Pacific Drive RECENSIONE | Con un survival sul cruscotto
Pacific Drive è la sensazione che hai quando stacchi dal lavoro e ti metti al volante, pront* a fare quei chilometri con sì la stanchezza di una giornata addosso, ma consapevole che alla fine della strada, dopo quella curva, in fondo a quel tunnel, c’è… casa. Se lavorassi nell’Area X del romanzo Annihilation di Jeff Vandermeer, però. Weird, uh?
Chiudi la porta. Avvia il motore. Togli il freno. Vai…
Parto subito con il dire che, nella mia limitata esperienza con i titoli survival, non per le meccaniche che offrono ma per la tendenza a “volerli fare durare troppo”, Pacific Drive è un’iterazione del genere che si distingue non per quello che fa ma per come decide di svolgere il compito.
Pacific Drive RECENSIONE | Sopravvivenza al volante
Lo dovevamo forse capire da Balatro (leggiti la mia recensione), ma il roguelike sta vedendo sempre più trasposizioni anomale, in fatto di generi e meccaniche messe sotto i ferri per “subire” la torsione dettata dalle regole del genere di (non) appartenenza. In alcuni casi risulta in forzatura, e chi gioca se ne rende conto, altre volte decide di limare talmente tanto la sua struttura da arrivare al confine con un autoclicker e, sapientemente, mettere radici proprio su quel bordo, altre volte decide di modificare… i panni vestiti da chi gioca.
Più che di panni qui si parla di panne, perché in Pacific Drive siamo, essenzialmente, un’automobile. Ok, non esattamente, siamo il personaggio che la guida in prima persona, un Driver senza nome né voce, ma con un potere decisionale non indifferente, almeno a partire da quello che, inaspettatamente gli succede. Nella brevissima intro, infatti, stiamo attraversando un piacevolissimo ed esteticamente aggradante pezzo di America (mai specifica o specificata, sia chiaro) quando, senza preavviso, la strada comincia a comportarsi in modo strano. Senza sapere come o perché ora siamo DENTRO quel titanico muro che pochi attimi prima stavamo costeggiando, e non c’è nemmeno troppo tempo per indagare sui motivi di questo mistero, perché… beh, è ora di sopravvivere.
Nel giro di pochissimo veniamo contattati da una voce alla radio (non inizio nemmeno con i parallelismi a Firewatch, sia chiaro, perché Pacific Drive, suo malgrado, ne uscirebbe leso) che ci spiega che la Zona nella quale ci troviamo, prima sede di diversi esperimenti, tra i quali uno andato particolarmente male, ora è una sorta di area di confine della scienza, una distesa di foreste, paludi e sprazzi di Gaia sconfinata che non troppo (e non più) rispetta le regole della logica, umana e naturale.
“Non è survival, è più voglia di qualcosa di sicuro”
Non siamo sol* ad affrontare i pericoli della Zona, però, perché possiamo fare affidamento sulla nostra splendida Delorean Kitt automobile, ora non più mero mezzo a 4 ruote, ma vera e propria Entità, interessata alla sopravvivenza del nostro alter-ego digitale almeno quanto noi che teniamo il controller in mano. La Zona infatti ci è inospitale sotto vari aspetti, sia nella forma di pericoli attivi (raccoglitori di materiali che non si faranno problemi a trascinare via la nostra auto, anche con noi al volante) sia in forma di minacce ambientali come gas, radiazioni, acido, ecc. C’è un pericolo più affidabile nella sua capacità distruttiva e nella sua puntualità, ma ne parliamo successivamente.
La nostra auto (“Remnant”) ci offre infatti per lo più protezione fisica, ed è nostro compito non solo mantenere intatti o eventualmente riparare ogni portellone, lamiera, ruota, o paraurti danneggiato, ma anche fare di tutto per recuperare i materiali necessari a craftare elementi costitutivi (dell’auto) sempre più resistenti, tanto da arrivare anche da avere diversi tipi di protezione a seconda dell’elemento strutturale, ad esempio, che decideremo di utilizzare. Stiamo per avventurarci in una zona particolarmente paludosa e prona a trappole di acido? Meglio una porta impermeabile all’acido. Come dici, in questa particolare zona ci sono emanazioni di radiazioni fuori scala? Meglio puntare su una porta resistente alle radiazioni.
