Lost Words: Beyond the Page – Recensione
Lost Words: Beyond the Page è la storia… di due storie. Lost Words è il racconto di una fine…e di un nuovo inizio. Lost Words parla di qualcuno…parlando a tutti. Sono indizi sparsi, concetti molto astratti che farete fatica a collocare nelle concavità, della loro stessa forma, che questo titolo ha saputo scavare in chi scrive, ma ormai lo sapete, ogni videogioco è in un certo senso un viaggio, e una recensione non può che rispettare e rispecchiare questa sua natura, anche mentre lo pone sotto il microscopia della critica. Rimanendo su questi termini, Lost Words è un viaggio duplice, qualcosa che ora vi può lasciare neutri ma che il momento dopo vi tira un’inaspettata palla curva e vi regala una lacrima o, perchè no, un sorriso.
È questo il potere primitivo delle storie e questa la tradizione moderna dei videogiochi, e Lost Words ne attinge a pieno, ma, come sempre, partiamo dall’inizio.
Lost Words è il titolo di debutto di Sketchbook Games, un gruppo di game developer con un nome particolarmente noto, fra i 10… anzi, un cognome: Pratchett. Chiaramente non può essere Sir Terry, ma vi assicuriamo che, per così dire, si rimane in famiglia, perché stiamo parlando di Rhianna, la figlia del noto scrittore fantasy. Attiva come scrittrice per videogiochi già dal 2004, è la mente dietro alcune delle storie dei giochi degli ultimi anni, basti citare Mirror’s Edge, Heavenly Sword, Tomb Raider e il suo seguito Rise of the Tomb Raider; l’avrete notato dai titoli che abbiamo citato, Rhianna è in grado di scrivere protagoniste forti, costantemente in allontanamento dagli ormai vecchi e marciscenti rimasugli della cultura che vedeva nelle comprimarie solo delle “principesse da salvare” o, peggio ancora, degli oggetti volutamente creati per aizzare e attrarre la libido dei gamer.
In Lost Words la protagonista è nuovamente una ragazza, Isabelle, ma questa volta il nostro alter-ego è più giovane rispetto alle eroine dei titoli citati sopra, anche se rimane assolutamente indipendente e autosufficiente nel viaggio di formazione attraverso il quale la accompagneremo.
Isabelle è una ragazzina che, come molti di noi, ha un lato creativo che non vuole essere messo a tacere, fuoco che lei inizia a riversare in un diario, catalizzatore non solo della storia che vuole scrivere, ma anche del nostro modus ludendi nei suoi confronti. Ogni parola che lei riversa sul diario è per noi infatti una piattaforma che ci protegge dalla caduta libera di una pagina vuota; sì, piattaforma, perché Lost Words è prima di tutto un platform, identità che il titolo si cuce addosso nelle prime fasi di scrittura sul diario e del quale, volontariamente o meno, non si svestirà mai troppo.
Lost Words è un platform, certo, ma non è in quello che ci vuole portare la sfida, lo rende chiaro fin da subito con la rimozione della possibilità di “morire” in queste sezioni: cadendo nel vuoto, semplicemente ci ritroveremo all’inizio della prima frase scritta sulla pagina, al sicuro.
Dopo l’introduzione alla storia di Isabelle, che non riteniamo giusto spoilerarvi in alcun modo, veniamo introdotti all’altro lato della moneta, a livello di meccaniche di gioco: se le sezioni a diario aperto portano avanti il treno narrativo creando però, frase dopo frase, un senso di sfida praticamente trascurabile, Isabelle sarà presto catapultata in un mondo di fantasia da lei creato che amplificherà in parte le semplici interazioni iniziali.
Se le sezioni sul diario possono darvi alcune vibrazioni da Edith Finch o Unfinished Swan, la parte di gioco ambientata a Estoria, la terra creata appunto dalla fantasia della protagonista, prende ispirazioni da diversi altri titoli, qui con un albero che tanto ricorda quello di Ori and the Blind Forest, lì con una discesa fra le sabbie molto reminiscente di Journey.
I richiami sono voluti, senza troppi dubbi, ma è proprio questa scelta che, pur giustificata vista l’importanza dei titoli di riferimento, finisce per privare Lost Words di una SUA identità, almeno nelle sezioni all’interno di Estoria.
Diverso è il risultato delle sezioni di platforming più semplici che avvengono direttamente sulle pagine del diario, poiché, anche non offrendo troppa originalità nella meccanica di salto o interazioni particolarmente memorabili con le “parole-piattaforma“, mostra, nell’utilizzo degli acquerelli e dei disegni, il fianco di un sottobosco creativo, a livello Concept, che è difficile da ignorare: il modo in cui alcuni soggetti o colori riempiranno il diario e il vostro schermo è davvero piacevole per cuore e occhi, degno complemento di una musica che, pur non arrivando a definirsi memorabile, fa bene il suo lavoro, sostenendo il peso emotivo di ciò che il giocatore legge e affronta di volta in volta.
