Lone Survivor: The Director’s Cut – Lone Survivor: The Director’s Cut
La domanda è: può un gioco con grafica retro essere un horror che spaventa sul serio? Le tesi riguardo questa dicotomia si crea senza problema alcuno. Da un lato si direbbe facilmente che l’horror ha bisogno di atmosfera, colori, ombre, giochi di luce, porte che scricchiolano, torce che si spengono nel momento meno opportuno, tutto questo una grafica a 16 bit non può dartela; dall’altro lato però, si potrebbe facilmente risolvere il problema dicendo che in realtà la paura più grande la crei nella tua testa. D’altronde se il cervello è la parte più erogena del nostro corpo perché non potrebbe anche essere la parte più facile da spaventare? Ed è lì che colpisce Lone Survivor.
Ci troviamo dinanzi a un prodotto targato Jasper Byrne, designer dell’intera opera sotto la supervisione dei Superflat Games, publisher e developer di Lone Survivor. L’edizione che arriva su PS Vita e su PlayStation 3, unite dal PSN, è un Director’s Cut della versione rilasciata per PC nel marzo del 2012 attraverso Steam e l’Humble Store.
Mi difendevo con una mascherina
Un’apocalisse, un’epidemia d’altri tempi, ha colpito la città e quindi l’albergo nel quale vi trovate. Le stanze e i corridoi sono stati invasi da zombie che avanzano alla ricerca di qualsiasi tipo di carne, compresa la vostra. L’unica isola felice a vostra disposizione è la vostra camera da letto, l’appartamento 206, dove un letto, una cucina e un bagno saranno tutto ciò che potranno guidarvi alla salvezza. Nelle vostre mani c’è la vita di un uomo che indossa una mascherina antibatterica, con poche risorse di cibo e una fragilissima situazione mentale, che lo porta spesso a crisi di panico, allucinazioni, visioni e ipotesi sulla vita e sull’imminente morte. L’unica soluzione è abbandonare per sempre l’edificio, ma tutte le entrate sono bloccate.
Da qui parte Lone Surviror per creare una storia che vi condurrà alla visione di un mondo distorto, illogico, allucinogeno, ma soprattutto ansiogeno. Perché dietro la porta che starete per aprire potrà comparire uno zombie contro il quale non potrete difendervi e, soprattutto, perché all’improvviso potrete trovare un superstite che appena girato l’angolo si trasformerà in un infetto. A condurre l’intera storia ci sarà un uomo con una scatola in testa che incontrerete in alcune delle vostre allucinazioni, in una città innevata fuori da uno stabile in legno.
Per scappare dall’epidemia
L’intera esperienza si sviluppa in 2D, con diversi oggetti sparsi al suolo, tra cibo e proiettili e la necessità di dosare ogni mossa. D’altronde i colpi non sono infiniti, così come il nutrimento: quindi non è consigliabile, restare chiusi nell’albergo, anzi. La fortuna è che gli zombie, una volta uccisi, non resuscitano, pertanto potreste essere sicuri del fatto che le zone ripulite potranno essere rivisitate, per quanto sia abbastanza inutile. I non morti saranno attratti dalla luce e dal vostro odore, pertanto, per quanto armati di torcia, non avrete grandi possibilità di muovervi. Come se non bastasse, la fonte di luce va a batterie e queste, oltre a essere limitate, durano anche poco. Al buio non è facile trovare la porta di uscita: potete immaginarlo. Ad aiutarvi nel procedere dell’avventura ci saranno altri espedienti che potranno sostituire la pistola, pur restando meno efficaci di quest’ultima e complicandovi di non poco la riuscita finale.
Starà a voi trovare il modo giusto per aggirare i mutanti, esasperando magari le fasi stealth o trovando lo stratagemma giusto per venirne fuori al meglio delle vostre possibilità. Interessante escamotage per velocizzare l’arrivo al salvataggio, fondamentale in un videogioco nel quale la morte è sempre dietro l’angolo, è quello di fornire una sorta di teletrasporto con gli specchi: ognuno di essi vi condurrà al vostro appartamento 206, poi verso l’ultimo nel quale vi siete infilati. Va da sé che l’esperienza, se giocata, come suggerisce lo stesso titolo in apertura, con il sonoro a un buon livello e con poca luce attorno a voi, può assolutamente condizionarvi. Le allucinazioni sono coinvolgenti e le stesse paure del protagonista potrebbero essere le vostre in un momento analogo.
Ovviamente venir meno alle necessità del protagonista di mangiare comporterà un tipo di allucinazione, così come ritrovarsi con la torcia senza batterie ci avvicinerà alla morte, senza dimenticare che vi ritroverete in alcune stanze che equivalgono a dei vicoli ciechi nei quali ritrovare ulteriori situazioni surreali. Insomma, la minima deviazione errata in Lone Survivor può portarvi allo sfascio.
Ma l’epidemia era dentro di me
Per quanto riguarda la versione del Director’s Cut ci sentiamo di premiare la scelta di portare il titolo anche su PS Vita: oltre ad avere dalla sua la feature basilare della portabilità, che vi permetterà di mettere in stand-by il prodotto in qualsiasi momento e riprenderlo, avrete anche la possibilità di avvicinare lo schermo agli occhi e apprezzare le scelte tecniche dei corridoi, che per quanto siano a grafica qualitativamente ridotta hanno comunque il loro perché artistico. Inoltre, sono stati aggiunti nuovi oggetti oltre a un nuovo finale e nuove location, pur limitate all’ambiente circostante.
Lone Survivor, nonostante la scelta grafica, resta sicuramente uno dei migliori survival horror game della generazione e uno dei migliori per quanto riguarda l’atmosfera e l’aspetto surreale, ben riproposti su PS Vita. Per quanto tutto sia pixelloso, come verrebbe da dire in termini gergali, l’esperienza non ne perde assolutamente, anzi può giovarne per quanto sia grezzo l’intero sistema di programmazione. Il sound design è altrettanto apprezzabile: la variazione delle melodie in base alla situazione è intonata e magistralmente architettata, così come il modo di narrare la vicenda, tramite le allucinazioni del personaggio, che coinvolgono e allo stesso tempo soddisfano le nostre domande, risulta essere ben bilanciata tra il gameplay e le prese d’aria.
D’altra parte, però, nessuna meccanica di gameplay è totalmente innovativa, anzi c’è poca varietà, come dicevamo anche prima, nel poter affrontare i mostri. Perché una volta terminati i proiettili e con lo stealth azzerato dall’assenza di anfratti nei quali nascondervi, il gioco è praticamente terminato, senza darvi alcuna possibilità di proseguire, non avendo più modo di oltrepassare gli zombie.
E ho deciso di raccontarvela
Quanto detto in chiusura, però, non è comunque denigratorio nei confronti di Lone Surviror, che resta comunque un’esperienza da provare e da fare, a patto che non siate troppo compulsivamente spaventati dall’aspetto ansiogeno del prodotto. Per il suo costo inoltre – appena 9,99 euro – l’esperienza guadagna ancor più punti. La durata, poi, lo rende ancora più intenso: poche ore per uscire da un albergo e ritrovare la pace e la tranquillità mentale sono il giusto tempo. La direzione artistica è indubbiamente da premiare, perché noi apparteniamo alla seconda scuola di pensiero: la grafica retro può creare un horror che spaventa.