NBA 2K20 – Recensione
Le prime raffiche di vento che si scagliano con forza sugli alberi e vanno a stridere sulle finestre delle case ci ricordano che, inevitabilmente, l’estate è ormai da archiviare. Purtroppo (o per fortuna) è tempo di lasciarsi alle spalle il sole, il mare (o la montagna) e il relax in generale, con una sola missione: riprendere la vita di tutti i giorni. Settembre, lo sappiamo, è un mese particolare, che per molti può risultare traumatico, ma per altri una liberazione.
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Per tutti gli appassionati videoludici, questo settembre significherà soltanto una cosa: tantissimi titoli a cui giocare. Tra le roboanti uscite del mese, non poteva mancare NBA 2K20, nuovo capitolo della ventennale saga cestistica targata Visual Concepts e 2K, arrivata sul mercato, in verità, ricca di scetticismo, a causa delle ormai immancabili e poco condivisibili scelte legate alle fastidiose microtransizioni.
La qualità complessiva del prodotto, però, non è assolutamente in discussione che, anzi, anche quest’anno si erge come punto di riferimento per i titoli sportivi, con una veste tutto sommato conservativa ma che riesce comunque a migliorare (laddove fosse possibile) ulteriormente un quadro complessivo già di per sé di altissimo livello.
La nascita di un campione
Come da tradizione negli ultimi anni, una delle modalità più attese è sicuramente quella dedicata alla carriera. La “My Career” di quest’anno ha suscitato grande interesse, sin dalle primissime battute, con Visual Concepts e 2K che avevano annunciato un cambio di rotta pesante e respirabile a pieni polmoni sia nel taglio sia nella gestione generale. La trama che muove la suddetta modalità assume in questa edizione connotati nettamente differenti rispetto al passato, a cominciare dal protagonista, che non è più il tipo arrogante e saccente visto negli scorsi capitoli, ma si presenta come un ragazzo umile e altruista, oltre che dal carattere plasmabile dalle nostre scelte.
Proprio le scelte, non una novità ma sicuramente più incisive rispetto al passato, risultano molto importanti: potremo decidere come reagire a un torto arrecato a un nostro amico, se dedicarci maggiormente al basket o alla costruzione della notorietà, e così via. La storia del protagonista messa sulla scena per NBA 2K20 è caratterizzata da toni più dark rispetto al passato, essendo direttamente legata all’incidente che coinvolge il protagonista. L’infausta vicenda influenzerà sensibilmente la vita del nostro alter-ego, la cui bravura in campo verrà quasi messa in secondo piano in favore della sua storia, che risulta per le varie squadre più attraente del suo gioco.
La trama della My Carrer è stata supervisionata da LeBron James e Maverick Carter, titolari della Springhill Entertainment (quelli che, per capirci, stanno lavorando a Space Jam 2). Il buon vecchio Maverick è presente poi come personaggio all’interno della storia ed è proprio lui che ci invita caldamente a dare più spazio a pubblicità, film e simili a discapito della pallacanestro, a mettere insomma in primo piano i guadagni derivanti dalla notorietà rispetto allo sport.
Un’altra importante novità apportata alla “My Career” in questo NBA 2K20, è legata alla creazione del personaggio. Dopo la ormai canonica scansione facciale il gioco, anziché farci scegliere un archetipo preimpostato, ci mette davanti a una serie di grafici con tanto di colori che indicano i vari parametri: ad esempio, il rettangolo verde indica la bravura con il tiro da dentro l’area, quello blu il tiro da fuori, quello rosso la difesa, e così via. In base alle decisioni prese in questo frangente, il giocatore assumerà connotati differenti. Inoltre, già in fase di creazione è possibile avere un’anteprima di quello che sarà il giocatore una volta raggiunti livelli particolarmente alti, in modo da rendere la scelta più oculata. Questo gran numero di possibilità fornisce una varietà davvero degna di nota che si rispecchia, per ovvi motivi, anche sul gioco online: tanti giocatori diversi, stili diversi, gioco diverso.
