Kholat – Recensione
La storia è stata spesso una preziosa fonte di ispirazione per gli sviluppatori. Titoli come l’eccellente The Town Of Light, che narra le allucinanti condizioni dei manicomi durante Seconda guerra mondiale, This War Of Mine, ispirato al lungo assedio di Sarajevo dei primi anni ’90 e Outlast 2 con il massacro di Jonestown del 1978 fanno spesso riferimento, più o meno marcato, ad eventi realmente accaduti o luoghi esistenti.
Su questo filone si colloca anche questo Kholat, primo titolo dei ragazzi di IMGN.PRO (abbreviazione di Pro Imagination), azienda indipendente polacca in precedenza coinvolta nelle forniture di servizi ad altri sviluppatori. Facendo riferimento al famoso incidente del Passo Dyatlov (che ha ispirato anche un buon film di Renny Harlin: Devil’s Pass), nel quale in circostanze mai chiarite persero la vita nove escursionisti, IMGN.PRO confeziona un’avventura horror in prima persona con forti elementi da walking simulator, uscita in origine per PC nel 2015, poi per PlayStation 4 l’anno successivo e arrivata oggi in versione Xbox One.
La Montagna dei morti
Russia, nella notte del 2 febbraio del 1959, nove escursionisti guidati dal giovane (24 anni scarsi) Igor Alekseevič Djatlov si accamparono nei monti Urali dopo aver perso l’orientamento a causa di una tempesta di neve nei pressi del Kholat Syakhl, che nella lingua della tribù locale dei Mansi significa nientemeno che “Montagna dei morti”.
Erano tutti esperti alpinisti con lo scopo, puramente sportivo, di raggiungere l’Otorten, una montagna situata 10 Km più a settentrione. Un’impresa considerata tra le più difficili a causa della stagione, dell’altezza delle montagne e delle difficoltà del percorso. Ma i nove non arrivarono mai a quella montagna.
Le prime ricerche vennero organizzate solo dopo due settimane in cui non si avevano più notizie degli alpinisti. La loro tenda venne ritrovata il 26 febbraio, vuota, lacerata dall’interno e circondata dalle orme dei ragazzi, come se questi si fossero dati a una fuga disordinata e improvvisa. Successive ricerche portarono al ritrovamento dei cadaveri nelle condizioni più strane: alcuni nudi (in una zona dove di notte la temperatura scende a -30), altri con lesioni interne, anche se non abbastanza gravi da essere causa della morte, una di loro priva della lingua, altri con lesioni leggere al cranio, qualcuno addirittura con lievi tracce di radioattività sui vestiti.
Considerate le insolite condizioni in cui vennero ritrovati i cadaveri e la mancanza di testimoni oculari, quello che venne poi catalogato come incidente del passo Dyatlov (dal nome del capo della spedizione) fu spiegato nei decenni successivi con teorie più o meno verosimili, che hanno tirato in ballo tutto il campionario delle possibilità: dall’attacco di follia di massa dei nove escursionisti agli esperimenti militari, fino agli immancabili alieni. Anche se di recente sono state formulate ipotesi molto più realistiche, quello del Passo Dyatlov rimane uno dei misteri più affascinanti del secolo scorso.
Fin qui la storia reale, da dove riprende l’avventura di IMGN.PRO. Ci ritroveremo nel villaggio di Vižaj, ultimo luogo abitato dove passarono i nove alpinisti nel ’59, senza sapere chi siamo né come siamo arrivati in quell’innevato e sperduto paesino. Passati gli iniziali e comprensibili momenti di disorientamento, inizieremo a esplorare il villaggio raggiungendo quasi subito gli innevati boschi circostanti, per poi finire in un baratro che ci porterà nella zona più inospitale della montagna, dove inizierà la vera avventura.
