Prey – Recensione
Lo spazio cosmico è sempre stato grande fonte di ispirazione per scrittori, registi e sviluppatori di videogiochi e negli anni le cosiddette space opera hanno largamente dimostrato come anche il pubblico sembra essere molto interessato ad avventure ambientate nelle profondità dell’universo. D’altra parte la scoperta dell’ignoto è una peculiarità radicata nel profondo dell’animo umano e fantasticare su ciò che potrebbe nascondersi in altri pianeti e sistemi solari aiuta ad alleviare un po’ la frustrazione derivante dal non poterli esplorare, scoprire, conoscere.
L’ignoto però può nascondere anche molte insidie e proprio da questo assunto si sono sviluppate numerose opere horror sci-fi come Alien, Predator, Quake, Dead Space e molti altri. L’ultimo ad aggiungersi a questa lunga lista è il nuovo first person adventure (FPA da ora in poi) sviluppato dai ben noti Arkane Studios, è Prey, reboot dell’originale titolo datato 2006 e che era prima in sviluppo presso gli Human Head Studios.
Dove ti ho già visto?
Una volta impugnato il gamepad, l’incipit con cui il giocatore viene introdotto nel mondo di Prey è tra i più classici del genere: siamo su di una stazione spaziale che gravita nell’orbita della Luna, Talos I, e a causa di un esperimento andato storto le letali creature aliene di nome Typhon si sono liberate e hanno iniziato a mietere vittime tra la popolazione che abita la struttura. Protagonista di questo incubo a occhi aperti è Morgan Yu, figlio più giovane della potente famiglia Yu la quale ha in gestione l’intera stazione per conto della misteriosa compagnia TranStar. Nonostante il suo lignaggio, Morgan è stato il soggetto per ben tre anni di numerosi esperimenti basati sulle neuromod, innesti cerebrali in grado di aumentare le capacità fisiche e psichiche di chi ne fa uso a discapito però della memoria.
Se asportate infatti, le neuromod causano la perdita dei ricordi fino al momento precedente la loro installazione e ciò ha portato lo sfortunato Morgan a non ricorda assolutamente nulla dei tre anni trascorsi come cavia. Una volta uscito da quel loop altrimenti infinito, Morgan si ritrova quindi nel bel mezzo di un’emergenza senza alcuna conoscenza del luogo in cui si trova o delle persone che potrebbero essergli d’aiuto. L’unica voce che lo guiderà nell’oscurità dello spazio è January, un’intelligenza artificiale da lui stesso progettata che ha il compito di assisterlo nella sua fuga.
Senza girarci troppo attorno, la sensazione che molti giocatori percepiranno assistendo alla prima ora di gioco è quella di avere davanti a sé né più né meno che una copia di Bioshock ambientata nello spazio; fortunatamente però, superate le prime fasi, ci si accorge come sia narrativamente che ludicamente questo Prey sia in realtà un’opera con una sua forte personalità. L’avventura è ricca di colpi di scena, misteri e doppi giochi e verranno trattati anche numerosi temi etici di non poco conto che avranno la capacità di mettere il giocatore dinanzi a scelte tutt’altro che semplici. D’altra parte è di Arkane Studios che stiamo parlando, un team che ci ha regalato i due ottimi Dishonored e Dishonored 2 e che si è avvalso della collaborazione del mostro sacro Chris Avellone per delineare la trama della sua ultima creatura.
Le atmosfere, quelle sì che ricordano in effetti Bioshock. Il titolo sviluppato da Irrational Games però si rifaceva al fratello maggiore System Shock, che a sua volta affondava le radici in quel capolavoro horror di nome Alien. Ecco quindi che anche in Prey saremo costretti a vagare in ambienti abbandonati in fretta e furia nei quali ancora sembra intravedersi un briciolo di quotidianità ma che in realtà sono popolati unicamente da cadaveri deturpati e creature aliene che vogliono impossessarsi del nostro corpo. Impotenza, desolazione, malinconia e terrore: un mix di emozioni che chi conosce le opere citate poco sopra sa quanto possa essere incredibilmente affascinante.
