Nightingale RECENSIONE | Come (non) ti crafto il survival
Probabilmente hai letto queste parole già altrove, in mie recensioni non troppo recenti, ma i survival non hanno mai veramente fatto per me: la ragione è sicuramente da trovarsi nella loro innata ripetitività, tossica cementificazione che solo ora e di recente (e solo recentemente con qualche evidente successo di pubblico) vedo lentamente rinnegare e cercare di distruggere.
Di nuovo, come tante altre volte in passato e come forse per ogni titolo che io abbia recensito su questa digitale carta, è la curiosità per il diverso a spingermi verso alcuni elementi videoludici, e Nightingale entra di diritto in questa lista: sin dai primi trailer (no, non ho mai provato l’Early Access) c’era qualcosa che sembrava fare appello ad una parte del mio genoma ludico, qualcosa al quale non sentivo di aver ancora dato un nome, dei sintomi… o una cura.
Qualche dovuto dato essenziale: Nightingale è un survival, per ora presente solo su PC, creato e pubblicato da Inflexion Games, team di dev con base a Edmonton, Canada, qui al loro primo lavoro. Il titolo è stato in Early Access per diversi mesi, arrivando in veste ufficiale e con una vera release solamente a Febbraio di quest’anno. Come detto poco sopra, non ho approcciato l’Early Access, consapevole della natura ancora molto embrionale di quello step, e desideroso di un’esperienza che, a detta del team, fosse la più completa possibile. Partiamo con la recensione, che dici?
Nightingale RECENSIONE | Il tentativo di allontanarsi, ma dimenticandosi del peso delle catene autoimposte
Molto del nostro giudizio, che lo si voglia o meno, è dettato da quello che i nostri occhi vedono, prima ancora dello strato intellettivo o emotivo che ci dipingiamo inevitabilmente sopra, e Nightingale, te lo confesso, mi restituiva dai trailer proprio l’idea di un mondo di gioco visivamente accattivante: non perché estremamente originale, dato che si parla nuovamente di un Inghilterra Vittoriana Alternativa (qualcuno mi spiega di nuovo perché non hanno mai fatto un sequel di The Order 1886, please?), ma comunque sembrava volersi – e sapersi – consapevolmente dissociare abbastanza dalle sue ispirazioni per offrire un interessante take su quanto già fatto da altri.
Lineamenti Dishonored-iani a parte, il contesto narrativo di Nightingale è un po’ caotico, almeno nella sua esposizione, ed è qui il primo conflitto interiore nel mio io giocatore, designer e recensore: quanto posso punire un team di sviluppo che ha chiaramente fatto un lavorone in fatto di lore e storytelling ma che poi, all’atto pratico e a “mouse in movimento” è incapace di trasmettermi qualcosa di definito e, più causticamente, comprensibile? Sì, devo confessarti che non ho capito moltissimo del filmato iniziale del gioco, presupposta introduzione narrativa a ciò che andremo a giocare ma che onestamente mi ha lasciato più confuso che ingaggiato.
Nightingale sembra davvero più in grado di raccontarmi, male, il feel di gioco, che l’effettivo storico – e presente – delle vicende.
Ok, mi dico, ne capirò di più giocando. Spoiler: la cosa non migliora. La narrazione però non detta automaticamente la morte o la sopravvivenza – pun intended – di un survival, dato che davvero pochissimi esempi di recenti o passati survival sembrano essere ricordati per la storia che raccontano, ma più per le storie che ti permettono di vivere al suo interno, quello che in gergo si chiama emergent storytelling, ossia ciò che capita quando l’insieme di sistemi di gioco, incastrati con il tuo imprevedibile e tecnicamente irripetibile input, almeno con le stesse situazioni in campo, genera “la tua storia”, quella che poi racconti in chat alle tue amiche o amici.
