Life is Strange Double Exposure Recensione
Sono in conflitto con Life is Strange Double Exposure. Da un lato, come ti ho spiegato nella mia anteprima di pochi giorni fa, rivedere Max e ritornare ai toni di Life is Strange è un abbraccio al quale non posso tirarmi indietro: in fondo ci sono pochi giochi che riescono a creare quella “coziness” tipica di Deck Nine e Don’t Nod.
Certo, alcune iterazioni della serie sono più riuscite di altre, ma i primi due capitoli di Double Exposure promettevano bene. E sia chiaro, il gioco rimane ottimo, ma mi aspettavo un assestamento migliore del tutto, sopratutto sul finale.
Life is Strange Double Exposure Recensione
Premetto che non ricalcherò quanto già ho raccontato nell’anteprima, da leggere assolutamente prima di questo contenuto, ma voglio anche chiarire che non racconterò spoiler importanti degli episodi 3,4 e 5, ma dovrò saltuariamente riferirmi ad un evento che chiude l’episodio 1: preferisco tu possa goderti l’esperienza senza influenze dovute alle scelte narrative che Double Exposure prende, ma mi è anche impossibile non citare il pilastro meccanico e narrativo del gioco.
Il trittico di episodi di chiusura ricalca meccanicamente quanto fatto dai primi due: siamo ancora Max, alla Caledon niversity, e ancora ci troviamo ad indagare nell’ancora irrisolto omicidio di *********. Abbiamo nuovi indizi, abbiamo nuovi richiami ad Arcadia Bay, abbiamo nuovi livelli da scoprire delle relazioni esistenti.
Il mood cozy si mantiene tutto, ed è piacevole scoprire nuovi pezzi di un puzzle che sembra sempre più eluderci, man mano che andiamo avanti. Anche la meccanica delle fotografie stesse, ora approfondita di un livello, si mantiene un piacevole passatempo e “vende” di più e di più il parallelismo, mai forzato, fra il mondo fotografico, di cui Max è maestra e artefice, e gli eventi di cui siamo protagoniste.
Un po’ dispiace non visitare luoghi nuovi, rispetto ai primi due episodi: forse è complice un’economia di asset che, vista l’indubbia qualità visiva, va tenuta entro certi limiti, ma questo aspetto rimane un piccolissimo neo nella produzione.
Trovo anche un’interessante frizione fra la complessità dei personaggi, sicuramente di più ampio respiro rispetto perfino a quanto ci viene mostrato, e la sensazione di perdersi spesso qualche “pezzo” di ciò che li muove. È come se a volte, sopratutto nel caso di due personaggi, ci venga vietato assistere alla loro evoluzione, tanto da causarci un leggero colpo di frusta quando, dopo un lasso di tempo, li ritroviamo spostati lungo la scacchiera emotiva che avevamo lasciato intatta poco prima.
Bilanciamento del bianco
So che ho detto “piccolissimo neo”, ma devo parlarti di quello che ritengo il più grosso difetto di Life is Strange Double Exposure: i titoli precedenti sono sempre stati più o meno capaci di riuscire nell’atterraggio, ossia nel chiudere la storia, svelando il mistero e lasciando il minor numero di storie irrisolte.
In questo titolo, però, Deck Nine manca il bersaglio e sembra investire più energie nel chiudere emotivamente la storia, di quante ne impiega nel tentare di chiuderla a livello logico e narrativo. Ci sono indizi su dove la storia potrebbe continuare DOPO questo titolo, ma mi sento leggermente tradito dalla non-chiusura che Double Exposure, coscientemente o meno, mi piazza davanti.
Sia chiaro: sto parlando di un mancare il bersaglio per gli standard di Life is Strange, non per il genere in sè. Double Exposure è comunque un prodotto molto buono, ma non posso non riconoscere quando, nel correre verso uno scopo narrativo, scivola.
Poche volte mi lamento narrativamente di un prodotto d’intrattenimento, sopratutto quando, a patto di possedere una minima capacità analitica, si riesce a capire perché il narrative designer ha fatto quella particolare scelta.
Con Double Exposure mi sento manchevole di questa capacità, o meglio sento il gioco stesso manchevole degli indizi che mi permettono di capire, giustificare e contestualizzare la scelta di… beh, chiudere tutto un po’ di fretta e senza troppa logica.
È come se qui più che altrove (ed è una critica che ho mosso ad altre strutture ludiche parallele a queste), i 5 episodi stiano contemporaneamente troppo stretti e troppo larghi, a Deck Nine: è una scivolosa trappola quella nella quale Double Exposure si ritrova, con un arto incastrato nella tradizione, e uno troppo libero per non ferirsi nell’agitarlo forsennatamente.
Fuori fuoco, shutter speed troppo lento
C’è una regola, nel game dev: tutti gli elementi di gioco devono collaborare nello spingere in un’unica direzione. La direzione è quella dettata dalla/dal game director, è dettata dal desiderio del team di restituire una precisa identità di “gioco”. Anche nel momento in cui non ci si possa trovare d’accordo con l’esecuzione, solitamente è legittimo – e doveroso – capire che, se tutto parla lo stesso linguaggio e con lo stesso scopo, la nostra critica rimane soggettiva, e muore ai limiti della libertà artistica che, sia chiaro, è e deve essere tutela di ogni dev.