Il neo, come di consueto, è rappresentato dalla progressione, strettamente legata ai Virtual Coins (VC), meccanica sempre più invasiva. Molto importante è anche la scelta di inserire diversi tipi di attività da svolgere per arrivare al fatidico draft. Il giocatore non è una superstar già in partenza e, per mettersi in luce, non dovrà solo giocare la partitella vista nelle passate edizioni, ma andare per gradi, a partire dagli allenamenti sui fondamentali. Sì, avete capito bene: in NBA 2K20 dovrete mostrare di sapercela fare anche coi movimenti più basilari come lo scatto, il salto, e così via. Alla fine, una volta terminato tutto questo, si verrà selezionati da una squadra che, nel nostro caso, è stata quella dei San Antonio Spurs, che avevamo inserito come preferenza. Una volta terminata la storia, si apre il gioco vero e proprio. In questa edizione, possiamo notare quanto il tutto non sia più legato in modo stretto al “Neighborhood”: le attività all’interno di esso non sono più obbligatorie e non si è più costretti ad andare in giro per il quartiere cercando di guadagnare VC, ma si può scegliere di concentrarsi esclusivamente sulla NBA.
Senza pensarci due volte, comunque, possiamo affermare che quella di quest’anno è la modalità carriera più bella di sempre, sia per la gestione sul piano ludico sia per il modo in cui la storia viene raccontata sia per il protagonista messo sulla scena, altruista, non più borioso e plasmabile dalle scelte del giocatore.
My Team, My GM, e tanto altro ancora
Tralasciando l’imponente restyling operato su quella che è ormai diventata la modalità principale di NBA 2K20, le altre modalità rimangono pressoché simili al passato. Sebbene siano state sensibilmente ritoccate sotto alcuni aspetti, in particolare, la “My Team” (l’equivalente del “Fifa Ultimate Team”, per intenderci), che è riuscita nel corso di questi anni ad affermarsi come una delle colonne portanti del cestistico targato 2K, che in questa edizione ha subito diverse migliorie sparse qua e là.
Già con un primo sguardo, subito ci si sente a casa, con le varie modalità canoniche ben visibili nel menù, anch’esso più snello e piacevole da vedere. Le microtransizioni, come sempre, si presentano abbastanza invasive, scelta che, comunque, appare abbastanza diffusa, quando si parla di modalità simili, anche nei titoli sportivi delle altre software house. Una delle novità più significative offerte da “My Team” è quella legata alle carte evoluzione, delle carte speciali che partono con dei parametri che, dopo il conseguimento di alcuni obiettivi, possono evolversi e diventare più forti, cambiando anche di “pietra preziosa”. Quest’anno, poi, gli allenatori hanno una maggiore influenza sui giocatori rispetto a quanto accadeva nelle passate edizioni, attribuendo dei veri e propri bonus ai giocatori più bravi col proprio stile di gioco.
Discorso differente, quest’anno rispetto agli anni scorsi, si ha anche per quanto concerne la modalità My GM: in NBA 2K19 era quasi un film interattivo, adesso invece non più. La forte enfasi sulla parte cinematografica è stata smussata, facendo emergere così con maggior prepotenza quella che è l’anima del GM: il basket giocato non prende più il sopravvento sulla parte dirigenziale, ma questa modalità porta ad approcciare il titolo quasi come fosse un Football Manager. Va da sé che la gestione di aspetti come gli allenamenti, i contratti e diritti divengono la vena pulsante della modalità e venga spontaneo lasciare le partite in mano ad allenatore e giocatori.
Altra novità riguarda l’introduzione dei Punti Azione: ogni settimana un giocatore ha a disposizione un certo numero di essi, da spendere in differenti attività (chiedere lo scambio, parlare con un membro dello staff, con i giocatori ecc.). Una volta azzerati bisognerà aspettare la settimana successiva, col rischio di smarrire obiettivi sulla strada. In NBA 2K20 sono stati introdotti dei veri e propri obiettivi dinamici, che possono anche essere chiesti dai giocatori e che vanno ad influenzare tutta la squadra: a noi, ad esempio, Dwight Howard ha chiesto di giocare almeno 24 minuti a partita e noi avevamo due settimane di tempo per soddisfare la sua richiesta. Una volta deciso di accontentarlo, ci siamo trovati di fronte al malumore della squadra che ci ha reputati troppo accondiscendenti nei confronti del giocatore.
