Phantom Doctrine – Recensione
Era giugno, eravamo a Los Angeles per l’E3 2018 e faceva parecchio caldo quando abbiamo provato Phantom Doctrine, un gioco che sin dalla prima occhiata finisce inevitabilmente per essere classificato come “XCOM ma in una storia di spionaggio”. E per la prima dozzina di ore di gioco il paragone è anche troppo vero: si spara molto e si spia poco, la differenza pare solo essere nell’aspetto grafico. Passato il trauma, però, lo scenario cambia: si inizia a comprendere le meccaniche, si sbloccano nuove cose, si iniziano a intuire le possibilità, si colgono finalmente il potenziale e il bello del gioco. Una perla imperfetta che richiede del tempo per essere apprezzata, ma che alla fine ci ha trascinato in quasi 70 ore di infiltrazioni, rapimenti, sotterfugi, esperimenti, torture ed esecuzioni.
Facciamo finta che buona parte delle teorie cospirative della Guerra Fredda siano vere, e che le tensioni tra USA e URSS non siano altro che una facciata per poteri occulti molto più grandi: questi sono gli anni ’80 alternativi in cui è ambientato Phantom Doctrine, un gioco che fa del mistero il suo cavallo di battaglia. All’inizio del gioco si ha la possibilità di scegliere se impersonare un agente del KGB o della CIA (a cui aggiungere un agente del Mossad, fazione sbloccabile solo dopo aver finito il gioco), una scelta che cambierà le prime missioni del gioco ma non la totalità della storia, che oltre un certo punto converge comunque in un ramo comune. Phantom Doctrine ha ovviamente molte similitudini con XCOM: c’è un sistema di combattimento a turni con un numero di movimenti e di azioni limitato per ogni personaggio, c’è una base da gestire ed espandere, ci sono agenti da reclutare e crescere c’è una mappa del mondo dove compiere missioni, con la storia che andrà avanti completando determinate operazioni e ricerche.
L’inizio del gioco è tutt’altro che accattivante: la prima missione di tutorial spiega le basi necessarie per comprendere come funzionano a grandi linee i turni e il sistema di combattimento, senza entrare nel dettaglio delle numerose statistiche coinvolte e lasciando il giocatore piuttosto ignaro delle cose meno basilari, in particolar modo al di fuori delle missioni. Per chi non ha letto alcuna anteprima del gioco, inoltre, è impossibile immaginare la quantità di possibilità strategiche offerte nel lungo periodo: si vedono alcune opzioni non sbloccate nei vari menù, ma sono in quantità minima rispetto a quelle che effettivamente appariranno, spingendo i meno pazienti ad annoiarsi in fretta per il semplice timore della ripetitività del gioco. Le prime missioni, difatti, spingono i giocatori a inviare agenti in situazioni pericolose prive di equipaggiamenti basilari (come i silenziatori per le armi) e impossibilitati a ottenere informazioni preziose (come la posizione delle telecamere): trattandosi di un gioco di spionaggio, le missioni prevedono una prima fase di infiltrazione in cui gli agenti possono muoversi liberamente al di fuori delle aree proibite e lontano dalla vista degli agenti nemici.
La seconda fase è il combattimento, ma è generalmente scoraggiato: aprire il fuoco senza silenziatori, essere scoperti dentro aree proibite o compiere mosse sospette sono una parte delle azioni che porteranno l’allarme a scattare, facendo saltare la copertura e scatenando la reazione di tutti i nemici presenti, i quali verranno supportati da ondate infinite di rinforzi (ovvero agenti aggiuntivi e persino bombardamenti aerei). Come facilmente intuibile, lo scontro è tanto sconsigliato quanto più si è inesperti nel gioco, ma allo stesso tempo il gioco stesso rende quasi impossibile evitarlo nelle prime fasi, rendendo di fatto la curva di difficoltà molto ripida. Anche le missioni non aiutano l’immersività nel titolo: eccetto per quelle relative all’avanzamento della storia, la maggioranza delle missioni di routine (generate casualmente) ripetono lo stesso set di mappe ed obbiettivi – eliminazione di un agente nemico o salvataggio di un informatore – talvolta intervallandosi con assalti alle basi avversarie, anche questi però potenzialmente troppo complessi per i giocatori alle prime armi.