Dopo aver realizzato quasi subito di essere proprio sulla Kholat Syakhl, la Montagna dei morti dove persero la vita i nove alpinisti, inizieremo una paziente ricerca dei diari lasciati dai ragazzi nel 1959, delle loro tende e del loro equipaggiamento, nel tentativo di fare luce su quanto avvenuto mezzo secolo prima tra quelle nevi, guidati in qualche modo dalla nostra tenacia e da una sorta di misterioso faro in lontananza. Un’indagine resa ancora più difficoltosa, oltre che dalle avverse condizioni dell’ambiente, anche dalla presenza di una misteriosa creatura che tra quelle nevi sembra braccarci con costanza e crudeltà.
La trama di Kholat, lo si intuisce ben presto, non è molto chiara ed è legata alla paziente ricerca dei frammentari indizi ritrovati lungo il cammino. Ma è una cosa voluta, dal momento che anche sul reale mistero del Passo Dyatlov non si è ancora fatta completa chiarezza.
C’è qualcosa, là fuori tra le nevi
Le meccaniche di Kholat riprendono quanto già visto in titoli simili come The Vanishing Of Ethan Carter o The Town Of Light: una lunga e paziente esplorazione alla ricerca di indizi utili a svelare i vari elementi della trama. I comandi sono ridotti al minimo, forse troppo, dal momento che manca una qualsiasi funzione per saltare, costringendo spesso il protagonista a lunghi e tortuosi giri solo per l’incapacità di scavalcare un ostacolo alto pochi centimetri. I vari pulsanti permettono di correre (per breve tempo, dopo un po’ arrivano fiatone e difficoltà visive), di accucciarsi, di aprire bussola con mappa e di attivare un utile diario.
Per quanto riguarda la mappa e la bussola, esse si riveleranno ben presto indispensabili per proseguire nell’avventura, dal momento che la nostra posizione non viene segnalata da nessuna parte. Gli stessi accampamenti (che funzionano anche da telatrasporto tra le varie aree) verranno aggiunti alla mappa solo una volta scoperti. Per orientarsi sarà quindi vitale familiarizzare con l’ambiente e memorizzarne i particolari più o meno evidenti, per poi metterli in relazione con le coordinate geografiche, visibili sulla mappa zoomando con il grilletto sinistro.
Sul nostro diario verranno invece segnati a mano a mano gli indizi ritrovati, alcuni utili consigli e le coordinate dei luoghi ancora da esplorare. Gli stessi indizi, alcuni dei quali non hanno nulla a che fare con l’incidente del Passo Dyatlov, sono abbastanza rari e sparsi nel vasto ambiente e sarà necessario studiarli bene e collegarli tra loro nel tentativo di ricostruire il mistero della Kholat Syakhl.
Un sistema molto realistico, che in teoria dovrebbe aiutare a immergersi nell’ambientazione e nelle pur affascinanti indagini, ma che viene purtroppo rovinato da alcune discutibili scelte nelle meccaniche: il sistema di salvataggio, nel titolo di IMGN.PRO, abbandona qualsiasi check point o manuale a favore di un discutibile sistema che permette di salvare i nostri progressi solo nei rari accampamenti e in occasione del ritrovamento dei diari dei protagonisti. In questo modo avremo facilmente situazioni in cui il gioco salverà la nostra posizione molte volte nel giro di un’ora, per poi costringerci a vagare a lungo senza poter effettuare nessun salvataggio dei progressi, a meno che non si voglia tornare indietro fino all’ultimo accampamento, spesso molto distante e difficile da trovare a causa della già citata mancanza di un qualsiasi riferimento alla nostra posizione sulla mappa. Senza contare che, in caso di morte prematura, lo scomodo sistema di salvataggio ci riporta spesso a ripetere lunghe sessioni di gioco, rese ancora più difficoltose dalla difficoltà di orientamento. E in Kholat si muore eccome, abbastanza raramente, ma spesso in modo frustrante.
