Prinny Presents NIS Classics Vol.1 – Recensione
L’uscita del primissimo Disgaea nel lontano 2003 fu il primo passo di Nippon Ichi verso un futuro che l’avrebbe consolidata al livello globale come software house di riferimento per gli amanti degli JRPG tattici. La sua serie più famosa, tuttavia, non è di certo la sua unica creatura, nonostante sia effettivamente quella più fortunata e riuscita (anche se Disgaea 6: Defiance of Destiny non ci ha convinto appieno; potete leggere il perché nella nostra recensione). Diversi altri giochi del team di sviluppo, usciti per lo più nel corso degli anni 2000, sono rimasti perlopiù in ombra, nonostante meritassero ben più attenzione.
Dopo Prinny 1•2: Exploded and Reloaded, Nippon Ichi ha deciso di continuare con la sua riproposta su Nintendo Switch di questi titoli poco conosciuti, sperando che possano finalmente trovare un apprezzamento più diffuso, soprattutto da parte dei propri fan che a suo tempo se li sono persi.
Prinny Presents NIS Classics Vol.1 contiene Phantom Brave: The Hermuda Triangle e Soul Nomad & The World Eaters, due JRPG tattici originariamente usciti su PlayStation 2 stilisticamente molto vicini a Disgaea, ma che, ciascuno a modo suo, proponevano delle variazioni alla formula.
Phantom Brave è in realtà uscito in tre versioni su tre differenti console. Dopo l’originale ne uscì una seconda per Wii intitolata Phantom Brave: We Meet Again, mentre Phantom Brave: The Hermuda Triangle è la versione “definitiva” completa di tutti i contenuti aggiuntivi uscita in seguito per PSP.
Protagonista di Phantom Brave è una giovane orfana di nome Marona che vive da sola su un’isola assieme al secondo protagonista, un Fantasma di nome Ash. Prima di perdere la vita, questi era stato compagno di avventura dei genitori di Marona, finché un essere malvagio noto come Sulphur non non li sconfisse mortalmente. Con le sue ultime forze il padre di Marona cercò di preservare la vita dei compagni, ma riuscì solo a riportare indietro Ash come fantasma. Da allora lo spirito dell’avventuriero ha cercato di proteggere come poteva la figlia dei suoi vecchi amici. Cresciuta quasi da sola fino a 13 anni, Marona è diventata una Chroma come i genitori, una sorta di cacciatrice di taglie per casi straordinari e tendenti al sovrannaturale.
Rispetto a Disgaea, la storia di Phantom Brave è sicuramente meno leggera e scanzonata; ci sono dei momenti di umorismo, ma in generale è trattata con più serietà, e contiene temi come il pregiudizio e la vendetta. Anche se il concetto di base dietro alla trama è piuttosto interessante, è chiaro che al tempo (ma ancora adesso in fondo) Nippon Ichi aveva poca esperienza di scrittura, soprattutto nel valorizzare i dialoghi.
Il piatto forte del gioco è chiaramente il gameplay, che attinge a piene mani dagli elementi cardine di Disgaea. La prima differenza palpabile consiste nel fatto che il nostro gruppo di combattenti è costituito (quasi) totalmente da fantasmi che dovranno essere richiamati da Marona. Ella potrà farlo “confinandoli” in determinati oggetti presenti sul campo di battaglia come rocce, alberi, piante ecc. A seconda dell’oggetto le unità riceveranno dei bonus e malus delle statistiche personali. Una volta evocati, ciascun fantasma potrà agire solo un numero limitato di volte, prima di scomparire. Questo rende l’andamento dei combattimenti ben diverso e ancora più strategico rispetto a un normale gioco dello stesso genere.
L’arena di gioco non è organizzata in griglia, ma i personaggi possono percorrerla più liberamente entro un range massimo a ogni turno. Si tratta senz’altro di una delle possibilità più interessanti del gioco, il problema è che genera anche molta confusione quando molte unità sono vicine l’une all’altra, ovvero nella maggior parte dei casi. Spesso ci si ritrova a faticare a far muovere o attaccare un personaggio come si desidera e capiterà per sbaglio di accatastarli uno sull’altro o peggio, se non si fa attenzione, di colpire un alleato.
Altra particolarità decisamente divertente è che Phantom Brave permette ai personaggi di usare praticamente TUTTO come un’arma. Non solo le armi vere e proprie, ma anche gli oggetti nell’arena e i nemici stessi possono essere sollevati e branditi contro gli avversari. È inoltre presente un intricato e multidirezionale sistema per il potenziamento dei combattenti e delle loro armi, che se da un lato risulta innovativo e può entusiasmare i patiti di questo genere, dall’altro può creare confusione e spaesamento per tutti gli altri.
Soul Nomad & The World Eaters rappresenta un altro tentativo di Nippon Ichi di deviare dai toni puramente demenziali di Disgaea e di creare una formula gameplay diversa dal solito. La storia inizia raccontandoci le crude vicende del continente di Prodesto: dopo un’aspra battaglia contro le forze del male, la sacerdotessa Layna riesce a sigillare il signore della morte di nome Gig, padrone delle gigantesche creature distruttrici conosciute come World Eater.