Come ogni roguelike che si rispetti questi cambiamenti non potremo (sempre) farli on the road, ma abbiamo una base, più propriamente un garage, al quale respawneremo se moriremo durante una run, o al quale torneremo tramite un teletrasporto (tra l’altro “triggerato” dall’auto stessa) a run completata. Qui, utilizzando varie risorse raccolte nelle mappe, la cui struttura ti racconto fra pochissimo, potremmo sbloccare e fabbricare potenziamenti per la nostra auto (che le permetterà magari di resistere di più ai danni, o di avere più autonomia di batteria o benzina, giusto per fare qualche esempio), nuove stazioni di lavoro all’interno dell’officina stessa, o potenziamenti per il personaggio stesso (per lo più contestualizzati come piccoli progressivi indumenti protettivi in grado di farci da scudo quando dovremo lasciare la macchina per esplorare).
Raccordi di eventi, incroci di circostanze, rotonde di (a volte magra) casualità
Ogni “livello”, per il quale Pacific Drive utilizza il termine di “raccordo”, ci offre quello che ci si aspetta da un survival, contestualizzate in questo particolare mondo di gioco: auto e camion abbandonati, abitazioni, torre radio o stazioni di ricerca ci possono offrire i materiali necessari non solo a potenziare l’auto ma anche solo a mantenerla intatta o, in emergenza, a ricraftare direttamente dal portapacchi dell’auto un nuovo pezzo; piccoli reattori, che ci attirano con le loro luci tanto calde nell’accogliere quanto pungenti nel danneggiarci quando ne maneggeremo i nuclei, ci forniscono l’energia che serve all’auto per aprire un teletrasporto e tornare all’officina; benzinai e stazioni di ricarica ci offrono un piccolo momento di sollievo.
Quasi ogni singola nostra azione di gioco richiede un particolare strumento, anch’esso incastrato nella struttura di continuo crafting tipico del genere, ma Pacific Drive sembra riuscire sempre bene a gestire l’equilibrio del system design, pretesa necessaria nel momento in cui una run può durare anche fino a 40 minuti: raramente mi sono trovato senza le risorse necessarie a ricraftare, ad esempio, la sega circolare necessaria a demolire le lamiere di metallo delle auto abbandonate per ottenerne materiali, o il mastice magico che permette di riparare le parti dell’auto in modo un po’ più grossolano.
Certo, ho avuto anche run incredibilmente tediose, a causa di un’auto ben oltre i limiti di riparabilità offerti dalle risorse che ero riuscito ad accumulare, ma raramente Pacific Drive non ti dà gli strumenti per uscire dal pasticcio in cui ti trovi (o nel quale ti sei autonomamente ritrovat*), e c’è sempre la possibilità di abbandonare la run, con conseguenze relativamente sensibili, e sentite, sulla salute dell’auto stessa.
Finora ho solo meccanicamente accennato al teletrasporto che ti permette che ti rientrare all’officina, ma questo è uno degli elementi che consapevolmente restituisce di più l’idea di un sistema di gioco e un core loop che, pur non arrivando a risoluzioni geniali dei problemi affrontati, trova un modo nuovo e originale di raccontare un’elemento narrativo nella sua applicazione ludica e “verbale”. Per attivare il teletrasporto, tra l’altro non disponibile in ogni singolo raccordo, serve una determinata quantità di carica energetica, ottenibile recuperando delle sfere di energie sparse per i raccordi. Ce ne sono ovviamente di 3 diversi tipi, ognuna collegata all’unlock di determinati potenziamenti nell’officina, ma le tipologie non cambiano la quantità di energia che ci serve per attivare il teletrasporto.
Un palese esercizio di equilibrio fra rischio e beneficio
Fin qui, dirai, nulla di sconvolgente: il twist è infatti che queste sfere di energia sono, prima di tutto, dannose verso di noi, quindi quando dovremo trasportarle all’auto, in grado di demolirle e assorbirne la carica, dovremo stare attenti alla nostra salute (sì, anche il protagonista ha la salute, esattamente come l’auto, anche se è molto più semplice curarsi); secondariamente, però, queste sfere sono anche le ancore che tengono insieme il raccordo, proteggendolo, entro determinati limiti, da tempeste radiattive/elettromagnetiche in grado di demolire l’auto e noi con essa, rendendo vano gran parte di ciò che abbiamo fatto nella run fino a quel momento.
