Phoenix Springs RECENSIONE
C’è un particolare fascino nel surreale, nell’approcciarsi a un’opera che ha un significato ma non vuole spiegartelo e nel cercare di capirlo addentrandosi nella psicologia interna dell’arte. Phoenix Springs è un gioco basato interamente su questo concetto, che non scende a patti col giocatore ma lo sfida a scoprire cosa si cela nel suo strano mondo.
Phoenix Springs RECENSIONE
Nel videogioco è raro trovare qualcosa di così fortemente dedicato a replicare narrazioni surrealiste ben più comuni in altri generi, come con libri quali I’m Thinking of Ending Things (e seguente adattamento cinematografico) o film come il recente Bo is Afraid.
Eppure l‘avventura punta e clicca del team Calligram Studio abbraccia pienamente pro e contro di questo tipo d’arte, comunicando sin dallo stile grafico come il loro gioco abbia una visione decisa che prende delle meccaniche comuni di altri titoli, ma non è veramente paragonabile a nessuno di loro (con qualche rara eccezione).
La storia è la principale attrazione, oltre allo spettacolare stile grafico che approfondirò a breve, e inizia con una scena in “Medias Res” di una donna seduta su un treno che passa attraverso il deserto. Non viene detto nulla su di lei fino a quando il giocatore non inizia ad interagire col mondo, mandando quindi un messaggio chiaro. Tutto è da scoprire attivamente. Ci sono delle brevi cutscene di tanto in tanto, ma anche queste sono sempre conseguenza di un’azione intrapresa dal giocatore, sia questa la risoluzione di un puzzle o l’interazione con un oggetto nell’ambiente di gioco.
Un viaggio in un mondo neo-noir dalle tinte fortemente surreali, dove ogni cosa è un mistero da scoprire
Scopriamo quindi di essere in controllo di Iris, una reporter alla ricerca del fratello Leo Dormer. Lo apprendiamo tramite la meccanica cardine di Phoenix Springs, cioè combinare i pensieri di Iris con oggetti e/o persone nell’aria circostante.
Non mi addentrerò nelle specifiche della narrazione, il gioco è piuttosto corto ed essendo una matrioska di misteri, spesso con risposte molto vaghe e aperte a interpretazione, rischierei di finire a fare un riassunto dell’avventura. Mi limito a dire che partendo dalla semplice combinazione di Iris + Leo Dormer, si intraprende una ricerca inquietante.
Il gioco non sfocia mai apertamente nell’horror, ma costruisce un’atmosfera molto suggestiva che utilizza degli elementi di horror psicologico, cosa che si sposa sempre molto bene con uno stile di scrittura ed estetica surreale (non per niente i due esempi di opere d’arte fatti prima sono entrambi esempi di horror psicologico).
Poco, ma intenso anche se…
Sfruttando due semplici meccaniche di esplorazione e di combinazione tra pensieri e oggetti/persone, l’avventura si sviluppa attraverso diversi stage, ognuno con un mistero centrale da risolvere ma molti altri da scoprire. Una cosa apprezzabile di Phoenix Springs è come sta al giocatore scoprire “di più”.
Potenzialmente ogni scenario può essere risolto in cinque minuti, col minimo di informazioni scoperte. Così facendo però, nel lungo periodo diventerà sempre più complesso capire cosa stia succedendo. Questa cosa aiuta non solo a costruire un mondo più interessante e invogliare l’esplorazione, ma anche nella rigiocabilità.
Una volta ottenuta la chiave di lettura finale è infatti interessante rivisitare le ambientazioni precedenti, tramite una nuova run, per scoprire di più e arricchire la propria interpretazione degli eventi e del messaggio dell’opera.
La corta durata dell’avventura gioca a vantaggio in questo caso…anche se purtroppo ci sono varie imperfezioni che comunque possono limitare l’apprezzamento del titolo anche a chi, come me, apprezzasse questo tipo particolare d’arte.
Non tutte le scelte ripagano
Lato gameplay, c’è una sezione sul finale che ho trovato sinceramente tediosa ed inutilmente prolissa. Si deve essenzialmente ripetere la stessa azione per circa 15 minuti, se si è capita la soluzione, altrimenti molti, molti più.
In un’esperienza corta e densa come Phoenix Springs ho trovato stridente praticamente tutta la sezione finale, una specie di ripetizione di una zona precedente. Non ho nemmeno apprezzato molto la rivelazione che si cela dietro a tutti i misteri, un po’ troppo cliché per le ottime premesse che il gioco aveva messo in piedi precedentemente.
In generale, il viaggio si è rivelato più soddisfacente della destinazione, cosa che tutto sommato è abbastanza comune con narrazioni di questo genere. Essendo opere che ti fan viaggiare con la fantasia, stimolandoti a cercare le tue soluzioni, è facile cadere nel tranello del proporre una soluzione che per alcuni può essere deludente.
Un grosso neo del gioco sta anche in quello che, all’apparenza, sembra essere un punto di forza. Lo stile grafico è molto bello, cattura l’occhio e comunica subito al giocatore di che tipo di esperienza si tratti. Queste sono tutte cose estremamente positive…peccato che la realizzazione tecnica sia altalenante.
Giocato su due PC differenti, Phoenix Springs ha sempre avuto un difetto comune: i background spesso “nascondono” oggetti. Tra il fortissimo filtro non disattivabile (salvo mettere le impostazioni grafiche a Low) e il nero molto pronunciato, alcune ambientazioni risultano troppo scure e l’estetica generale ne risente enormemente.
La zona finale soffre anche di qualche problema di ottimizzazione, con dei cali di framerate anche evidenti. Non si tratta di un gioco pesante da supportare, né di un titolo che necessiti di 120 FPS, ma può essere fastidioso avere notevoli cali nel mentre si passa da una zona verdeggiante all’altra.
Phoenix Springs RECENSIONE l’avventura punta e clicca di Calligram Studio è un’opera imperfetta ma fortemente originale. Se da una parte non siamo davanti ad un capolavoro immortale, dall’altra ci sono pochi altri giochi che possono regalare un’esperienza simile.
Phoenix Springs è un gioco che vuol essere per pochi ma al contempo offre qualcosa di raro per un videogioco
Pro
- Stile grafico accattivante
- Molti misteri soddisfacenti da scoprire
- L'interazione è ben gestita
Contro
- Alle volte i colori nascondono dettagli nell'ambiente
- Finale un po' troppo banale