Come detto sopra, non vogliamo spoilerarvi troppo il canovaccio narrativo di Lost Words, però vi basti sapere che è la storia di un rapporto troncato dalla morte, quella “Fine” con la F maiuscola dalla quale molti di noi scappano, con i pensieri, con gli atteggiamenti o anche solo con la voglia di regalare a mondo e affetti un lascito di cui far tesoro.
Per la mente umana la parola “Fine” non è mai di facile comprensione e accettazione, vorremmo spesso che quella serata, quella vacanza, quel momento di felicità non finiscano mai, e la cosa si amplifica enormemente nella cassa di risonanza della Vita in generale, quando quella “Fine” indica un lutto, un addio al quale siamo obbligati ma che sembra sempre troppo in anticipo rispetto a quanto vorremmo, taglio netto dei rampicanti emotivi che ci legano alle persone che riempiono la nostra vita e che da recisi sembrano ritorcercisi contro, graffiandoci e non facendoci respirare.
C’è sempre una cosa in più che avremmo voluto dire, un qualcosa che con loro avremmo voluto fare, e ci sentiamo privati di questa possibilità.
Le fasi del lutto la nostra Isabelle non le vive tutte, anzi Lost Words si concentra di più su rabbia, depressione e accettazione, rispetto alle altre; non sarà un percorso facile, ma ci saremo noi ad accompagnare la protagonista, e non solo: alla fantomatica ricerca delle lucciole protettrici del nostro villaggio, ci ritroveremo a incontrare maestri zen scorbutici, mercanti dalle strane offerte, esseri vulcanici pieni di rabbia inespressa… e un drago.
Non vogliamo togliere merito alle avventure che Estoria ci regala, ma la percezione costante è stata che le parole sul diario, quei momenti di riflessione di Isabelle, quelle sezioni di platforming semplicissime, siano quelle più in grado di esprimere l’identità del gioco, a livello narrativo ed emotivo; è in queste sezioni, soprattutto in alcune loro fasi più intense, che ci siamo trovati a piangere leggendo le parole della ragazza, effetto solamente potenziato dal voiceover, di buona qualità anche se poco gli si rende giustizia quando, per ascoltare il prossimo pezzo di frase, dobbiamo saltarci fisicamente sopra con il nostro personaggio.
Le parole hanno il potere di smuoverci, nel loro significato e nel modo in cui le regaliamo al mondo e a chi ci può e vuole ascoltare.
Le parole hanno potere. È un concetto che a volte l’essere umano sembra volersi lasciare alle spalle, ma che recentemente sta trovando legittimità. “Dicono di più su un’epoca le parole che non si usano più che le parole che si abusano”.
Ci sono parole che evitiamo, con tutti noi stessi, e parole che usiamo troppo, ma non dobbiamo mai dimenticare il potere che hanno. Lost Words dà peso a questa realtà in un modo molto originale: all’interno di Estoria, Isabelle ha un libro che contiene alcune parole chiave e che esiste a tutti gli effetti come unico strumento di interazione del giocatore con il mondo; selezionando una parola potremo creare un tangibile effetto nel mondo, come sollevare una piattaforma, accendere una torcia o ricostruire un ponte distrutto. È una meccanica dal potenziale enorme, che però non viene mai espansa troppo, restituendo la sensazione che i game dev, per permettere a noi utenti di interagirci, si siano dimenticati di “giocarci” loro stessi, magari esplorandola più a fondo o lasciandola correre su binari meno restrittivi.
Perché in fondo non dobbiamo mai dimenticarci che anche alle cose più belle, prima o poi, bisogna mettere la parola… fine.
Non c’è molto altro che possiamo dire di Lost Words senza spingerci in territorio spoiler, però ci sentiamo in toto di consigliarvi il gioco. Il platforming è molto basilare, come lo è l’interazione con le parole che costituiscono l’armamentario di Isabelle mentre viaggia per Estoria, però Lost Words ha qualcosa da regalarvi, anche se quel qualcosa fosse solo una lacrima seguita da un sorriso. Se a livello narrativo non c’è nulla di completamente nuovo, Lost Words è sicuramente un primo timido tentativo di introdurre qualcosa di nuovo a livello di meccaniche. Vorremmo solamente il team di Sketchbook Games avesse rischiato un po’ di più. Lost Words è la perfetta dimostrazione di un adagio che ormai sta per diventare vecchio: se non ci sono davvero più storie nuove da raccontare, ormai il mondo non ha che da offrirci nuovi modi di raccontarle.
Pro
- L'introduzione di una meccanica nuova, in un contesto sempre al limite della saturazione, è davvero interessante
- Ci sono sezioni di particolare impatto emotivo
- La duplicità del gioco è inaspettata...
Contro
- ...ma non sviluppata al meglio
- Il platforming è incredibilmente basic
- Forse con la meccanica del "potere delle parole" si poteva rischiare un po' di più