molte produzioni ci hanno abituato. Superfluo, ma mai inutile ribadirlo, la realizzazione degli scenari visitabili in lungo e in largo proposti dal gioco, è semplicemente sbalorditiva e graziata da un’ottima gestione dei giochi di luce che più di una volta faranno restare meravigliati di fronte ad un magico tramonto o ad una sontuosa alba. Se quindi la fluidità e la resa complessiva dell’affresco western dipinto dai ragazzi di Rockstar non sono un problema, cosa impedisce all’aspetto prettamente tecnico della produzione di svettare nell’affollato panorama videoludico? Molto semplicemente la vecchiezza del motore utilizzato: malgrado sia stato evidentemente migliorato, rispetto al precedente uso per GTA IV, ed ora risulti in grado di gestire un maggior quantitativo di dettagli e dimostri una maggiore snellezza nel gestire le varie situazioni di gioco, è possibile notare, ad un esame accurato, che vi sono frequenti problemi di tearing, pop-up fastidiosi mentre si sfreccia con il proprio destriero nel mezzo di un deserto ricco di piante grasse, e pure qualche saltuario problema di bad-clipping verrà a bussare alla vostra porta nel mezzo dell’azione. Come se ciò non bastasse a minare la qualità di un comparto grafico altrimenti strabiliante, si fa notare anche la legnosità dei modelli poligonali di NPC e, soprattutto, del personaggio da noi controllato che risulta quindi, oltre che piuttosto testardo (vedi latenza nei controlli), pure impacciato.
Uno degli impressionanti scorci visivi che il gioco è in grado d’offrire
Bury me not…
Sulle note musicali che accompagnano Marston nella sua caccia all’uomo si potrebbe dire tutto e niente: molti le apprezzeranno, molti le odieranno. Il motivo di ciò è da ricercarsi nel loro essere perlopiù in disparte, di sottofondo, ad accompagnare il giocatore piuttosto che a fargli da guida, salvo alcune rare eccezioni in cui entreranno prepotentemente in scena, esaltando lo scorrere dell’azione con un dichiarato inno all’epicità. In sostanza, per quanto concerne la traccia musicale del prodotto, si può dire che questa vive di alti e bassi: a fianco di musiche puramente strumentali se ne affiancano altre di artisti come James Lidell e Josè Gonzalez; niente viene sprecato, niente viene lasciato al caso, tutto è posto in favore della ricreazione di un’atmosfera in cui la colonna sonora si amalgama alla perfezione con il mondo di gioco e con le situazioni che questo via via propone. Sicuramente una scelta opinabile per il grande pubblico, ma azzeccatissima per chi sa cosa vuole da un gioco come Red Dead Redemption.
Ineccepibile il doppiaggio in lingua inglese: ben realizzato, chiaramente appassionato; ma soprattutto, graziato da un’ottima scrittura di base dei numerosi dialoghi intercorrenti in cut-scenes ed eventi in tempo reale.
Una leggenda non muore mai
Red Dead Redemption è chiaramente un titolo molto soggettivo: lo si capisce dopo pochi minuti di gioco, lo si realizza veramente solamente alla fine dello stesso. Al contrario della tradizione Rockstar, la campagna principale non richiede un numero di ore di gioco esorbitante per essere completata, bensì una media di 20-30 per giocatori che conoscano già il genere: "merito" (starà ai players deciderlo) di un livello di difficoltà ben bilanciato e alle volte forse un po’ troppo permissivo, ma che in generale ha il gran pregio di non raggiungere mai momenti particolarmente frustranti.
Il raggiungimento dell’agognato 100% richiederà invece una decina d’ore in più rispetto alle sopracitate 20-30. Nulla di tediante, almeno per chi sia avvezzo a questa tipologia di giochi. Difficilmente ci si stancherà di RDR, ma solo nel caso in cui si sappia che si sta andando incontro ad un’avventura fatta per molti versi di solitudine e malinconia, in cui il tema predominante della produzione è "cambiamento", ed in cui non ci si atterrà al classico massacro indiscriminato, ma ad un comportamento giudizioso da assumere nelle inifinite variabili del gameplay, pur senza esservi vincolati.
All together
Ad allungare notevolmente l’esperienza ludica offerta da Redemption, ci pensa un comparto multiplayer imponente: tale modalità, accessibile tramite il menù principale dell’avventura in singolo, permette di girovagare per l’intero mondo di gioco nella modalità "free roam" incontrando altri giocatori e creando delle posse, in modo tale da effettuare raid dei vari covi di banditi e guadagnare esperienza per sbloccare nuove skin e cavalli per il proprio personaggio. Alla modalità libera si aggiungono tutte le tipologie più comuni di partite che possono venire in mente: Deathmatch (singolo e a squadre), Corsa all’Oro ed altre varianti più o meno articolate delle classiche opzioni offerte dai più comuni sparatutto in circolazione. Se da un lato tutto ciò è molto allettante, dall’altro bisogna notare che il comparto multiplayer presenta gli stessi nei del single-player, aggravati in questo caso da sporadici problemi di lag e da un sistema di matchmaking poco convincente, che sembra restio a favorire l’ingresso in partite già iniziate o che abbiano già un buon numero di giocatori. Complessivamente il lavoro svolto in questo campo è ottimo, poichè permette di rivivere le stesse atmosfere del gioco in singolo (privandosi tuttavia degli NPC che abitavano nelle città e dei vari minigiochi) in compagnia di amici, e ciò va sicuramente lodato, soprattutto in virtù del fatto che la modalità multigiocatore incoraggia a far gruppo con altri utenti.
Nota di merito per un Netcode che manitiene pressochè la stessa grafica della controparte dell’avventura in singolo.
Corsa al platino
Classiche due facce della medaglia per quanto concerne i trofei implementati nella produzione Rockstar: da una parte quelli della storia, che richiedono un non troppo fastidioso 100% nella schermata statistiche, che come sopra descritto è tranquillamente raggiungibile entro le quaranta ore di gioco. Dall’altra quelli online: raggiungere il livello massimo (50), vincere più partite di fila come migliore e nella migliore squadra. Insomma, in questo caso conta soprattutto la fortuna. Platino che comunque soddisferà i cacciatori di trofei (o di obiettivi), regalando ore ed ore di azioni diverse e mai ripetute fino allo sfinimento, come capita invece in altri titoli.
In conclusione
Il titolo Rockstar è senza dubbio un prodotto di gran qualità: appassionante, lungo, immersivo e a suo modo carismatico come una calamita, specialmente per chi ha sempre amato i film di Sergio Leone & Co, ma dà prova di essere una bestia nera per chi si aspetta azione a go-go ed una trama particolarmente articolata, rivestente il ruolo centrale all’interno della produzione. Purtroppo il gioco non riesce a raggiungere l’eccellenza a causa di difetti di natura principalmente tecnica in grado d’influenzare negativamente il gameplay, e che rischiano quindi di rovinare parzialmente l’esperienza degli utenti più esigenti. A tutti quelli che sapranno soprassedere a questi difetti, Redemption regalerà ore di divertimento appassionato coadiuvato ad una totale totale immersione nelle atmosfere leggendarie del Selvaggio West, mai così vive e palpitanti.