Ready or Not RECENSIONE | Feel da SWAT 4, ma solo in compagnia
Oggi è davvero difficile innovare nel genere shooter, una realtà che trova radice su più di qualche elemento dello status quo videoludico, ma soprattutto uno: gli FPS sembrano avere davvero poco da dire, di nuovo.
Abbiamo avuto il sensazionalismo dei tantissimi Call of Duty, il twist psicologico offerto da Spec Ops The Line (purtroppo non ripetuto da molti altri), e un sacco di ibridazioni di genere che hanno preso alcune “regole” del mondo FPS (prima persona, una cosa in mano con cui sparare qualcosa, meno cutscene e più eventi che avvengono effettivamente davanti ai nostri occhi) e le hanno portate verso territori nuovi, come Prey, Portal stesso, Minecraft, e tanti altri.
Ready or Not RECENSIONE | Cosa fa di diverso dal resto?
L’arrivo di Ready or Not, non tanto sul mercato quanto alla mia attenzione, era quindi accompagnato da un legittimo dubbio su cosa rendesse il titolo di Void Interactive. Sulla carta si parlava di un successore spirituale di SWAT 4, titolo del 2005 che avevo completamente rimosso ma che al tempo avevo apprezzato, nel quale si vestono i panni di un agente della Los Suenos Police Department.
La presenza di un hub di gioco, la stazione di polizia stessa, mi incuriosiva, ma ancora non ero convinto. È stato onestamente il trailer a spingermi a provarlo e a volerlo recensire, complice il livello di realismo che ogni frame faceva trasparire.
“Vedo che hai abbandonato la corda e scelto un bastone”
Stiamo parlando di uno shooter tattico improntato al realismo, ed è essenziale affrontare uno di quelli che dovrebbe essere il pilastro essenziale dell’esperienza di gioco: le armi offerte.
La varietà di armi è elevata, ed è stato fatto un ottimo lavoro sia per quanto riguarda il loro sound design, sia sulle animazioni legate al loro utilizzo; non sono molto abituato a giocare con mouse e tastiera, ma quanto è stato fatto a livello di mappatura dei comandi eleva la già buona qualità dell’arsenale, e dopo poco tempo ogni comando e azione ti sarà incredibilmente naturale.
Un aspetto relativamente negativo è che sembrano esserci alcuni arsenali più vincenti di altri, soprattutto nelle missioni più avanzate: il livello di sfida è certamente apprezzato, ma a volte ho avuto la sensazione di dover approcciare il tutto con un mindset più da trial and error e meno da “ottenere il meglio che si può con quello che si ha”. Una sfida che invece più di qualche volta mi sono imposto da solo, parallelamente a uno degli aspetti più accattivanti di Sniper Elite 5 ai livelli di difficoltà più alti, è stato il provare a procedere con il minor livello di violenza possibile, utilizzando ad esempio taser e proiettili di gomma (in realtà non lo sono, ma non trovo il nome italiano di quella sorta di “sparasacchetti”, sorry).
L’equilibrio tra rischio e guadagno, essenziale in ogni game concept, è invece ben rappresentato dalle difese che possiamo indossare: ci rallentano, ma ci permettono di affrontare più output di danno, se la situazione lo richiede.
Le possibilità tattiche sembrano tantissime sin dall’inizio, con moltissimi approcci diversi ad ogni cosa pronti per essere provati e sperimentati, sin dal tutorial; lo schema controlli sembra perfettamente calibrato per questo, con sottomenu dentro sottomenu perfettamente pensati a livello di UX e molto utili e velocemente efficaci, una volta presa la mano con essi.
Procedurale q.b.
Interessante notare come la flessibilità meccanica di Ready or Not sembri straordinariamente naturale, quasi impercettibile nella sua efficacia, tanto da far sembrare “pensato” sia l’approccio più aggressivo (C4 e arieti) che quello più “calmo”. Questa potenzialità è supportata dalla natura procedurale del titolo: in particolare sono i nemici e, in generale, gli obbietti di gioco ad essere generati proceduralmente ad ogni partita, cosa che funziona e spinge alla rigiocabilità, pur scontrandosi con una IA che, come già detto, più di qualche volta singhiozza.
Un aspetto di Ready or Not nel quale fortunatamente la proceduralità non si vede nemmeno da lontano è la struttura esplicita delle missioni: sono 18, tutte selezionabili da una mappa presente nell’hub di gioco, la centrale di polizia di cui ti parlavo giusto prima; queste raffigurano situazioni prevedibili per chi ha avuto anche tangenzialmente a che fare con la saga di SWAT, fra le altre: c’è l’attacco terroristico all’ospedale, la sparatoria al nightclub, la sede del cartello della droga, e chi più ha criminalità più ne metta.
