Monkey King: Hero is Back – Recensione
È un proverbio cinese a ricordarcelo: la massima conoscenza che possiamo avere è quella di conoscere i limiti della nostra ignoranza, e potrebbe apparentemente essere questo uno dei concetti alla base della creazione di Monkey King: Hero Is Back, originariamente film d’animazione del 2015 costato 19 milioni di $ e dall’assurdo incasso di 153 milioni di dollari, e ora videogioco, sviluppato da HEXADRIVE INC. e pubblicato da Oasis Games sotto l’egida di THQ Nordic.
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Tutto inizia con Sun Wukong, il Dio Scimmia, immortale e nel pieno dei suoi poteri ma, come ci insegna l’adagio, il potere assoluto corrompe in modo assoluto, e il grande santo va troppo oltre proprio nella sua ricerca di un potere sempre maggiore, tanto da suscitare l’ira dell’intero K’uen-luen.
Nessuno riesce a tenergli testa, e sono in molti a cadere per sua mano prima che il Buddha stesso lo fermi e, incapace di ucciderlo a causa della sua immortalità, lo condanni alla prigionia all’interno di un enorme blocco di pietra.
L’esilio forzato di Sun Wukong viene interrotto per caso dopo 500 anni, quando il giovanissimo aspirante monaco Liuer lo risveglia per sbaglio mentre è in fuga dai mostri che hanno attaccato il suo villaggio. Inconsapevole delle catene che gli cingono i polsi e gli limitano i poteri, regalo e punizione del Buddha per la sua insolenza, Sun Wukong si ritroverà a dover salvare il piccolo Liuer con il solo aiuto di pugni e calci, privato dei poteri che solo 500 anni fa dava così per scontato.
Il suo sarà un percorso di crescita, passo dopo passo verso un sé più umile e altruista, magari più propenso al disinteressato aiuto di chi, a differenza di lui, non ha il potere di difendersi.
Sì, la storia ha un che di familiare, e se ne individua presto il perché: l’origine della storia e di parte dei suoi protagonisti è infatti il 西遊記, letteralmente “Il racconto del viaggio in occidente”, intramontabile classico della letteratura cinese pubblicato nel 1590 circa e tendenzialmente attribuito alla mano dell’erudito Wú Chéng’ēn. Monkey King: Hero is Back prende proprio da questo testo (già fonte d’ispirazione, fra le altre cose, di Dragon Ball) l’idea di un vero e proprio percorso di purificazione per i vari personaggi, in particolare per Sun Wukong, che alla fine del viaggio arriva alla tanto ricercata illuminazione.
Il videogioco ripercorre per lo più le vicende del film, aggiungendo alcune scene e cambiando qualche avvenimento, ma lasciando quasi intoccato il canovaccio originale.
Questo purtroppo non aiuta particolarmente chi come noi affronta Monkey King: Hero is Back senza previe nozioni di ciò che avviene nella pellicola, e via assicuriamo che la storyline del gioco dà molto, davvero molto, per scontato, espressione di una natura più da strettissimo tie-in che da gioco a grandi linee ispirato al film d’animazione.
Se inizialmente seguire le vicende di Sun Wukong è piuttosto semplice e divertente, all’introduzione dei primi comprimari e, poi, dell’uber-villain, ci è scattata un’inaspettata alzata di spalle, complici un doppiaggio molto dispersivo (i mostri in particolare sono ridicoli) e l’opacità di una narrazione che fin troppo sorvola sulle spiegazioni: chiaramente non c’era da pretendere un intreccio di chissà quale spessore, ma raramente ci è capitato di sentirci così frustrati, e poi passivizzati, davanti a un gioco che ci (e si) racconta così poco e così male.
Con un world building migliore e una migliore definizione dei personaggi, sicuramente ci saremmo appassionati di più e più velocemente alle spericolate tribolazioni del Dio Scimmia.
Se la trama è la tavoletta di legno pronta al Tameshiwari, la mano che vi si rompe contro sono le meccaniche di gameplay: prendere in mano il controller e iniziare a dare pugni e calci è incredibilmente facile, nulla da dire a riguardo, ma il gioco sembra spingere molto (forse troppo) sul mini QTE che si attiva nel momento in cui riusciamo a colpire il nemico proprio nell’istante in cui sta per sferrarci il colpo.
L’idea dietro questa meccanica è di per sé carina, ma è applicata in modo pessimo, tanto che se inizialmente sembrava poter ovviare al ripetitivo eccesso di button mashing di cui Monkey King: Hero is Back soffre, finisce solo per restituire un finto senso di profondità agli scontri.