[Ci dedico un trafiletto qui: mentre scrivo questo paragrafo, in post rispetto al resto della rece, sono arrivato a circa 15-20 ore di gioco e la trama continua ancora a sembrare fumosa al punto da avermi fatto dimenticare che ce ne sia davvero una, nel sottosuolo; ripeto, che la narrazione sia efficace ed emotivamente trascinante non è assolutamente un prerequisito del genere o, in generale, una pretesa che si può fare a qualsiasi gioco esistente, ma il potenziale narrativo di Nightingale, anche ma non solo a livello di lore, dai primi trailer, era molto forte, e vedere uno sforzo così minimo a volerlo “far arrivare” a chi gioca è disarmante, se non deludente.]
Dai, provo a fare me stesso in-game
Il primo aspetto che ho allora deciso di sottolineare, nel mio approccio a Nightingale, è quindi una componente del genere che sì, questa volta, un po’ ne dipende: la personalizzazione del personaggio. No, non sto parlando di un’importanza paragonabile a quella della creazione del protagonista di un Dragon’s Dogma, ma la nostro presenza fisica nel mondo di gioco offerto dal survival è indubbiamente qualcosa di basilarmente ineccepibile dal genere.
In questo Nightingale non delude troppo, portando a schermo una buona varietà di volti, ciuffi e colori, e l’unica piccola critica che posso muovere al gioco è che, nuovamente (e me lo sentirai dire molte altre volte, temo), nella sua volontà di allontanarsi – in questo contesto, esteticamente – dal resto del mercato finisce per abbracciare uno stile estetico ai limiti del grottesco, un po’ quello di Dishonored appunto ma potenzialmente reso – involontariamente – ancora più caricaturale.
Personaggio creato, creiamo il server, e si parte con il tutorial. Da qui tutto liscio, no?
Linearità mia, fatti capanna
Il peso di ogni nuovo esponente di un genere è doverci rispiegare per la dodicimilionesima volta ogni meccanica e movimento, e in questo Nightingale segue il tracciato, portandoci lentamente attraverso i 3 biomi che costituiranno la quasi totalità della nostra avventura, con le prevedibili aggiunte di modificatori e cambi di parametro. Sì, se conosci un minimo l’aspetto forse più evidentemente unico di Nightingale sai che è proprio nella variabilità degli ambienti che offre il cuore della sua unicità, ma ho bisogno di spiegare meglio come si arriva a quel punto e cosa succede una volta lì.
Durante il tutorial, della durata effettiva di circa 20 minuti, veniamo infatti introdotte/i all’utilizzo delle Realm Cards, tarocchi che potremo usare, magari combinandoli, su specifici macchinari, essenziali per l’apertura di un portale alla “prossima” zona. Se una tipologia di queste Card ci permette infatti di scegliere il bioma da generare una volta attraversato il portale, esistono altre 2 tipologie di carte, atte invece ad inserire dei modificatori proprio sul bioma scelto (genericamente questi cambiano il livello di pericolosità dell’ambiente stesso, generando magari nemici diversi di livello in livello) o sugli altri aspetti del gameplay che Nightingale offre (materiali di crafting più facili da trovare, armi più durature ma meno potenti, etc).
Si, è un sistema che promette un altissimo livello di varietà e variabilità di ciò che si affronta, ma questo, come già avrò ripetuto in altre mie recensioni, deve sempre lavorare in sinergia con gli altri comparti di gioco, da quello artistico, che deve produrre asset piacevoli alla vista e capaci di dipingere un’esplicita alta qualità estetica del titolo, al game design stesso, protagonista della creazione di un loop di gioco piacevole e, se possibile, raramente tedioso.
Two craft is megl’ che one
Se infatti la varietà dei biomi c’è e “si sente”, forzata dalla possibilità di combinare in modi diversi le varie tipologie di carte e dall’esistenza di un’effettivo – ma non troppo efficace – sistema di crafting di Carte Minori, gli ambienti nei quali ci muoveremo lasciano molto a desiderare, proprio in fatto di qualità degli asset e di “godimento” del loop di gioco. Su quest’ultimo aspetto, più facile introduzione ai primi grandi difetti di gioco, ho un’affermazione strana da farti leggere, lo ammetto: Nightingale sembra ossessionato dall’esistenza delle sue meccaniche di crafting.