La varietà è buona, pur non uscendo troppo dal seminato narrativo dettato appunto da altri esponenti, meno recenti, del genere. Un assoluto successo di Ready or Not è però come riesce, tra environment e sound design, a restituire immediatamente e naturalmente il senso di pericolo di ogni situazione. Devo particolarmente fare un plauso al fatto che Ready or Not non sembra risparmiarsi nulla a livello di violenza mostrata, in funzione di un realismo che rimane prepotentemente uno dei pilastri essenziali di questa esperienza ludica.
Dove si dovrebbe osare e dove invece no
Un livello mi ha però lasciato particolarmente combattuto, livello che non ho giocato ma sul quale mi sono profondamente informato.
Perché combattutto? Particolarmente in funzione di una quotidianità fatta dell’ennesima sparatoria nell’ennesima scuola che, grazie al cielo, qui in Europa non conosciamo troppo bene ma che in terra statunitense apre cicatrici che, drammaticamente, non fanno mai troppo in tempo a richiudersi.
È proprio nel contesto di una narrazione che avvolge e fa da contorno e palcoscenico di una forza di polizia, anche in questo caso ambigua quotidianità di violenza che sembra tangere molto più gli USA rispetto all’Europa, mi sarei aspettato un po’ più coraggio nel raccontare i ruoli di questi elementi della società tanto necessari quanto spesso al centro di episodi di violenza su civili (da Floyd non è passato troppo tempo), ma Ready or Not decide di raccontarli, di nuovo, come questi eroi senza macchia, necessari a confinare le forze del male che imperversano le nostre strade e le nostre esistenze.
Qui serve compagnia
In solitaria, c’è da dirlo, in Ready or Not è tutto un po’ triste e vuoto; la modalità single-player, dal nome Commander Mode, ti vede in fatti da sol* e i tuoi comprimari sono completamente sostituiti da IA, per lo più adeguata ma spesso fonte di “Mission Failed” che mi hanno fatto innervosire forse oltre al limite; questa inconsistenza purtroppo si riflette anche sulla IA nemica, che passa in modo irregole, imprevisto e soprattutto slegato dalla progressione della difficoltà di gioco da” “sacco di patate” a “Neo in Matrix Resurrections”.
L’introduzione di una meccanica di salute mentale per i compagni di squadra è interessante ma, come spesso succede con questi guizzi di game design, non è abbastanza solida e approfondita per essere qualcosa di più di un potenziale inelegantemente inespresso.
Il multiplayer è invece molto più intenso e, con una lampada sparata sul suo digitale volto, confessa di essere il vero modo di giocare Ready or Not; la presenza di una voce amica allevia di molto la tensione che invece si prova in single player, senza però diminuire l’immersione o sviare dall’intenzione di sopravvivere anche a questa missione, quasi fossimo proprio noi ad avere addosso quel giubbotto antiproiettile.
Essere con altri 4 giocatori o giocatrici è sicuramente IL modo in cui Ready or Not vuole essere esperito, ma, e voglio essere sincero in questo, non tutti hanno altre 4 persone nella propria cerchia che siano utenti PC, con un buon PC e che abbiano acquistato una copia del gioco, ed è questo forse il difetto più grande dell’intera produzione, ossia quanto faccia affidamento sul comparto multiplayer, relegando la campagna single player ad una mera versione lite di quanto invece si “prova”.
Ad aggiungere problemi c’è un IA irregolare nella sua qualità e durezza d’approccio, un’irregolarità che a volte purtroppo mi è risultata troppo ostile e controproducente al godimento del titolo. Chiaramente questo rimane un problema nel contesto multiplayer, ma è ammorbidito dal ruolo dei compagni di squadra che, tolti casi estremi, saranno sempre in grado di gestirsi meglio di quanto sanno fare quelli gestiti dall’IA di gioco.
Ready or Not è un ottimo shooter tattico in prima persona, con una pesante impronta di realismo che funziona ed è ben realizzata. Purtroppo sembra un’esperienza godibile quasi esclusivamente in cooperativa, scelta o difetto che lascia relativamente poco di cui godere in single player. Mentre il contesto narrativo delle missioni si rivela buono anche senza innovare, ci sono lati di questa produzione che avrei preferito più coraggiose, da un lato, e più accorate, dall’altra.
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Ad un passo dall'eccellente, con alcuni spigoli che potevano essere levigati
Pro
- Il realismo degli ambienti e dello shooting è ottimo
- Le mappe offrono una buona varietà
- La rigiocabilità è molta
Contro
- Il livello a scuola... anche no
- È ora di storie più coraggiose a livello di ambiguità quando si parla di forze di polizia
- Il single player sembra troppo una versione lite del "gioco vero"