Prince of Persia: Warrior Within – Recensione Prince of Persia: Spirito Guerriero

 Con "Le Sabbie del Tempo", Ubisoft era egregiamente riuscita a riproporre un personaggio a lungo associato allo status di icona videoludica: quel principe di Persia figlio di un certo Jordan Mechner, (proprio grazie a questa nuova trilogia) precursore di quello che è il platform passato e presente.
Spirito Guerriero altro non è che il seguito di quell’avventura dalle atmosfere sognanti e da Mille e una Notte, che tanti giocatori aveva incantato proprio grazie alla sua atmosfera, qui inverosimilmente deformata: il Principe non è più un giovane rampollo regale, ma un guerriero sporco e sanguinario, in fuga da una bestia leggendaria per aver corrotto il corso del tempo con le azioni compiute in quel di Azad. Ecco dunque che il sistema di combattimento è stato pesantemente rivisto (in virtù soprattutto delle diverse critiche apportate a quello precedentemente proposto) e si è tentato di dare un tono maggiormente cupo agli eventi a schermo. Tale cambio di rotta avrà giovato o meno al nostro principe preferito? Scopriamolo.

Corri che ti passa

Spirito Guerriero vanta l’introduzione di un sistema di combattimento definito Free Form Fighting System, pensato e sviluppato in modo da permettere al giocatore di sviluppare un proprio stile di combattimento basato sulla forza bruta garantita, dalla possibilità d’impugnare due armi o basandosi sulla agilità del protagonista: il tutto va a tradursi in un tripudio di piroette ed acrobazie altamente coreografiche, graziate da un comparto animazioni di tutto rispetto e da un motore grafico in grado di garantire sia un elevato livello di dettaglio, che una fluidità invidiabile all’azione. La possibilità d’impugnare due spade, aggiunge numerose combo al già nutrito repertorio del nostro alter-ego e, malgrado facili dubbi riguardo l’effettiva utilità di alcune, regala numerose soddisfazioni con pad alla mano. Le sequenze platform ritornano in tutta la loro gloria: corse sui muri, salti al limite del proponibile, enigmi ben congegnati (anche se purtroppo posti in secondo piano, rispetto alla molto più esaltata bolgia dei combattimenti) ed ottima implementazione dei poteri temporali già conosciuti nel precedente capitolo. Ritornano infatti le capacità di tornare indietro nel tempo, di rallentarlo e di fermarlo, oltre che ad una nuova serie di magie ad area, per prendersi cura di gruppi di nemici particolarmente agguerriti.

 


 

Nota di merito proprio alla caratterizzazione dei molteplici avversari che ci troveremo ad affrontare: essi sono ben differenziati ed attuano tattiche di accerchiamento non indifferenti mettendo in mostra un buon lavoro svolto in fase di programmazione per quanto riguarda l’Intelligenza Artificiale che li muove.
Ubisoft non stravolge le meccaniche già apprezzate in Le Sabbie del Tempo, ma le pone in un contesto completamente differente che a molti non piacerà perché eccessivamente deformato rispetto a quanto ammirato nel predecessore: la decisa virata presa dal level design, come già detto ora, divenne molto meno sfarzoso e molto più cupo ed opprimente, non intacca la soddisfazione regalata dalle funamboliche gesta del protagonista, ma rovina parzialmente il coinvolgimento del player che aveva apprezzato il prodotto di riferimento.
Fortunatamente i ragazzi francesi hanno pensato bene d’introdurre, oltre che ad un rinato sistema di combattimento e ad un nuovo ritmo dell’azione, un’intelligente aggiunta alle sequenze esplorative: gli inseguimenti del Dahaka. Il guardiano del tempo, sulle nostre tracce e catalizzatore delle disperate imprese del nostro alter-ego, comparirà alcune volte nel corso dell’avventura, sempre per coinvolgerci in fughe disperate in cui dovremo calibrare con particolare attenzione ogni movimento, mentre una gustosa angoscia monterà dentro di noi senza freni. Tali sequenze sono ben implementate e diverranno un vero e proprio incubo durante le sequenze di platforming per la loro imprevedibilità, malgrado siano predefinite e non casuali (caso in cui, viene da pensare, avrebbero favorito enormemente la rigiocabilità del titolo).
Buona l’implementazione di boss, magari non propriamente originali o spettacolari, ma impegnativi quanto basta e in grado d’elargire una buona soddisfazione al loro abbattimento, specie dopo un iter di maturazione di conoscenza del loro pattern d’attacco non sempre permissivo, utile a contribuire per integrare ulteriormente la sempre ottima implementazione dei poteri delle Sabbie.

 


 

Bloody-Ear

Se Le Sabbie del Tempo poteva vantare un’ottima colonna sonora accompagnata da un doppiaggio tutto sommato accettabile, Spirito Guerriero non può, ahinoi, fare altrettanto. Aldilà di un repertorio musicale sicuramente molto soggettivo (la maggior parte delle tracce sonore percorre vie Heavy Metal), è il doppiaggio a lasciar basiti: il Principe prende la voce da un pessimo Gabriel Garko, incapace di restituire espressività e convinzione del proprio operato, che perlomeno riesce, dopo un tragico inizio, a risollevare la propria performance sino al limite della decenza. Anonime, infine, le voci dei (pochi) personaggi di contorno.

Questo momento l’ho già vissuto

La seconda avventura del principe si rivela discretamente più longeva della precedente e piacevolmente rigiocabile: la trama offerta è, tutto sommato, di qualità e la narrazione sufficientemente sostenuta da mantenere vivo l’interesse per le peripezie del nostro personaggio. Malgrado non vengano proposti particolari incentivi per rigiocare la vicenda (se non che per un finale alternativo piuttosto impegnativo da ottenere), va detto che farlo sarà di sicuro fonte di piacere, specie considerando la qualità con la quale vengono integrate sequenze d’esplorazione, di fuga e di combattimento.

 


 

Buona la prima

Spirito Guerriero non si dimostra, purtroppo, il degno successore del sognante Le Sabbie del Tempo, andando a distruggere quanto di buono fatto con il predecessore a partire da un’atmosfera impareggiabile per rimpiazzarlo con scelte stilistiche di dubbio gusto e sicuramente molto soggettive. L’eccessiva violenza proposta dall’azione, unitamente al risalto dato dai combattimenti nei confronti delle sequenze esplorative, rendono facile supporre che, chi ha amato la prima iterazione della nuova incarnazione del principe, difficilmente troverà alcuna soddisfazione in questa avventura. Chi volesse seguire l’evolversi delle vicende iniziate nel 2001 e fosse disposto a scendere a compromessi, abbandonando quindi un’ambientazione tanto atipica quanto immaginifica per cacciarsi in situazioni ben più opprimenti, dovrebbe sicuramente prendere in considerazione l’acquisto di un buon action game quale è il Prince of Persia in questione, ma i fan del primo capitolo dovrebbero navigare verso altri lidi.

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