Se due i colpi standard di Sun Wukong, quello base e quello caricato, stancano piuttosto velocemente e lasciano davvero poca libertà alla fantasia delle concatenazioni, va fatto un plauso alle Magie: sono ben 13 e spaziano da incantesimi di difesa, a boost di velocità, fino a vere e proprie evocazioni di armi, che, oltre a essere visivamente spettacolari, hanno il valore aggiunto di interrompere in quasi tutti i casi gli attacchi nemici.
La Magia che vi ritroverete a usare di più sarà sicuramente “Occhio della Mente”, un potere che vi permette, fra le altre cose, di visualizzare per breve tempo la barra salute del nemico e i punti deboli da colpire per fargli più danno; da citare anche “Danza del Fenghuang” e “Calcio del Qilin“, che ci hanno salvato la pelle più di una volta.
Ennesimo esempio di uno spessore più scenografico che contenutistico, i tre “santoni”: ognuno di loro ha la funzione di aiutarci, magari potenziando il livello dei nostri parametri vitali (stamina, barra della magia e numero di colpi della combo) o l’efficacia delle nostre magie (difensive e offensive), oppure semplicemente rifornendoci di pozioni ed elisir curativi in cambio di parte dei materiali che abbiamo recuperato in giro per i livelli.
Tutto è però contemporaneamente caotico e incredibilmente su binari, poiché il numero e il tipo di materiali recuperabili in una data area sono limitati e predefiniti, ma senza la logica che ci si aspetterebbe nel loro ritrovamento o posizionamento.
Purtroppo dobbiamo continuare a usare toni tutt’altro che piacevoli per descrivere l’intelligenza artificiale di compagni d’avventura e nemici: mentre i primi non hanno la benché minima utilità, né in combattimento, né al di fuori, tanto da risultare il più delle volte solo una serie di rumori di fondo, i bruti che ci ostacoleranno il cammino sono l’equivalente digitale di un punchball, e sono resi agguerriti dalla loro barra salute e poco altro; la varietà dei nemici, inoltre, è piuttosto scarsa e ricade nella noia, con un reiterato loop di serie di modelli poligonali praticamente identici, ma di diversi colori.
È un brutale contraltare alla cura nel dettaglio utilizzata per raffigurare il protagonista, Sun Wukong, che evidentemente ha goduto del maggior investimento in fatto di tempo e risorse: ogni pelo del suo volto, ogni mezzo sorrisetto, sono chiaramente frutto del lavoro di molti, ma è una qualità che rischia costantemente di venir sommersa dalla democratica mediocrità del resto di Monkey King: Hero is Back.
Il level design non alza la media, con spazi e mappe apparentemente estesi ma che, durante l’esplorazione, sublimano tutta la loro vuotezza, senza considerare il fastidio dei continui caricamenti: è comprensibile attendere qualche secondo nel passaggio da un’area all’altra, ma 5/6 secondi di caricamento per entrare in un piccolissimo edificio sono davvero troppi, soprattutto se sono da affrontarsi costantemente per tutte le 15-20 ore di gioco. “Cattivo, Monkey King: Hero is Back… Cattivo.“
Infine, preparatevi a un finale che vi farà sentire al pieno dei vostri poteri per circa 1 minuto, prima dei titoli di coda.
Monkey King: Hero is Back è un titolo che è fin troppo costola della pellicola d’animazione omonima ma, a differenza di quest’ultima, non riesce a reggere ritmi narrativi, o una raison d’être più valida di “il film era carino”. Meccaniche di combattimento scialbe pur nella loro pressuposta centralità, una trama che singhiozza di avvenimento in avvenimento, un level design senza brio: sono queste le maggiori mancanze di un gioco che, ne siamo sicuri, aveva tutto il potenziale per piacere e divertire, almeno sulla carta. A salvare Monkey King: Hero is Back dal baratro della completa insufficienza, il character design del protagonista e le Magie, vero e unico fuoco d’artificio di una produzione che restituisce un profondo senso di svogliatezza, tanto da parte di chi l’ha creato, quanto in chi andrà a giocarlo. Affrontatelo senza le minime pretese, non ne rimarrete (troppo) delusi.
Pro
- È immediato da prendere in mano
- Le magie sono spettacolari da vedere
Contro
- Level e character design, tranne che per il protagonista, sono svogliati
- I combattimenti, magie escluse, sono tediosi e ripetitivi
- Ogni meccanica restituisce una sensazione di "finto spessore"
- Il doppiaggio è poco curato