Sono perfettamente consapevole che il crafting è la principale chiave di volta di un esponente del genere survival, ma sta al ruolo del/della system designer saper mascherare la ripetitività, e Nightingale, suo malgrado, non ci riesce, fallendo perfino nel nasconderla per le poche ore che solitamente servono perché chi gioca rimanga intrappolato dal loop e se ne stanchi solo dopo decine di ore, se non centinaia. Il grind del titolo si sente da subito, chiara colpa di un loop di gioco troppo tedioso e di una palese mancanza di sforzo nel voler fuggire da quello che è, a tutti gli effetti, l’aspetto che più un survival dovrebbe essere in grado di “vendere”, data la sua centralità nell’esperienza di gioco.
La UI del menu di crafting è fra le più caotiche che io abbia visto di recente, e prende la strana decisione di dividere la componente di costruzione (di accampamenti, tende, ripari) completamente staccato – ma, attenzione, solo a livello di menu – dal crafting vero e proprio. Caos. Insensato caos, visivo e strutturale. Qualcosa di salvabile c’è: la meccanica di crafting di alcuni oggetti richiede una precisa essenza, ottenibile demolendo materiali di gioco. La proporzione di essenza sembra molto generosa, ma non posso non vedere altro potenziale sprecato, in un’idea di design dal minimo sforzo produttivo che nasce e muore in un menu.
La UI, credimi, è davvero molto piena, e anche in questo ambito capisco che non si può troppo scappare da quello che si è sempre fatto (realtà che di per sé, te lo confesso, non approvo) ma, almeno nel contesto di questo genere, che vede mensilmente e annualmente un livello elevatissimo di iterazioni, mi aspettere una rottura di quelle convenzioni. Va insomma tutto un po’ rivisto, soprattutto a livello di UX. Vi prego, qualcuno ci si metta e porti un briciolo di freschezza ad un loop che ha fatto dell’essere stantio un tratto caratteriale primario.
Un esempio stupido? L’interazione con i materiali di crafting stessi. Se l’unico modo che ho per interagire con un albero è con un’ascia, perchè questa iterazione non è automatica, nel momento in cui ho un’ascia con me? Perché devo essere costretto a switchare, il più delle volte con pressioni ripetute di un tasto, all’ascia, per poi doverla forse riporre fra un minuto o due? Solo perché le nostre azioni in gioco sono tediose non significa che debbano esserlo anche le nostre modalità di input.
È incredibilmente insensata anche la suddivisione in due mani di strumenti e oggetti: non è infatti possibile mettere semplicemente via un oggetto, ma bisogna muoversi, con la solita pressione forse ripetuta di tasti, su uno spazio equip vuoto. Non ne hai? Beh, problemi tuoi, ti toccherà guardare la protagonista tenere un sacchetto di bacche sulla mano sinistra mentre combatti con la mano destra, tutto solo perché non hai spazi vuoti nell’inventario e hai già la salute piena. Nice, isn’t it?
Aspe… dove sono?
Lasciamo poi da parte il fatto che il senso di esplorazione dei biomi è praticamente inesistente, e non viene premiato in alcun modo, o che non si capisce mai a pieno quanto davvero di diverso abbia da offrirti, ad esempio, un bioma Foresta rispetto ad uno Palude, a parte l’ovvietà contenutistica e le differenze estetiche. Tutto è una maschera, in Nightingale, ma una che si prende gioco di chi la indossa ancora prima di chi ne testimonia, di fronte, il fallimento.
Chiaro, la Foresta è perfetta per recuperare materiali di crafting come fibre e legna, mentre il Deserto si presenta molto più generoso di pietre, e la Palude è sempre piuttosto piena di vita, in un modo che involontariamente fa sfigurare ed annoiare le run di Foresta e Deserto, sotto questo contesto. Aumentandone la difficoltà troveremo materiali sempre più rari, certo, ma gli effetti negativi, soprattutto dei biomi stessi, sono al limite dell’impercebile, data la facilità che si ha nell’aggirarli.