È anche sotto questo aspetto che, usando ironicamente un termine fotografico, Life is Strange Double Exposure perde fuoco sul suo messaggio proprio negli ultimi scatti.
L’accenno di cambio di fuoco e ritmo è ben marcato nel quarto episodio, comportamento che mi aspettavo data la ciclicità con la quale, nei LiS, è sempre il quarto episodio quello che si dedica a scenari “what if”, o digressioni in ciò che definisce caratterialmente l’uno o l’altro personaggio. Qui l’equazione cambia e diventa il quinto episodio quello anomalo, scelta che purtroppo altera troppo gli equilibri narrativi (straordinariamente, non quelli emotivi) di Double Exposure.
Non sembra una scelta ragionata, quella di lasciare all’epilogo il peso di chiudere tutto: è un peso sicuramente importante, ma poteva essere gestito meglio.
Camera Oscura
Nonostante il grosso “swing and miss”, l’evoluzione dei personaggi è più che buona, non tanto nella loro crescita personale quanto nelle piccole differenze nel modo che hanno di rapportarsi con noi.
Life is Strange è fatto di scelte, in fondo, ed è perfetta la quantità di piccoli bivi nei tanti dialoghi di cui Double Exposure è composto. Non sono mai scelte enormi, se non in determinati punti del racconto che letteralmente ci fanno scegliere fra due scenari opposti, ma sono scelte significative nella loro infinitesimalitá.
Con un doppiaggio di altissima qualità e un livello di scrittura che, pur non raggiungendo i livelli di serietà e auto-imposta importanza di generi molto più orientati a verbi di gioco come “sparare” o “uccidere”, è di ottima fattura, Life is Strange Double Exposure mantiene – se non eleva – la qualità emotiva di quel che la serie ha raccontato finora: ficcheremo anche il naso nella vita di molte/i, alla ricerca della verità, ma il nostro rapporto con loro non perde mai di importanza, a prescindere dall’eventuale conflittualità o gli interessi opposti.
Già prevedo la solita cloaca di utenza aizzarsi contro gli orientamenti sessuali di alcuni personaggi, e prepariamoci alle ventate di sterco dialettico per la presenza – OH MIO DIO – di un personaggio transessuale… ma a un certo punto anche “Who the f#ck cares?”, e onestamente tutta questa inclusività non solo non va analizzata sotto l’occhio del solito uomo alpha eterosessuale bianco, dato che fin troppo dell’entertainment “ci” ha rappresentato in decenni di film e serie, ma rappresenta una legittima e necessaria apertura (mentale, ma non solo) a realtà di genere – e gender – su cui ancora molto c’è da imparare e ancora tanto c’è da lavorare.
Siamo 8 miliardi di anime, ognuno e ognuna di noi sfumatura cromatica unica di una tavolozza di colori che Life is Strange Double Exposure non si trattiene dal rappresentare.
La crescita stessa di Max è simbolica. Sempre la stessa Max, ma non del tutto; in parte è più sicura di sé, in parte è la Max che ricordiamo e (confessalo!) amiamo; Caledon è diversa dalla Blackwell del primo titolo, ma ha piccole cose che la ricordano, anche se ci sono meno villain che lo sono per il gusto di esserlo.
Il déjà-vu è un leggero post-processing: esalta i colori e i toni, ma nelle mani sapienti di Deck Nine non è mai di cattivo gusto o indigesto. Esattamente come non consegneresti mai il file raw ad un cliente, c’è fiducia implicita nella capacità del team di ritoccare molti degli elementi di Life is Strange Double Exposure per un effetto ancora più intenso, e il risultato è eccezionale.
Aux
Life is Strange è per meta musica, e in questo Double Exposure davvero non delude, con brani sempre ottimamente calibrati sulle vicende a schermo e sempre sapientemente organici con il sound della serie, quell’indie pop sempre in equilibrio tra “assolutamente il mood giusto” e “come fanno a scoprire queste artiste?”.
A dare ancora più profondità all’identità acustica di Life is Strange Double Exposure ci sono, sparsi per il gioco, dei “momenti zen” interagibili che si prendono il tempo di un respiro più misurato e calmo, istanti che permettono a Max e noi di ragionare su ciò che è successo, e magari lasciarci andare alle sapienti note della davvero splendida soundtrack di gioco. Il sound design rimane buono, con suoni comprensibili e di rinforzo ad una UI essenziale.
Life is Strange Double Explosure è un buonissimo nuovo capitolo per la serie, e segna il fantastico ritorno di Max sulle nostre console, per questo e chissà quali altri capitoli. Purtroppo la struttura a 5 episodi sembra giocare a sfavore della narrazione di Double Exposure, con un quinto episodio che chiude troppo velocemente e senza troppi appigli “logici” le vicende. Nonostante questa scivolata finale, sono convinto che un secondo playthrough (tra l’altro richiesto da un trofeo) possa farmi rivalutare il tutto, e la qualità rimane comunque altissima per tutto il gioco, dal doppiaggio, al character design, alle scelte narrative.
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Un centro quasi perfetto
Pro
- Il ritorno di Max
- Narrativamente interessante e cambia costantemente le carte in tavola
- Soundtrack sempre straordinaria
Contro
- Il quinto episodio "atterra" davvero male