Onimusha: Warlords – Recensione Onimusha: Warlords
A caccia di Demoni
Capcom è sicuramente la regina indiscussa dei survival horror, le atmosfere cupe e piene di suspense dei suoi giochi godono di grande originalità e hanno il potere di tenere qualsiasi tipo di giocatore incollato allo schermo. Sono tante le serie create da questa softwarehouse nipponica, basti pensare a Resident Evil, Dino Crisis e Clock Tower per farsi un’idea.
Tra i primi titoli disponibili agli esordi della Playstation 2, tutti ricorderanno senza ombra di dubbio Onimusha:Warlords, apparso nel 2001 dopo una gestazione non poco problematica. Inizialmente il titolo fu concepito per Nintendo 64, ma alcuni problemi relativi alle potenzialità della macchina e l’incertezza dei piani alti, fecero slittare il progetto in direzione della prima Playstation. Purtroppo però il travaglio non era ancora finito: alcuni oscuri motivi di cui si sa ben poco, contribuirono a far si che l’intero progetto venisse rivisto quasi completamente e trasportato finalmente, in maniera definitiva, su Playstation 2.
Epoca di conquiste
La battaglia infuria nella pianura di Okehazama, e l’esercito del signore della guerra Nobunaga Oda, si appresta a sferrare il colpo decisivo alle legioni capitanate da Yoshimoto Imagawa. Un solo samurai osserva lo scontro da un altopiano: Samanosuke Akechi.
La superiorità numerica e l’effetto sorpresa dell’attacco di Nobunaga, spingono l’esercito di Imagawa alla disfatta, e Samanosuke decide di recarsi il più presto possibile alla roccaforte di Yoshitatsu Saito, convinto che le mire di conquista del clan Oda condurranno presto l’esercito alle porte del castello, dimora di Yuki, principessa della regione Mino, nonché sua cugina.
Purtroppo però la fretta ed il veloce cavallo del samurai non sono sufficienti; al suo arrivo, Samanosuke scoprirà che il castello è già stato attaccato di sorpresa e della donna non c’è traccia.
Spade, demoni e magia
Definire Onimusha:Warlords un survival horror è alquanto riduttivo; quello che abbiamo per le mani altri non è che un bel frullatore pieno zeppo di idee originali e ben congegnate. Normalmente il primo esempio del genere che verrebbe in mente a tutti, sarebbe il previo citato Resident Evil, dove per farci strada tra orde di zombie e mostri di varia natura, è necessario armarsi di fucili, bombe e quant’altro; questo però non accade in Onimusha. I combattimenti di questo titolo saranno tutti a base di armi bianche e magia. Poco dopo aver preso controllo del nostro alter ego, Samanosuke verrà dotato di un guanto magico capace di assorbire le anime dei mostri sconfitti, ed utilizzarle, in seguito, tramite degli appositi specchi (che fungono anche da savepoint) per potenziare le armi di cui si farà forza durante tutta l’avventura. Queste armi altri non saranno che dei globi, che una volta ottenuti si trasformeranno in spade magiche infuse con il potere degli elementi, con la quale sarà possibile effettuare diverse tipologie di combo, colpi di grazia e potenti incantesimi. Questi avranno anche una funzione secondaria, ma non meno importante: tramite i potenziamenti, queste sfere ci consentiranno di aprire alcune porte sigillate da uno o più bulbi colorati (simili a delle meduse), consentendoci di accedere ad aree precedentemente precluse, molte delle quali nascondono power up ed oggetti nascosti. Non a caso il backtracking e la risoluzione di enigmi piuttosto complessi, giocano un ruolo fondamentale durante lo svilupparsi della trama, e considerando anche la costante frequenza di combattimenti più o meno impegnativi, e la presenza di alcuni minigiochi e costumi sbloccabili, c’è da dire che in questo titolo non ci si annoia quasi mai. I programmatori di Capcom hanno ben pensato di rendere il tutto vario e molto piacevole da giocare, fatta forse eccezione per il sistema di controllo, di cui parleremo qui di seguito.
“Redfield mangiati il fegato”
L’eccessivo ritardo nello sviluppo di questo titolo, ha purtroppo gravato sulle meccaniche di gioco e sulle scelte grafiche. Partendo dal sistema di controllo, si nota subito che il gameplay, altri non è che un semplice adattamento di quello già visto in Resident Evil e Dino Crisis; tant’è che per muovere il nostro giocatore, non potremo usufruire della levetta analogica, ma dovremo fare il tutto con il semplice (e parecchio datato) uso della sola croce direzionale. Chi è abituato a masticare in maniera massiccia giochi come i precedentemente citati, non avrà certamente problemi a prendere confidenza con i controlli, ma gli altri dovranno sicuramente metterci un po’ di tempo per riprendere la mano con un sistema così antiquato.
Anche la grafica risente in maniera piuttosto dura del tempo: i filmati del gioco sono quasi sbalorditivi, ma tutto il gioco si muove con telecamera fissa e fondali prerenderizzati, che seppur di ottima fattura, risultano essere una scelta estetica che lascia un tantino a desiderare, soprattutto gli amanti delle grafiche “pompate”. Nonostante tutto, ogni livello è ben congeniato e strutturato in maniera tale da non lasciare spazio alla monotonia, anche se ogni tanto ci si può trovare a combattere con qualche angolo morto, proprio a causa della telecamera fissa.
Il comparto sonoro è sicuramente degno di nota: soprattutto gli effetti dei colpi e delle magie sono davvero ben inseriti e le musiche di gioco e d’ambiente non stonano una virgola (considerata l’epoca), regalando la giusta atmosfera in ogni momento di gioco. La longevità è l’unico aspetto che si sofferma più o meno nello standard del genere, circa 6 ore, a patto che non ci si metta a cercare ogni segreto per ottenere il 100% o ci si trastulli troppo con i minigiochi.
La via del Samurai
Il divertimento ed il coinvolgimento che si provano giocando ad Onimusha, sono davvero di alto livello, la sola cosa che potrebbe far storcere il naso è la realizzazione tecnica, purtroppo cagionata dall’età del progetto iniziale.
Non ci troviamo certo di fronte ad un capolavoro da olimpo dei videogames, ma al giorno d’oggi è ormai considerato un classico dell’epoca Playstation 2 e perderselo sarebbe davvero un peccato.