Obscuritas – Recensione
Nel 1974 usciva The Texas Chain Saw Massacre, un film horror diretto da Tobe Hooper il cui titolo in Italia venne trasformato in Non aprite quella porta. Il consiglio e monito del titolo italiano vale pienamente per Sarah, la protagonista di Obscuritas, di fronte all’imponente cancellata della grande villa ereditata dal prozio Arthur. Perfino gli sviluppatori Vis Games cercano fin da subito di convincerci a non aprire l’ingresso mettendoci nella condizione di dover scandagliare il giardino circostante per trovare una chiave. Questo tipo di ricerche, insieme al costante backtracking, non saranno un caso isolato diventando il leitmotiv di tutta l’esperienza di gioco.
L’incipit del titolo distribuito da Ravenscourt in formato fisico e digitale tramite Steam al prezzo di 19,99€ è poco originale ma comunque interessante. Un’inaspettata eredità ha condotto la protagonista Sarah a prendere possesso dell’imponente e vasta villa del prozio Arthur. La giovane non immagina che il suo avo stesse compiendo degli studi sul mistero celato tra quelle mura, rimasto irrisolto per la sopraggiunta morte di quest’ultimo. Ipotizzando l’imminente fine, Arthur ci ha lasciato tutta una serie di lettere ed enigmi per spingere la ragazza all’interno di un mondo parallelo, fatto di oscurità e fenomeni paranormali, con lo scopo di cercare una risposta alle domande a cui lui stesso non aveva saputo dare responso.
Un mistero, una grande villa e numerosi enigmi: tutti elementi che preannunciano un titolo interessante. E invece no. I ragazzi di Vis Games, già avvezzi al genere grazie a un titolo dalle ambientazioni simili come Pineview Drive, lasceranno il giocatore di sasso per via di diverse mancanze quali la quasi sparizione completa di un background narrativo e l’introduzione di ostacoli forzatamente ostici e frustranti più che spaventosi.
Un oscuro scrutare
Tralasciando la monotona ricerca di chiavi, in Obscuritas saranno presenti diversi rimandi narrativi e potremo risolvere alcuni puzzle impegnativi e non banali. Ma, purtroppo, i limiti del gameplay si evidenziano fin da subito con l’interazione limitata a qualche elemento per la risoluzione degli enigmi e di pochissimi altri oggetti consumabili. Non stupisce quindi l’assenza di un classico menù, tipico del genere, che avremmo apprezzato soprattutto per rileggere i pochi documenti ritrovati. Come suggerisce il titolo l’oscurità sarà una componente preponderante, evitabile solamente accendendo i vari interruttori, risvegliando candele con i fiammiferi e utilizzando la torcia, il cui consumo di batterie è un qualcosa di mai visto prima (una carica completa se utilizzata continuativamente dura pochi minuti).
E poi arriva la componente relativa ai jump scare avvertibile soprattutto nelle fasi di backtracking in cui dovremo fare spola tra diverse stanze per la risoluzione di alcuni enigmi. Il sistema fear recognition mechanic che dovrebbe monitorare le reazioni del giocatore di fronte alle varie situazioni tracciando un profilo delle sue paure semplicemente non esiste. Nonostante l’approccio diverso rispetto alle varie tipologie di jump scare (bambole inquietanti, ragnatele, suoni improvvisi, palloncini che esplodono, apparizioni spettrali ecc.) non abbiamo notato cambiamenti particolari in quest’ultime e, anzi, la ricorrenza molto simile tra loro ha ridotto notevolmente le fasi di paura.
La villa delle delusioni
Anche la pochezza e la diversificazione degli oggetti scenici non contribuiscono, assieme a una grafica abbastanza indietro coi tempi e spigolosa, a rendere più immersiva l’atmosfera orrorifica che ci si aspetta da un titolo come Obscuritas. Nel comparto grafico si salva la buona resa scenica data dal contrasto tra luci e ombre che risulta la più curata del titolo, in netta opposizione con gli ambienti di gioco molto squadrati e ripetuti.
Tra le poche note positive di Obscuritas, sviluppato in tre capitoli suddivisi in dieci sottocapitoli ciascuno, troviamo la longevità leggermente sopra la media rispetto a titoli analoghi. Anche in questo caso però non possiamo promuovere del tutto il lavoro di Vis Games per via di un gameplay che costringe il giocatore a ritornare forzatamente sui suoi passi rischiando la precoce morte. In questi casi non viene in nostro soccorso nemmeno il sistema di salvataggio poco efficiente e limitato ai checkpoint tra un sottocapitolo e l’altro.
A livello sonoro siamo più o meno sullo stesso livello dei precedenti comparti, vista la mancanza quasi totale di una colonna sonora e la presenza di pochi e ripetitivi suoni ambientali. Non fraintendiamo però, in un gioco survival horror i silenzi sono importanti ma, in questo caso, finiscono per favorire la monotonia di certe fasi di gioco. Il doppiaggio in inglese, limitato ai commenti di Sarah e alla voce del prozio Arthur, è di discreto livello ed è corredato dai sottotitoli in italiano la cui traduzione, fortunatamente, è stata realizzata in modo ottimale.