Naturale evoluzione
Prey non è quindi un titolo che può essere dato per scontato e questo riguarda non solo la componente narrativa ma anche il gameplay. I primi passi del giocatore all’interno della stazione Talos I saranno abbastanza tosti da digerire: Morgan non ha abilità, si muove lentamente e persino inquadrare nel mirino gli sfuggevoli Typhon sembra a tratti un’impresa titanica. L’installazione delle neuromod però porterà a una vera e propria trasformazione del titolo che dopo un inizio un po’ impacciato comincerà a filare liscio come l’olio dritto fino alla fine. Che sia una scelta di design o puro caso poco importa, l’evoluzione del personaggio che si riflette di conseguenza in una crescente fluidità del gameplay riesce a creare un senso di coinvolgimento che pochi altri titoli possono vantare.
Tutto ha inizio con una semplice chiave inglese, la crescente pericolosità dei nemici però costringerà i giocatori a ingegnarsi con le più bizzarre delle tecniche di sopravvivenza rese possibili da un range di armi e abilità decisamente atipico e una interattività degli gli ambienti notevole. Ecco dove emerge tutta la componente “adventure” di Prey: un gameplay altamente interattivo e la risoluzione degli scontri senza necessariamente coinvolgere armi da fuoco rendono il gioco maggiormente simile a titoli come The Legend of Zelda piuttosto che a sparatutto quali Halo o Call of Duty. Se sommate a quanto appena detto una struttura dei livelli discretamente intricata, un po’ di backtracking, un profondo sistema di sviluppo delle abilità e tanto, tanto crafting vi renderete conto che di “shooter”, il titolo Arkane Studios, ha davvero poco.
Una decadente bellezza
Tra gli aspetti più riusciti della serie Dishonored vi è senza dubbio il comparto artistico: non solo i due capitoli vantano un design originale e ambizioso, ma essi possono contare anche su di una colonna sonora di altissimo livello. Come dice il detto, non c’è due senza tre, e anche il novello Prey riesce a elevarsi dalla massa fondendo al suo interno più stili apparentemente molto diversi tra loro. Vagando per la stazione Talos I ci imbatteremo in aree realizzate con uno sfarzoso stile Art Decò, altre che mettono in risalto le origini sovietiche della struttura e alcune infine molto più simili agli stilemi derivanti dalla fantascienza classica. A curare la colonna sonora troviamo lo stesso compositore del nuovo Doom, Mick Gordon, la cui mano si riconosce in più di qualche passaggio pur mantenendo un’identità tutta sua rispetto all’adrenalinico shooter di id Software.
La realizzazione puramente tecnica è inoltre di buona fattura, con ambientazioni ampie e ricche di dettagli a schermo, c’è però da dire che talvolta la versione modificata del CryEngine usata da Arkane mostra leggere incertezze che fortunatamente non influiscono poi troppo sul gameplay vero e proprio del titolo.
Con il reboot di Prey, Arkane Studios ha dimostrato ancora una volta tutta la sua abilità nel creare un universo complesso, affascinante e al tempo stesso estremamente piacevole da giocare. La terrificante avventura di Morgan Yu porta il giocatore a scontrarsi con un nemico che sembra essere uscito dal peggiore degli incubi, il quale però non è altro che un mezzo per portare alla luce tutta l’ingordigia e la natura ambigua dell’essere umano. Prey è insomma un gioco davvero notevole, una piacevole e inaspettata sorpresa che ogni amante della fantascienza non potrà lasciarsi sfuggire.
Pro
- Narrazione originale
- Comparto artistico mozzafiato
- Gameplay intrigante
- Buona longevità
Contro
- Inizio un po' lento
- Qualche piccolo problema tecnico