Dobbiamo essere pront* ad una tempesta che, pronta ad assaltarci con più o meno aggressività (a seconda del raccordo), ci può sorprendere anche in situazioni nelle quali non abbiamo ancora la carica sufficiente ad effettuare il salto, ed ecco che si corre come disperat*. Chiaramente, una volta che avremo sbloccato determinati potenziamenti, questa fretta viene un po’ meno, ma il senso di urgenza del recupero di queste sfere energetiche non viene mai veramente meno, soprattutto nelle run che vogliamo dedicare quasi esclusivamente alla raccolta di materiali.
Più ci spingiamo al centro della Zona, peraltro, più ci ritroveremo in un mondo che si distacca visivamente dal nostro, passando da qualche sporadica entità a forma di crash dummy a palle di acido che rimbalzano violentemente a terra, a sfere fluttanti che ci appiccicheranno alle superifici più vicine, fino a entità tentacolate che aggressivamente ci ruberanno componenti della macchina stessi. Anche in questo caso più si rimane fuori, più ci si spinge con la propria run, più aumenta il rischio ma anche la possibilità di tornare con un bel bottino, energetico e non.
(Porta)bagagliate di crafting
Non c’è survival senza crafting, e in questo contesto Pacific Drive segue una strada un po’ più safe ma che, a mio parere, è anche ora di distruggere: abbiamo infatti il nostro banco di lavoro nell’officina e, per emergenze, anche nel portabagagli. Non tutto quello che possiamo craftare in officina è craftabile anche in mobilità, e ovviamente in macchina potremo craftare solo ciò che i materiali che abbiamo con noi ci permettono; dato che molto del danno che subiremo ha soluzioni preventive o riparatorie, il crafting durante la run serve più a sostituire eventuali strumenti di raccolta risorse che si sono rotti, o per creare quel mastice riparatore che più di qualche volta ci toglierà dai guai.
Di per sé, nelle mie varie run, non ho mai percepito un disequilbrio nella distribuzione dei materiali in giro per la mappa, dato che ogni edificio è segnalato e la mappa stessa rende molto chiare le zone di pericolo ambientale più ostinato (tempeste passeggere, pozze di acido, ecc); ogni qual volta mi sono ritrovato in difficoltà è stato per scelte che io stesso avevo compiuto, anche in cosa avevo deciso di craftare o meno prima di ripartire dall’officina, e raramente per qualche sadica ritorsione del sistema (o mondo) di gioco stesso. Il desiderio di volersi adattare alle necessità di chi gioca si riflette anche nelle tantissime opzioni di accessibilità modificabili nel menu di gioco, persino durante la run: potremo infatti togliere il danno all’auto e al nostro alter ego, disattivare le tempeste, attivare il carburante infinito o, perché no, una cura completa e gratuita della macchina una volta rientrati con successo da un’escursione, e tantissime altre opzioni che mi fanno riflettere molto su tutti i titoli che invece, vuoi per necessità di design, vuoi per orgoglio del team di sviluppo, fanno proprio della loro ostilità un pilastro.
Un aspetto legato al crafting che purtroppo non ha trovato molti riscontri positivi nel mio giudizio è l’organizzazione dello zaino e del magazzino: per quanto riguarda il primo, non sono presenti upgrade che ne aumentino sensibilimente lo spazio e, funzionando come altri inventory system già noti ai più (la griglia di Resident Evil, per nominare un franchise, quindi con elementi che occupano un numero di celle in una struttura a griglia), mi sono scontrato più e più volte su cose che apparentemente non potevano stare nello zaino solo perché il sistema aveva automaticamente ordinato nel peggiore dei modi la distribuzione dei miei oggetti nello zaino stesso. Il magazzino dell’officina, invece, è caotico e troppo diluito spazialmente per non far saltuariamente sbuffare anche il più coriaceo dei survivalist. Alcuni potenziamenti migliorano leggermente la situazione magazzino, ma non c’è nulla che faccia davvero tirare un sospiro di sollievo.