Altra novità è legata all’introduzione dello skill tree, con tanto di abilità differenti e tutte a loro modo utili in vari aspetti del gioco. Si può sbloccare la possibilità di dialogare con lo staff, con i giocatori avversari, o di modificare i prezzi dei biglietti, solo per fare qualche esempio. A differenza degli altri anni sarà poi possibile selezionare all’inizio il livello di difficoltà, che andrà a influenzare la quantità di tempo a disposizione per affermarsi come leggende del basket (in modalità facile, ad esempio, si hanno a disposizione 15 anni per poter vincere, in modalità intermedia 10, e via dicendo). Una volta scaduto il termine sarà comunque possibile continuare a giocare ma non verranno più sbloccate abilità, facendo sì che la modalità si tramuti nella sola “La Mia Lega”, che consente di gestire semplicemente la squadra, con gli scambi e tutto il resto, ma senza la parte manageriale, per esempio, delle risposte multiple. Immancabile la presenza di modalità come il 2KU, utilissima per (ri)acquistare dimestichezza con il gameplay, la modalità Blacktop, le partite in locale e tutta la parte legata al multigiocatore. Un’aggiunta interessante presente in NBA 2K20 è rappresentata dall’introduzione (su licenza completa) di tutta la WNBA – il campionato a stelle e strisce femminile – la cui riproduzione digitale non ha nulla da invidiare alla controparte maschile. Anche online il titolo si comporta veramente bene, con un matchmaking che tendenzialmente riesce ad accoppiare bene i giocatori in base ad abilità e squadra.
I server in generale, anche all’interno del My Team, sono molto stabili e anche sulla modesta PlayStation 4 Slim non hanno mai mostrato il fianco a lag o incertezze di sorta.
Simulazione perfetta?
Il vero fiore all’occhiello della produzione targata 2K e Visual Concepts, comunque, è sempre il gameplay. Pad alla mano, infatti, NBA 2K20 non tradisce assolutamente le aspettative, affermandosi sin da subito come uno dei simulatori sportivi migliori di sempre, probabilmente il migliore. Le già ottime basi delle passate stagioni sono state ampliate, rivedute e puntellate, portando sullo schermo un tasso di appagamento ludico a tratti disarmante. Come vi avevamo già accennato in fase di anteprima. Il focus principale è stato attribuito a diversi fattori in particolare, come il tiro, la difesa e la gestione dei passaggi.
Questi ultimi in particolare appaiono ora nettamente meno soggetti a imprecisioni spesso fatali e immotivate, che nelle passate stagioni generavano un numero di palle perse disarmante, anche avendo in squadra giocatori più che affidabili sotto questo aspetto. Il passaggio è maggiormente legato alla direzione che il giocatore imprime alla palla al momento del tocco sul tasto apposito, e al tempismo nell’osservare il movimento del compagno. È sempre fondamentale, ovviamente, scegliere che tipo di passaggio effettuare, ma in generale ci è apparso molto meno complesso (e frustrante) del solito far arrivare la palla all’uomo giusto.
Decisamente più sostanziosa è la modifica fatta al sistema difensivo, sia sotto canestro che sul perimetro. Saltare l’uomo in velocità è ora nettamente più difficile, grazie anche all’intelligenza artificiale dei compagni di squadra, che si rendono protagonisti sempre più raramente di svarioni o imprecisioni varie. La scelta migliore, dunque, è quella di far girar palla affidandosi agli schemi, cosa che ovviamente influisce – e tanto – anche sul ritmo generale dell’azione, nettamente più lento e ragionato rispetto al passato. Liberare al tiro un compagno di squadra sarà dunque un vero e proprio piacere ludico, ma attenzione: la gestione del tiro in NBA 2K20 è ora più complessa, e dar vita a cross in area o sassate sul tabellone, anche avendo tra le mani (metaforicamente) un tiratore come Joe Harris, non è così difficile. Tirare bene, infatti, è maggiormente legato alla bravura del giocatore nel prendere il giusto ritmo e lasciar andare la sfera nel punto di rilascio migliore cosa che, manco a dirla, aumenta non poco sia la difficoltà generale sia, e soprattutto, la vena di realismo che da sempre pervade tutte l’opera.