Fuori dalle battaglie il titolo si sviluppa con meccanismi noti al genere ma con una chiave di lettura appropriata all’ambientazione. L’avanzamento del gioco avviene primariamente tramite la raccolta e l’analisi di informazioni, effettuate salvando informatori, catturando agenti nemici, trafugando documenti e traendo conclusioni attraverso una lavagna dove connetterli tra di loro. L’economia si basa sulla compra-vendita di oggetti e sulla creazione di denaro falsificato, che può essere speso per addestrare gli agenti, ingaggiarne di nuovi, comprare armi ed equipaggiamenti, costruire nuove strutture o migliorare quelle esistenti. Mano a mano che si scoprono abilità, oggetti e strutture nuove si allargano esponenzialmente le possibilità tattiche offerte: si iniziano a trovare silenziatori e a poter usare travestimenti per i propri agenti, rendendo l’infiltrazione fattibile; si scoprono nuovi modi per risolvere le missioni occasionali senza dover per forza intervenire in prima persona; si scopre di poter rapire gli agenti nemici ed effettuare vari trattamenti su di loro per renderli utili alla nostra causa; si migliorano tutte le procedure già conosciute incrementando gli introiti, diminuendo il pericolo, e via discorrendo.
È proprio sbloccando nuove opzioni che il gioco inizia ad essere divertente. La cattura di agenti avversari, ad esempio, è una delle parti più intriganti dell’esperienza: potete catturarne uno dopo averlo stordito durante una missione, portarlo alla vostra base, interrogarlo per ottenere informazioni, piantargli un trasmettitore e rilasciarlo per scoprire una base nemica, oppure fargli il lavaggio del cervello e convertirlo alla vostra causa, e altro ancora. Ma attenzione: questo può succedere anche a voi. Uno degli aspetti più interessanti di Phantom Doctrine, difatti, è l’incredibile duttilità degli agenti, e l’avventura va affrontata rigorosamente accettando le conseguenze di ogni azione e senza abusare del sistema di salvataggio. Al contrario di XCOM perdere una missione (oppure uno o più agenti) non compromette la campagna: a patto che non siano stati uccisi, gli agenti dispersi in missione (perché svenuti o perché lasciati indietro al momento della fuga) potrebbero riuscire a salvarsi e tornare alla base in autonomia, oppure potranno essere catturati dandovi l’opportunità di andare salvarli (a patto di scoprire dove siano rinchiusi). Anche se questi fossero persi per sempre, comunque, gli agenti reclutabili sono spesso migliori di quelli trovati in precedenza, consentendovi di non dovervi attaccare sentimentalmente agli agenti più anziani. Inoltre, non si può mai sapere che in realtà non si tratti di traditori inconsci che vi volteranno le spalle non appena il nemico li incontrerà…
Phantom Doctrine è un gioco che va apprezzato sul lungo periodo: se saprete guardare oltre le difficoltà iniziali e sopportare un po’ di ripetitività, vi troverete di fronte a un gioco molto più bilanciato di XCOM che offre grandi soddisfazioni a chi è disposto ad accettare le conseguenze di ogni sua azione. Assolutamente da provare se siete amanti delle storie di spionaggio e/o degli strategici, senza inoltre dimenticare che il titolo è in costante aggiornamento e includerà presto anche un editor.
Pro
- L'atmosfera da film di spionaggio è densa e ricca di citazioni
- Le fasi avanzate del gioco regalano parecchie soddisfazioni
- Non punitivo e invoglia l'accettazione della sconfitta
- I sistemi di rapimento e la ricerca su lavagna sono fantastici
Contro
- Occorre tempo per apprezzarlo
- Le missioni secondarie sono molto ripetitive
- Alcune abilità sono pressoché inutili
- Parecchi bug minori