Una lezione in UI diegetica
Un elemento di gioco che sicuramente farà molta gola a giocatrici e giocatori più attenti e “maliziosi” è l’utilizzo della UI, quasi completamente diegetica (ossia che ha una presenza fisica e giustificata nel mondo, come la barra salute sul dorso della tuta di Isaac nei vari Dead Space). Lo stato di salute dell’auto, ad esempio, è osservabile direttamente tramite uno schermo presente sul cruscotto, come lo è naturalmente il livello di benzina e batteria; altri elementi sono invece lasciati ad una UI più classica, come la salute del nostro Driver, gli eventuali segnalini droppati nella mappa di gioco dall’interfaccia della mappa (questa invece nuovamente elemento diegetico) o l’inventario, sia quello rapido sempre a schermo, che quello accessibile tramite la schermata dello zaino.
Sembra cosa da poco, ma è una scelta saggia e che sembra nuovamente scelta di design affettuosa verso il genere survival, dove l’immersività e la sospensione dell’incredulità non devono mai essere infrante, non per troppo tempo e non troppo violentemente; ho trovato anche molto interessante che la mappa sia consultabile SOLO tramite lo schermo posto sul cruscotto dell’auto, spingendo ad organizzarsi di più e ad andare meno allo sbaraglio, tutte parti costitutive di un’esperienza di sopravvivenza che ha di che insegnare, almeno sotto questi aspetti.
…e questa era “Holy Mistery” di Mark Crawford e Kenny Lee Young.
Lo so, lo dico di continuo, ma l’aspetto del sound design e, a volte, delle soundtrack dei titoli che giochiamo è quello più sottinteso e smarrito nelle valutazioni di molti: se un comparto sonoro è di qualità, in fondo, non ti accorgi nemmeno che è lì, no? Ecco, tolto qualche aspetto di mixaggio audio che rende piuttosto violente, per i nostri timpani, le tempeste e le minacce che in generale ci circondano, il sound design è profondamente immersivo, e Pacific Drive è sicuramente un titolo che si deve godere con un buon sound system o paio di cuffie. Io ho avuto la fortuna di giocarlo poco dopo l’acquisto delle nuove Sony Pulse Elite e devo dire che la mia esperienza di gioco ne ha guadagnato, di molto. Anche le tracce che compongono la soundtrack, recuperabile su Spotify, hanno alcuni elementi di pregio e che ben rendono l’idea di un pezzo di mondo, questa Zona teatro delle vicende, strappato da un’America rurale fatta di legno, rocce e sentieri.
Pacific Drive è un survival ben riuscito e che trova il giusto equilibrio fra innovazione e rispetto delle tradizioni dettate dal genere. Ha certamente alcuni difetti qui e lì, lezioni di design che hanno bisogno di essere rinfrescate, se non ricostruite, ma il titolo di Ironwood Studios e Kepler Interactive è un ottimo giro di rotonda che mi fa ben sperare nel futuro del team di sviluppo e a tutto quello che, a livello di reinvenzioni e rottura dei dogmi, ha ancora da offrire.
Pacific Drive RECENSIONE | Con un survival sul cruscotto
"Pacific Drive è un survival ben riuscito e che trova il giusto equilibrio fra innovazione e rispetto delle tradizioni dettate dal genere. Ha certamente alcuni difetti qui e lì, lezioni di design che hanno bisogno di essere rinfrescate, se non ricostruite, ma il titolo di Ironwood Studios e Kepler Interactive è un ottimo giro di rotonda che mi fa ben sperare nel futuro del team di sviluppo e a tutto quello che, a livello di reinvenzioni e rottura dei dogmi, ha ancora da offrire."
Un interessante twist nel genere survival
Pro
- Il loop di gioco funziona bene
- La manutenzione dell'auto è sempre tra il tedioso e il coinvolgente
- I pericoli che l'ambiente piazza di fronte a chi gioca sono spesso una sorpresa
Contro
- Non si capisce troppo quale potrebbe essere la durata ideale di una sessione di gioco
- Gli ambienti iniziano a diventare ripetitivi piuttosto presto
- Alcune run di soli rifornimenti per risistemarsi la macchina sanno essere noiose