Jak and Daxter Collection – Recensione The Jak & Daxter Trilogy
Sono passati undici anni da quando, nel 2001, Jason Rubin presentò al mondo videoludico, insieme con Andy Gavin, la sua seconda mascotte Sony: si tratta di Jak, un giovane dai capelli biondi appuntiti, silenzioso, ma molto coraggioso, accompagnato da uno sgangherato amico di note Daxter. Dopo il successo di Crash Bandicoot, poi venduto dopo Crash Team Racing alla Eurocom, il giovane game designer riuscì a piantare una nuova pietra miliare nella storia del platform, regalando alla Sony una nuova icona sulla quale costruire una trilogia, poi arricchita da spin off, il cui successo è indiscusso. Ora la casa nipponica, in linea con le numerose iniziative di riproposizione in HD che quest’anno hanno già visto l’arrivo della Metal Gear Solid HD Collection, ripropone i tre titoli che furono figli di Rubin in una HD Trilogy, pronta ad arricchire le PlayStation 3 e le conoscenze videoludiche di chi, malauguratamente, non poté godere a pieno del genio della Naughty Dog.
L’inaspettata bellezza della donnola
La Trilogy è ovviamente divisa in tre diverse sezioni, ognuna dedicata ad uno dei tre capitoli: Jak & Daxter: the Precursor Legacy, Jak II: Renegade e Jak 3, attraversando anche, in ordine cronologico, le tre fasi dello sviluppo del personaggio, dalla giovinezza alla maturità, fino alla vetustità di una personalità navigata e seriosa rivestita nell’ultimo Jak. Un modello unico e arricchito dall’esperienza prelevata da Crash Bandicoot, che Rubin riuscì, nei due successivi episodi, a coadiuvare ad un aspetto più free roaming: erano gli anni in cui Tommy Vercetti aveva rivalutato al meglio, agli occhi dei più, la nota serie Rockstar Grand Theft Auto, con il capitolo ambientato a Vice City, e l’influenza che ebbe il gioco più venduto di sempre su PlayStation 2 fu palese anche nei confronti della Naughty Dog.
Le nostre vicende iniziano con uno stile decisamente più goliardico rispetto a quanto accadrà nei due successivi capitoli, per i quali abbiamo già accennato un cambio di rotta importante: a fare da leitmotiv alle scorribande di Jak & Daxter oltre ad essere l’irriverenza giovanile dei due personaggi, è anche la sbadataggine dell’esuberante compagno di avventura di Jak. Approdati su un’isola dalla quale avrebbero dovuto tenersi a distanza vita natural durante, Daxter si ritroverà a volare in un pozzo contenente l’eco oscuro, una sostanza che i saggi hanno sempre studiato e analizzato per poterne valutare le capacità e le accezioni: l’incidente trasforma, incredibilmente, il giovane ragazzo in una ottsel, una combinazione tra una donnola e una lontra, salvandolo, però, dalla morte certa. Costretto a restare così a vita, il giovane Jak partirà alla ricerca di una soluzione per riportare il suo fedele compagno di avventura nelle sembianze umane: si darà così il via all’avventura dei due prodi eroi, che insieme con Samus, il saggio del villaggio, e Kiera, la bella figlia di quest’ultimo, si ritroveranno da Sandover, ameno villaggio immerso nel verde e circondato dall’acqua, presto scaraventati nel futuro.
È a Heaven City che avviene la vera e propria trasformazione del brand che da Jak & Daxter diventa soltanto Jak II: Renegade. Il giovane e timido protagonista delle nostre vicende si ritroverà a subire due anni di esperimenti sul proprio corpo atti a trasformarlo nel Guerriero Oscuro: dilaniato dal forte gettito di Eco Oscuro inserito nel proprio corpo, come un novello Wolverine, Jak si apprestava ad essere assassinato dopo esser stato dichiarato un fallimento. Soltanto l’arrivo dell’intrepido Daxter permetterà al Nostro di scatenare la sua ira, i suoi poteri, e la sua voce, completando il suo processo evolutivo, ultimato poi in Jak 3. Nell’ultimo capitolo della trilogia sarà l’esilio a fare da leitmotiv alle nostre vicende e poter esplorare anche l’esterno di Heaven City, darà il là alle nuove capacità di Jak, divenuto, ora, un vero e proprio mercenario della patria. Assoldato come il migliore dei combattenti, ma assetato dal desiderio di essere reintegrato nella comunità, l’intero ciclo narrativo si concluderà rivelando risvolti di una sceneggiatura che, nella sua modesta presenza in un platform, si esalta nell’offrire delle soluzioni inaspettate. Un tripudio di profondità anche in questo caso.
L’indissolubile tristezza della torta meringata
L’evoluzione del personaggio comporta una necessaria evoluzione del gameplay. Senza volerci dilungare troppo in un’esperienza che dovrebbe essere già nota a tutti, riconosciamo subito come il primo episodio della trilogia sia molto legato ai canoni che furono cari a Crash Bandicoot: gli stessi movimenti di Jak, nei pugni e nei salti, ricordano molto il molleggiato bandicoot che andava a rompere casse e raccogliere oggetti disseminati per i vari livelli. Stavolta invece delle mele ci saranno delle cellule di eco e al posto dei cristalli, o delle gemme, avrete a disposizione gli Orb, da acquistare completando missioni e minigiochi assegnatevi dai vari abitanti del vostro villaggio. La totalità del platform è raggiunta e completata, così da costringere Rubin ad inventare qualcosa di nuovo: come esaminato già in apertura, l’influenza del free roaming arriva anche in casa Naughty Dog e le accezioni dei Grand Theft Auto vanno a farla da padrone in Jak II: Renegade. Il Nostro sarà soggetto alla presenza di una forza dell’ordine locale, che ad ogni sua mossa poco consuetudinaria o una guida troppo spericolata tra i cieli di Heaven City inizieranno a dargli la caccia. Ugualmente Jak potrà appropriarsi di mezzi non suoi, rubandoli disarcionando il legittimo proprietario: proprio come il miglior Tommy Vercetti, senza però alcuna pistola. C’è però da sottolineare l’arsenale ricercato di cui si fornirà la sgangherata coppia: dai pugni e i calci del primo episodio, nel futuro remoto nel quale capiteranno Jak & Daxter sarà necessario equipaggiarsi di armi laser o comunque che possano ferire, e di conseguenza uccidere, i dannosi nemici: attenzione, però, al fuoco amico, che potrà mandare a miglior vita anche i cittadini incolpevoli e malcapitati.