Passano 200 anni e veniamo messi nei panni di un/a protagonista di Soul Nomad di cui possiamo scegliere sesso e nome. Arrivati alla giusta età, e dopo un lungo addestramento, la stessa sacerdotessa Layna ci promuove guardiani della città, affidandoci una strana spada. Al suo interno è in realtà custodita l’anima di Gig, che finalmente viene liberata cercando di prendere il controllo. Il protagonista riesce però a impedirglielo e da quel momento i due si ritrovano a condividere lo stesso corpo. La missione impartitaci da Layna è quella di utilizzare il potere di Gig per distruggere una volta per tutte i World Eater. Il potente spirito però non ha certamente intenzione di rimanersene buono e ci avverte: più utilizzeremo il suo potere e più lui riuscirà a prendere il controllo del nostro corpo.
Anche in Soul Nomad non mancano i momenti di umorismo, solitamente innescati proprio dalle reazioni dell’arrogante Gig, ma Nippon Ichi ha voluto confezionare una storia più oscura e complicata. Nel complesso possiamo dire che l’intento è riuscito, anche se in modo poco esemplare. L’inizio è un po’ stantio e troppe domande e situazioni si susseguono senza troppe spiegazioni. Man mano che la trama si infittisce e le domande trovano risposta il gioco diventa più interessante, soprattutto in occasione di alcuni colpi di scena non troppo banali.
Una chicca interessante: dopo aver completato Soul Nomad la prima volta è possibile ricominciarlo e scegliere di lasciarsi possedere da Gig. Si innesca dunque una run in cui potete dire addio a tutta la vostra moralità e osservare gli avvenimenti dalla particolare prospettiva del portatore di caos del mondo.
Il sistema di battaglia si differenzia non poco dai soliti RPG tattici. Invece di combattere controllando singoli personaggi, ogni unità sulla mappa rappresenta una piccola truppa di 3/4 combattenti di varie classi organizzati in “stanze” di 3×3 caselle (chi ha giocato a Ogre Battle si sentirà a suo agio). Il giocatore impartisce alla truppa comandi generici di attacco, difesa, tecnica speciale ecc. dopodiché si innescherà una battaglia automatica in cui vedremo le unità scontrarsi tra di loro.
Sarebbe prolisso descrivere tutte le possibilità di gioco di Soul Nomad che ruotano attorno al potenziamento delle proprie truppe. Vi basti sapere che, anche in questo caso, gli amanti del genere potranno trovare un sistema complesso (anche se non privo di aspetti macchinosi), mentre i profani potrebbero ritrovarsi soverchiati dai numerosi elementi da tenere in considerazione.
Graficamente entrambi i giochi seguono bene o male lo stile classico di Nippon Ichi, con fondali colorati su cui si stagliano personaggi resi con graziosi sprite 2D dal notevole livello di animazione, mimica e capacità espressiva. Peccato che si tratti comunque di sprite di giochi per PS2 che su Nintendo Switch vengono stretchati in modo decisamente visibile.
L’operazione di remaster ha potuto fare ben poco per evitare questo effetto. L’unico aspetto davvero degno di nota sono gli sfondi di Phantom Brave, che nella loro resa in HD restituiscono in modo molto piacevole la qualità artistica dedicata al titolo, assieme ai ritratti dei personaggi nei balloon di dialogo. Certo il contrasto con i loro sprite stretchati si nota, soprattutto nelle prime ore di gioco, ma nel complesso il risultato è decente.
In Soul Nomad il restauro ha avuto le mani ben più legate per via, evidentemente, degli asset di base. Ci si trova di fronte a un’alternanza particolare di elementi remasterizzati in HD, come i menu e gli sprite sul campo di battaglia, e altri rimasti in SD e adattati alla nuova risoluzione di gioco, come gli sprite e i ritratti dei personaggi e persino alcune scritte (il menu principale ne è un esempio lampante). A differenza di Phantom Brave, inoltre, manca un adattamento ai 16:9, se non l’opzione di stretchare orizzontalmente l’immagine.
Non fosse per il lavoro sugli sfondi di Phantom Brave e qualche ritocco non troppo evidente, Prinny Presents NIS Classics Vol.1 potrebbe quasi essere classificato come un’operazione di porting. Pur dando atto che i due giochi di base non si prestano bene a una remaster, il risultato visivo è piuttosto deludente e tradisce tutti gli anni sulle loro spalle. Il pregio di questa piccola collection, tuttavia, sta tutto nel valore delle formule di gioco dei suoi titoli: un retaggio di un’epoca in cui Nippon Ichi sperimentava diverse soluzioni alternative, pur mantenendo i capisaldi su cui negli anni si è specializzata e per i quali si è conquistata un vasto numero di fan. Phantom Brave e Soul Nomad sono titoli solidi e impegnativi che faranno sicuramente la gioia degli amanti degli RPG tattici che hanno voglia di esplorare qualcosa di diverso dai soliti Disgaea. Per via della loro peculiarità e complessità di gameplay, però, sono anche titoli che i profani del genere troveranno indigesti.
Pro
- Due perle nascoste in uno
- Decine di ore di gioco
- Gameplay dalle dinamiche inusuali e profonde
Contro
- Operazione di rimasterizzazione scarna
- Livello di scrittura non proprio ottimo
- Dinamiche di gioco troppo complesse per molti