Lost in Blue – Recensione Lost in Blue
Simuliamo assieme
Lasciando sempre più la scia che ha da sempre caratterizzato la produzione videoludica nella quale s’assistieva alla creazione di supereroi o mostri antropomorfi, stavolta ci troviamo ad analizzare una produzione Nintendo che mira alla simulazione totale della vita umana in condizioni catastrofiche: nulla a che vedere, insomma, con la famosa simulazione che avviene in The Sims, in cui attraversate una vita piuttosto normale tra carriera e creazione di una famiglia. Il risultato della produzione in questione, Lost in Blue, risulta accattivante leggendo l’idea, ma una volta preso il gioco tra le mani qualcosa non sembra andare come da aspettativa.
Il naufragar m’è dolce…
Keith era intento a trascorrere la sua piacevole vacanza su una nave da crociera, quando una tempesta ha dato vita ad uno spiacevolissimo naufragio facendo così disperdere tutti i passeggeri della nave. Il nostro alter ego si risveglierà su un’isola sperduta dopo qualche minuto di conversazione agonizzante tra le acque dell’oceano: con l’aspetto molto da ragazzo serio e che difficilmente prende aria salutare e naturale, Keith si troverà a dover combattere contro le sue esigenze di mangiare, bere, dormire e stare al caldo, come un vero milord che viaggia col suo maggiordomo accanto. Nel corso dell’avventura Keith deciderà, dopo aver messo a posto tutte le sue necessità, tra cui anche trovare un luogo comodo e accogliente dove riposarsi, com’è logico che sia in un’isola deserta e sperduta, di andare alla ricerca dei suoi compagni di viaggio, riuscendo così a trovare anche una compagna di avventure, Skye, che, una volta apparsa, migliorerà l’intera giocabilità del gioco.
Idea, come si diceva anche nell’introduzione al titolo, che risulta interessante e accattivante e che sicuramente lascia sperare in qualcosa di interessante.
… in quest’isola
Appena Keith deciderà di alzarsi e spostare la faccia dalla sabbia inizierà ad avanzare le sue richieste: si nota immediatamente come la gestione della fame, della sete e del riposo sia mal gestita. Keith avrà quasi sempre fame, o almeno troverà modo di lamentarsi di qualcosa ogni due minuti di gioco al massimo: i suoi bisogni cresceranno in maniera innaturale, e anche dopo un suntuoso banchetto rappresentato da circa una decina di noci di cocco, che andranno a ripristinare gli indicatori di sete e fame, Keith troverà modo di invocare altro cibo. Di rimando, per evitare che il tutto diventi alquanto impossibile e che comporti un Game Over piuttosto rapido, l’isola è disseminata di noci di cocco, che all’inizio rappresenteranno la cibaria più regale disponibile, e gli alberi sono così poco resistenti da farne cadere immediatamente una non appena quella precedentemente caduta verrà da voi raccolta. Verso la sera, quando l’umido scende, sarà facile trovare anche alcuni funghi, che però all’occorrenza potrebbero risultare velenosi, lanciando così un ulteriore problema sulla testa della vostra protesi digitale.
Soddisfatto per la prima volta il bisogno di mangiare, Keith vi farà capire la sua necessità di riposare da vero signore, e dovrete trovare una grotta nella quale sostare: qui nascerà il bisogno di accendere il fuoco, e quindi andare alla ricerca di oggetti più utili rispetto alle noci di cocco. In questo caso, dunque, possiamo dire che si inizia a far sentire davvero il fatto di avere un Nintendo DS in mano e uno stilo come pronto ausilio: per accendere il fuoco dovremo destreggiarci in un abile gioco di tasti dorsali accompagnati dal soffio nel microfono, e per cercare oggetti sull’isola dovremo usare lo stilo come una mano per scoprire la sabbia ed essere talmente fortunati da trovare qualcosa di commestibile. Purtroppo, fino a quando non farà la sua comparsa Skye, molti cibi che devono essere necessariamente cucinati, risulteranno inutilizzabili, ma non appena la ragazza, e quindi l’altra metà dell’isola, diventeranno disponibili, vi potrete lanciare in un’avventura decisamente più ispirata: tra la costruzione di un arco per la caccia agli animali, la mungitura delle mucche per la produzione di latte, e la pesca per una cucina sempre eccelsa da parte della compagine femminile, il videogame prende una piega davvero interessante, tenendo sempre conto però che la gestione dei fabbisogni si manterrà fino alla fine del gioco su livelli poco naturali e spesso frustanti. Se avete intenzione di camminare, quindi, per venti minuti di seguito, farete bene a portare provviste che a voi basterebbero per un mese intero, altrimenti il tanto bello quanto fastidioso "…sto morendo" di Keith, inizierà a farvi visita.
Persi nell’Oceano
Lost in Blue si presenta con una tecnica molto malandata, che mostrerà un’isola davvero priva di sostanza e interazione con l’ambiente: potrete toccare e muovere tutto, ma non si sentirà affatto se i vostri piedi passeranno su dell’erba o addirittura su una roccia, malamente dipinta sul terreno. Persino il vostro letto, tanto difficilmente costudito nella caverna, potrà essere calpestato e superato come un corpo illusorio presente sul terreno. I dettagli saranno pressapoco invisibili, compreso Keith che risulterà una sagoma vestita di rosso che procede su una landa colorata in tanti modi. Solo nei dialoghi e quando la soggettiva si sposterà in prima persona, notiamo uno stile, di livello molto anime giapponese, leggermente più curato: stessa cosa dicasi nell’atto della caccia o della mungitura, senza però esaltare assolutamente il livello grafico.
Per il sonoro, invece, nulla da commentare data la sua totale assenza a grande linee: il rumore dei passi di Keith è irrilevante così come i suoi lamenti, che non saranno comprensibili se non leggendo su schermo di cosa ha bisogno. Insomma, tecnicamente Lost in Blue fallisce in pieno il tentativo di eccellere. Per quanto riguarda poi la longevità, si attesta che il gioco diventa frustante, come si diceva anche in precedenza, e senza troppa difficoltà sfocia nel noioso del dover sempre interrompere ogni minima azione per soddisfare le continue richieste dei protagonisti.
Fatemi tornare a casa
Non è facile consigliare una produzione del genere, sinceramente. Lost in Blue eccelle solo nell’idea di base, già ampiamente detto, che però non viene affatto sviluppata, e per chi si ferma ad osservare il prodotto finito, il gioco risulterà davvero molto scialbo e privo di qualsiasi sviluppo. Aggiungendo poi che il tutto si vuole ergere a simulazione ma che con la realtà ha ben poco da dividere la cosa diventa ancora più tragica di un naufragio: il fatto che Keith alle sei del pomeriggio si lamenti del fatto che il sole sia calato e che stia iniziando a fare freddo non si presuppone che sia realtà nemmeno dei paesi artici, tantomeno dell’isola tropicale sulla quale è naufragato il nostro alter ego. Cercando di concentrarsi, probabilmente, sull’ottima implementazione col pennino del DS, gli sviluppatori hanno sicuramente dimenticato di rendere onore al genere del gioco, creando un qualcosa che non va, purtroppo, elogiato. Acquisto consigliato a chi ha voglia di far sopravvivere uno sciagurato ragazzo e la sua culinaria compagna di naufragio con eccessivi problemi di fabbisogno naturale.