Con l’avvicinarsi della nuova generazione, dunque, 2K e Visual Concepts hanno preferito andare più leggeri, giocando un po’ in difesa, puntellando nel modo giusto, a nostro parere, quei pochi elementi – legati al gameplay – ancora poco convincenti.
Uno spettacolo visivo
Lo stesso discorso vale, ovviamente, anche per il comparto grafico. Seppur impreziosito da una serie di animazioni tutte nuove nel palleggio, nei movimenti in post e più in generale nelle varie movenze, il comparto grafico di NBA 2K20 non assiste a rivoluzioni di sorta, mantenendosi comunque su standard qualitativi fuori scala per uno sportivo (e non soltanto). Su PlayStation 4 (non Pro) il gioco mostra già una qualità nel dettaglio di ogni singolo elemento, a partire dai giocatori (tutti) sino agli elementi di contorno, davvero encomiabile, il tutto con una resa cromatica molto più convincente rispetto agli anni scorsi. L’HDR dà poi il meglio su PlayStation 4 Pro, e rende ogni vena cromatica decisamente azzeccata, condendo il tutto con un frame rate solido, ancorato sui 60fps senza alcun tipo di indecisione di sorta, nemmeno online. Piacevole è anche la nuova interfaccia grafica dei menù, specialmente quelli sulla homepage, mentre c’è poco da recriminare per quanto concerne la colonna sonora. Quella che è la più ricca (numericamente parlando) raccolta di brani della storia, spazia come sempre magistralmente di genere in genere, rendendo ogni minuto passato nei menù di gioco adrenalinico e frenetico, tanto quanto il tempo passato in campo. Molto belli sono anche i suoni in generale, ora più realistici e coinvolgenti, mentre ci sentiamo di sventolare un bel fallo tecnico alla telecronaca, decisamente vetusta e che necessita assolutamente di una svecchiata generale sia nelle frasi pronunciate sia nel doppiaggio.
Seppur ancora una volta funestato dalla piaga delle microtransizioni, NBA 2K20 è un prodotto semplicemente imprescindibile per tutti gli amanti del basket e dello sport in generale. Tralasciando l’inarrivabile comparto audiovisivo della produzione, sempre al top, ci siamo trovati per mano un titolo sorretto da una profondità ludica a tratti disarmante capace, quest’anno più del solito, di ergersi come il re indiscusso dei simulatori sportivi. Le poche ma significative modifiche apportate a un gameplay già di per sé inattaccabile, le novità apportate alle modalità My Team e My GM e la nuova modalità My Career, sicuramente la migliore finora realizzata, rendono il titolo di 2K e Visual Concepts un acquisto praticamente obbligatorio, a patto, però, di chiudere un occhio sulle fastidiosissime microtransizioni, diventate ormai più invadenti del sopportabile. Se proprio dovessimo trovare un difetto, comunque, probabilmente sarebbe quello di aver osato tutto sommato poco, ma per quello c’è tempo e la next gen è dietro l’angolo.
Pro
- Simulazione cestistica allo stato puro
- Tante nuove animazioni che giovano su diversi aspetti del gioco
- Nuova attenzione riposta in meccaniche come il tiro e la difesa
- Graficamente incredibile
- Tantissime modalità di gioco...
Contro
- ... ma tutte rovinate dalle fastidiosissime micotransizioni
- Poche novità degne di nota
- Ancora qualche leggera sbavatura nell'intelligenza artificiale dei compagni di squadra