Gli environemnt sono vagamente suggestivi ma non sembrano poter o voler offrire molto d’altro, se non una scusa poligonale per raccogliere materiali e craftare ad libitum, facendo nuovamente pulsare di dolore la cicatrice della noia intepretata dal loop di gioco. Specialmente alcune sezioni, vuoi per la natura procedurale, vuoi per la scarsa cura nel costruirne gli elementi strutturali, c’è una palese e visibile differenza di qualità degli asset, fra i dettagli di un personaggio e, ad esempio, le texture sulla natura, uscite da un gioco molto peggiore, molto più vecchio e molto meno meritevole.
Beh, ma qualche sana mazzata la si potrà dare, no?
Non puoi dire “survival” senza dire “fauna”, e ovviamente Nightingale la include, ma ecco un altro ostacolo al godimento di chi gioca: il combattimento è impacciato quanto me su un segway. A chi si lamenta del combat visto nell’ultimo trailer di Avowed voglio davvero consigliare di farsi un giro su Nightingale, e poi rivalutare le sue priorità ludiche. Le armi da fuoco non restituiscono mai un’effettivo senso di diversità fra loro, e le armi corpo a corpo semplicemente non sono piacevoli da usare, in un continuo sventolare di mazze che non evade mai dalla prigione del profondo imbararazzo e rimane invischiato in una legnosità che è troppo ancorata a combat system di 2 generazioni fa (o di Starfield, se posso essere cattivo).
Nel ripensarci, nello scrivere queste parole, mi si è creata una specifica immagine, in testa: quella di Hitman, quando per sbaglio ti scoprono e inizia il combattimento, magari corpo a corpo. Per come il combattimento è strutturato, non vedo davvero giustificazioni o contestualizzazioni a quanto poco divertente sia, rendendo tedioso un altro elemento che dovrebbe essere di centrale godimento in un survival game.
I pochi boss che ho potuto affrontare sono l’ennesima riprova di un gioco che non ce la fa: non c’è tecnica, nell’affrontarli, devi solo avere il numeri più alto del suo: è tutto un continuo gear check insensato e difficile da godersi. Sono in zona endgame, e magari lì qualcosa cambierà (aggiornerò eventualmente questa sezione nel caso mi dovessi ricredere), ma non posso con serenità affermare che una maggior varietà di boss nell’endgame potrebbe di molto farmi cambiare idea sulla qualità complessiva di una struttura di gioco che, brutalmente, non sa intrattenere.
Limiti (anche) tecnici
C’è un’ultima ciliegina da citare, e sono le performance: inizialmente ero sorpreso che il gioco girasse bene sul mio pc, ormai con 6 anni alle spalle, con una 1070 che fa fatica. Ai primi cali di framerate infatti non ho avuto il coraggio di storcere il naso, decidendo di spostarmi nel laptop da gaming, motlo più aggressivo nelle specifiche. A sorpresa, però, il framerate ballerino era ancora lì, ed era ancora lì in momenti nei quali non aveva senso ci fosse, magari a schermo vuoto di nemici e lontano da eventuali particellari o VFX “ciucciaprestazioni”. La delusione è solo aumentata nel mio voler provare ad utilizzare un controller, supportato parzialmente e, di nuovo, in modo pigro e mal realizzato.
In un periodo in cui sembrano uscire giochi splendidi, è davvero dura per me demolire un titolo che sembrava promettere molto. La tediosità del loop di gioco, la natura gear check-iosa dei boss, il poco spessore di design dei biomi, e l’insensato inutilizzo delle sue caratteristiche più peculiari (le Realm Cards) fanno però di Nightingale un gioco che non ce la fa: non ce la fa a divertire, non ce la fa a costruire un comparto narrativo comprensibile, non ce la fa a strapparsi di dosso il peso di un genere dal quale sembra essere in grado di scappare solo esteticamente. Nightingale è insomma involontariamente molto più paragonabile a quelle carte che, di per sé, non ha saputo gestire bene: non una mano memorabile, di sicuro, ma solo il retrogusto amaro di quello che, forse, sarebbe potuto andare diversamente.
La violenza delle promesse infrante
Pro
- Il contesto narrativo ha del potenziale e si vede
Contro
- Noia, noia, noia ovunque
- Il sistema delle Realm Cards è sfruttato davvero male
- Il combat è imbarazzante