Sul nostro percorso sono infatti presenti pericolosi crepacci e trappole in grado di portare a una dipartita istantanea (è assente una qualsiasi barra di energia vitale) e spesso impossibili da individuare in anticipo. Fa eccezione una mortale nebbia arancione, ben visibile anche da lontano e facilmente evitabile. Oltre a ciò, tra le nevi si trova anche una misteriosa creatura, anch’essa arancione, in grado di uccidere il nostro protagonista in un istante. Il problema è che tale creatura non viene segnalata con nessun effetto sonoro, ringhio o verso utile a intuirne in anticipo la presenza e, tranne che in rari casi, essa apparirà del tutto all’improvviso e a caso, portando a una prematura dipartita e costringendoci a ripetere da capo tutta la strada fatta dall’ultimo salvataggio. Sono molto frequenti i casi in cui moriremo solo perché siamo letteralmente finiti addosso alla creatura senza rendercene minimamente conto.
Nonostante questi difetti abbastanza pesanti, con tanta pazienza e costanza e a prezzo di un continuo trial and error, stimolati anche dall’ottima ambientazione, inizieremo lentamente a familiarizzare con l’ambiente, imparando a memoria i particolari utili all’orientamento e la posizione delle trappole. Il problema è che l’avventura di IMGN.PRO non fa molti sforzi per stimolare la nostra curiosità sulla lunga distanza. In genere i primi minuti (qui parliamo di minuti, dal momento che Kholat richiede non più di 4 o 5 ore per essere completato) di un’avventura servono a creare la giusta atmosfera e a provocare nel giocatore la forte curiosità di vedere cosa succederà più avanti. Qui invece, dopo una prima parte abbastanza interessante, a causa di una certa ripetitività si prosegue solo per pura forza di volontà senza un qualsiasi forma di coinvolgimento o di curiosità.
La bellezza della montagna di notte
Il comparto tecnico di Kholat, a dispetto della sua natura di sviluppo indipendente, risulta piuttosto curato. Mosso dall’Unreal Engine 4, il motore grafico del titolo di IMGN.PRO restituisce scenari innevati ben costruiti e realistici, con punte veramente buone nelle situazioni notturne e ottimi effetti di luce, al di là di qualche lieve effetto di pop up e alcune incertezze nello spostamento della visuale risolvibili, speriamo, con una futura patch. Oltre alla realizzazione puramente tecnica, Kholat si distingue anche per un’atmosfera molto coinvolgente, in cui ogni elemento dello scenario, dall’inquietante e maestoso faro all’orizzone fino alle rovine dei rari edifici, risulta bene inserito con lo scopo di creare un senso di angoscia e disorientamento, accentuato anche dalla desolata ambientazione.
La cura riposta nel comparto visivo di Kholat è stata estesa anche sul versante sonoro, grazie ad effetti ambientali piuttosto curati, uniti alle musiche di Arkadiusz Reikowski, mai invadenti e sempre ben inserite nel contesto, tra le quali spicca la “Farewell” interpretata da Elizabeth McGlynn. Il tocco di classe è rappresentato dalla voce narrante di Sean Bean, che contribuisce a rendere molto più coinvolgente la nostra avventura, al netto dei difetti nelle meccaniche di cui parlavamo.
Con una storia così interessante alle spalle e una buona realizzazione tecnica, unita alle affascinanti ambientazioni, l’avventura di IMGN.PRO sarebbe potuta diventare una delle esperienze più interessanti del genere. Un potenziale molto alto, ma rovinato da evidenti lacune nel gameplay e da alcune infelici, frustranti e inspiegabili scelte nelle meccaniche, soprattutto nella seconda parte del gioco dove l’interesse cala di molto. Grazie ad alcuni elementi positivi, Kholat non è un completo disastro, ha anzi il pregio di voler sfruttare il medium videoludico per narrare uno dei misteri più affascinanti del secolo scorso, ma lascia nel giocatore l’amarezza di una grande occasione sprecata.
Pro
- Interessante idea narrativa
- Ambientazione riuscita
- Un mistero reale da ricostruire
- Tecnicamente buono...
Contro
- ...anche se con alcune incertezze
- Meccaniche frustranti
- Sistema di salvataggio scomodo
- Giocabilità al minimo