Con il progredire, poi, dei capitoli, aumenteranno anche le missioni a vostra disposizione, aggiungendo anche uno spazio molto più ampio della città: si sbloccheranno varie zone che vi daranno accesso a numerose nuove situazioni e vicissitudini. Inoltre il cambiamento di Jak comporterà grandi novità dal punto di vista del gameplay, che si arricchirà dalla possibilità di trasformarsi in Dark Jak, aumentando, momentaneamente, i poteri del Nostro. Tale situazione era sviluppabile già nel primo capitolo, dove bastava raccogliere una scarica di Eco Blu e aumentare la nostra velocità oltre che la forza dei nostri pugni: stavolta, invece, l’evoluzione è decisamente più approfondita e migliorata. Con l’ultimo capitolo, invece, la situazione muta in maniera non troppo possente: al design accattivante dei vari avversari e al già modificato Jak, si andrà ad aggiungere una componente fondamentale che trasformerà Jak & Daxter in un racing game: seguendo l’evoluzione che aveva compiuto anche Crash Bandicoot, arrivato poi al Crash Team Racing, anche Jak salirà su uno svariato roster di macchinari muniti di turbo e mitragliatrici per salvare Heaven City dai predoni dell’esterno. Un gameplay che non ristagna mai e che si adegua perfettamente alle situazioni, senza privare il videogiocatore del divertimento. Dal dolce all’aspro, da uno zuccherato paesaggio che va a sciogliersi nel suo viaggio nel futuro, la trilogia di Jak & Daxter sviluppa al suo interno una crescita di grande valore, quasi ad accompagnare i videogiocatori nel percorso evolutivo della loro adolescenza.
L’incocepibile voglia del roncear
Passiamo alle noti dolenti. La Trilogy rilasciata da Sony sicuramente aveva l’obiettivo di assicurare a tutti un prodotto rinnovato e rimasterizzato in HD. Sebbene la differenza nelle sessioni in game sia visibile e tangibile, nelle cut scene la situazione risulterà ancora spigolosa e poco valida: nel filmato di apertura di Jak & Daxter ritrovare delle texture incerte e risalenti a delle condizioni piacevoli soltanto per chi si accostava alla PlayStation 2 undici anni fa, lascia leggermente perplessi. Il lavoro di restyling resiste soltanto sugli ultimi due capitoli, nei quali poter ammirare le sconfinante lande di Heaven City in HD dà una grandissima soddisfazione. Sicuramente ritrovarsi ora a rivivere un free roaming che nel 2003 poteva risultare di un’altra categoria soprattutto per la capacità di mixare al meglio il platform ad un novello Grand Theft Auto, farà storcere il naso, ma l’instancabile forza di un gameplay sempre mutante e mai stantio, ci permetterà di vivere un’esperienza senza pari ad oggi, checché ne voglia dire Insomniac. Sicuramente il lavoro poteva essere meno approssimativo e ci si poteva concentrare in maniera più attenta sul Precursor Legacy, ma che Naughty Dog non ci abbia potuto mettere, forse, lo stesso cuore che ci mise Jason Rubin una decade fa è plausibile: il figlio, abbandonato dal padre, con difficoltà ricorderà la forza della tradizione.
L’indistruttibile forza del ricordo romantico
The Jak & Daxter Trilogy è un tuffo nel passato, in quella decade scorsa quando la PlayStation 2 era padrona del mercato videoludico e veniva dalle perle del platform quali Crash Bandicoot e Spyro che stavano inasprendo la lotta col predecessore Rayman di Michel Ancel. Sulla nuova console si solidifica la diatriba tra Jak e Ratchet, Naughty Dog contro Insomniac, ancora loro, affiancati dall’outsider Sly della Sucker Punch, oggi ricordata per InFamous. Senza voler assolutamente riscrivere i concetti grafici, nei quali il lavoro della azienda americana è approssimativo, la Collection ci permette di ricordare il successo di un brand che di certo non passò in sordina; ci permette di ricordare l’ultimo capitolo, il canto del cigno, di Jason Rubin, che si ritirò poi dalla scena videoludica con successo, con la testa alta. Aveva regalato a tutti noi due emblemi, che ad oggi però potrebbero essere dimenticati, vuoi per la pessima evoluzione compiuta da Crash, vuoi per i troppi anni trascorsi: ora con la Trilogy in questione tutti, anche i più giovani, potranno apprezzare uno dei platform migliori di sempre, un’evoluzione ludica di spessore e un concetto videoludico ancora oggi inespresso da molti altri prodotti scialbi e senza profondità narrativa. Tornate bambini, tornate dieci anni indietro ricordando i primi momenti, quando Naughty Dog significava platform, non Uncharted: tornate romantici.