Last Day of June – Recensione
Ovosonico di Massimo Guarini è uno dei più talentuosi studi di sviluppo italiani. Dopo l’accordo con Sony Computer Entertainment che ha portato all’uscita di Murasaki Baby in esclusiva su PS Vita, è stata Digital Bros. ad interessarsi al team varesino, investendo quasi un miolione e mezzo di Euro. Il primo progetto frutto di questa collaborazione – pubblicato sugli store digitali da 505 Games, ovviamente – è Last Day of June, uno struggente “racconto interattivo“, come lo definiscono gli autori stessi.
The Butterfly Effect
Come accennato poc’anzi, in qualità di racconto interattivo, Last Day of June può essere descritto utilizzando le categorie videoludiche come un gioco d’avventura story driven dotato di una rilevante componente puzzle. Dal momento che la trama è fondamentale, ora ne esprimeremo il concetto di base senza alcuno spoiler, semplicemente utilizzando la domanda contenuta nel sito ufficiale: “What would you do to save the one you love?” Nei panni di Carl, il giocatore dovrà trovare un modo per cambiare il destino e salvare l’amata June. Di più non diciamo, e nemmeno dobbiamo dire.
Nonostante il focus sulla vicenda, non dobbiamo pensare a Last Day of June come ad un gioco verboso. Ovviamente esiste una comunicazione testuale, ma non stiamo parlando di testi orali o scritti: i personaggi comunicano fra loro in gibberish (non sottotitolato) e non ci sono messaggi, lettere, diari o altre amenità da consultare.
La trama e le sue implicazioni vengono comprese dal giocatore grazie all’espressività e alla gestualità dei personaggi, e ciò avviene progressivamente, in virtù della struttura dell’avventura, che vede intersecarsi diversi piani temporali e “dimensionali”, per così dire. Come abbiamo già avuto modo di illustrare, lo schema si basa sul “butterfly effect”: l’obiettivo di Carl è quello di modificare un evento (retro)agendo sulle sue concause, sostituendo ad un momento del passato, presentato come flashback, una versione alternativa dello stesso. Tale procedimento viene ripetuto per quattro personaggi, e la combinazione delle loro interazioni porterà ad esiti diversi; il giocatore dovrà agire su questa “formula” per cambiare il destino al termine della giornata. Potrebbe ricordare The Legend of Zelda: Majora’s Mask, in un certo qual modo.
Tutti i personaggi controllabili son dotati di un’identità ben marcata, fatta di gestualità e sentimenti di varia natura nei confronti degli altri abitanti del paesino, nonché di un background fornitoci dai ricordi, cinque “fotografie” per ciascuno da raccogliere durante l’avventura. Sul piano ludico, invece, a seconda delle caratteristiche dell’alter ego virtuale in uso al momento e della sua posizione di partenza, sarà possibile aprire cancelli e compiere altre azioni in grado di influenzare la realtà degli altri personaggi, giungendo così a raccogliere tutti i ricordi (gli unici collectible del gioco) e a determinare nuovi esiti della giornata.
Drive Home
Come avevamo già avuto modo di dire in sede di anteprima, Last Day of June è stato ispirato a Massimo Guarini dalla canzone “Drive Home” di Steven Wilson, che a sua volta si è ispirato (eh sì, l’arte è così, NdR) ad un racconto breve e ad un’illustrazione di Hajo Müller, molto stimato da Wilson, come testimoniano le proficue collaborazioni. Tutta la colonna sonora è composta da splendidi brani estratti da vari album solisti dell’artista inglese, che ha in questo modo forgiato indirettamente il gioco mentre ne “compilava” la colonna sonora. L’ultima figura chiave da menzionare è Jess Cope, la mente dietro al videoclip di “Drive Home”.
Conoscendo le muse di Ovosonico, è facile trovare i punti di contatto fra le varie opere succitate, ma se ne possono apprezzare anche le peculiarità e le nuove idee. Sul piano visivo, il character design è certamente reminiscente del video di Cope (che a sua volta è stato guidato dagli storyboard di Müller, però la carta da giornale è stata sostituita da qualcosa di più simile alla cartapesta. Un discorso analogo può essere svolto sulle ambientazioni, caratterizzate invece da una natura impressionista.
Ne emerge un quadro meno tetro, ma lo stesso non può dirsi delle tematiche, aderenti a quelle originarie. Anche in quest’ambito, però, Guarini ci ha messo del suo, aggiungendo personaggi – o forse sarebbe più opportuno dire “personae” – e amplificando l’elemento temporale a dismisura: il tempo, in Last Day of June, non si lega alla sola dimensione del ricordo penoso, ma anche a quella del destino, stimolando riflessioni che esulano dalle suggestioni ed emozioni suscitate da “Drive Home”. Questo è uno degli aspetti che chi scrive ha apprezzato maggiormente, se mi è concessa una considerazione personale in chiusura: una singola suggestione viene catturata dalla sensibilità di un uomo, ma, tramite un processo spontaneo di stratificazione artistica, giunge al fruitore in declinazioni diverse (racconto, illustrazione, canzone, video, videogame) e via via si arricchisce. Questo è il grande merito di Last Day of June, che in tutto ciò riesce pure a ricordarsi di essere (anche) un videogioco.
Last Day of June rappresenta ad oggi uno dei più riusciti tentativi di combinare l’arte con il videoludo. L’intensità di una storia struggente, la direzione artistica e la colonna sonora, la componente più importante nella genesi dell’opera, sono convogliate in quello che non è certo un gioco complesso o divertente in senso classico, ma nemmeno un walking simulator. Last Day of June è un’opera a tutto tondo, da contemplare, ascoltare, giocare e interiorizzare. Il voto numerico perde di significato.
Pro
- Se esistono videogiochi che possano essere considerati opere d'arte, Last Day of June rientra certamente fra questi
Contro
- Manca un'opzione di animation skip, che talvolta incrementa la sensazione di ripetitività