MeiQ: Labyrinth of Death – Recensione
Ultimamente si sente molto parlare di Compile Heart e Idea Factory. Le due compagnie sono famose ormai nel mondo dei videogames per averci portato saghe del calibro di Hyperdimension Neptunia e Fairy Fencer F, ma anche per aver localizzato in inglese una moltitudine di titoli giapponesi che altrimenti non avrebbero mai visto la luce in occidente. Se però da un certo punto di vista è doveroso fare un grosso applauso per tale iniziativa, dall’altro le produzioni delle due case iniziano a diventare ridondanti riguardo il loro tema e target.
Da molti anni a questa parte infatti praticamente gli unici titoli da loro localizzati sono quelli che hanno protagoniste femminili molto formose e svestite, a prescindere dalla qualità stessa del gioco in questione. Non si dovrebbe quindi dare per scontata la bontà di certe produzioni solamente perché sono Compile Heart e Idea Factory a proporcele. E MeiQ: Labyrinth of Death ne è purtroppo la conferma.
Il pulsante Reset del mondo
La storia di MeiQ: Labyrinth of Death gira attorno a cinque maghette, chiamate Mage Machina, e alla loro missione. Centinaia di anni fa il mondo fu colpito da una sorte di “notte eterna” durante la quale la Terra iniziò a morire, lasciando apparire creature mostruose in tutto il globo e spegnendo il funzionamento di tutti i corpi celesti ad esso vicini. Leggenda vuole che una grande maga riuscì a terminare questo periodo buio “resettando” il mondo e riportandolo al suo stato di pace.
Quest’oggi tale periodo di terrore sembra in procinto di tornare, e le Mage Machina sono pronte a seguire le orme della maga leggendaria e attivare il rituale con il quale salvare tutti. Solo una maga ne sarà in grado, quella che giungerà per prima all’obiettivo: è così che le nostre protagoniste partiranno da rivali senza fare i conti però con le creature del male che tenteranno di metter loro i bastoni tra le ruote. Un’alleanza è quindi necessaria?
Inizialmente la trama sembra interessante, ma rimane un semplice background che non viene più sviluppato. La città dove ci troviamo, Machina City, dovrebbe pullulare di vita e di maghe decise a svolgere la missione, ma non incontreremo mai nessuno. Oltretutto non sarà presente praticamente alcun colpo di scena, e ogni singola cutscene sarà votata a futili dialoghi volti a mostrare la caratterizzazione vuota delle protagoniste che rientrano nei canonici cliché di tutti gli anime e videogames.
O attacco io o attacchi tu
Il gameplay di MeiQ: Labyrinth of Death si mostra come un dungeon crawler in prima persona, così come ce ne sono decine su Playstation Vita. Il motivo per cui questo genere sovraffolli questa console è ignoto, e sinceramente ci desta non poche curiosità. In ogni caso questo titolo presenta le stesse caratteristiche tipiche degli altri elementi del genere, con una mappa che verrà aggiornata con l’esplorazione di ogni piano dei dungeon, luoghi in cui ci troveremo per la maggior parte della nostra avventura.
All’incontro con un nemico casuale o con un boss partirà una battaglia a turni durante la quale avremo il controllo delle maghe accompagnate da un corrispettivo golem meccanico. I golem e i mostri sono le uniche creature visibili a schermo: le maghette non hanno un modello tridimensionale e si limiteranno ad essere rappresentate con un mero artwork. Ad ogni turno potremo effettuare un’azione o con una maga o con il suo golem: non potranno quindi agire entrambi i personaggi. Solitamente i golem possiedono abilità offensive mentre le maghe ci mettono a disposizione incantesimi di supporto, ad ognuna delle abilità è assegnato un elemento e la chiave del successo è sfruttare i punti deboli dei nemici incontrati, in maniera molto simile a quello che accade con Pokémon.
Altra similitudine tra i due giochi è il fatto che i golem sono in possesso di sole quattro abilità alla volta. Esse sono modificabili tramite l’equipaggiamento, mentre per quanto riguarda le maghette saranno i livelli di esperienza a determinare quante mosse saranno a disposizione.
Detto ciò, non c’è molto che rimane a MeiQ. Il tutto risulterà estremamente ripetitivo, lasciando annoiati già dopo la prima ora di gioco. La questione diventa ancora più grave nel momento in cui ci accorgeremo che sarà necessario un pesante backtracking per recuperare oggetti di storia. Questo ci riporterà anche tre o quattro volte negli stessi dungeon che già di base sono caratterizzati da un design molto superficiale, blando e ripetitivo.
Bocciatura tecnica
Dal lato tecnico forse l’unico lato positivo di tutta la produzione è la colonna sonora, che diventa comunque ripetitiva e poco ispirata dopo poche ore di gioco. Per tutto il resto ci troviamo di fronte a un vero e proprio disastro: i dungeon sono poco curati, i combattimenti sono lenti e con animazioni macchinose, le maghette sono rappresentate solo da artwork e prive di un modello poligonale, e ci sono spesso anche inspiegabili cali di framerate. Come se non bastasse il gioco è troppo semplice, al punto che basta spammare le stesse mosse continuamente per arrivare alla fine, e il backtracking rende il tutto ancora più noioso.
Su Playstation Vita ci sono moltissimi dungeon crawler in prima persona, se quindi siete interessati a giocarne uno vi consigliamo di cercarne uno come minimo sufficiente.
Pro
- Personalizzazione dei Golem
Contro
- Dungeon monotoni e poco ispirati
- Personaggi disegnati male e stereotipati
- Storia da dimenticare
- Backtracking fastidioso