Immortality – Recensione
Qual è il prezzo dell’arte che creiamo?
Chi ti scrive ha la fortuna di potersi esprimere non solo su queste pagine, ma anche in altri contesti: podcast, live, game design, ecc. Cosa sacrifico, magari senza saperlo, per forzare la mia creatività verso un traguardo? Qual è il prezzo che ho da pagare una volta raggiunto quel… “prodotto finito”?
Queste sono solo alcune delle domande che Immortality – il nuovo titolo di Sam Barlow e del nuovo studio e publisher Half Mermaid – ha suscitato in me, nel corso delle circa 10 ore che ho trascorso con pad alla mano e occhi fissi sullo schermo. Come da tradizione per quel che mi riguarda, una piccola intro tecnica sul gioco e il suo creatore: Immortality è il terzo titolo di Sam Barlow, un game designer britannico noto per Her Story del 2015 e Telling Lies del 2019, ma anche per essere stato game writer per Silent Hill: Origins del 2007 e Silent Hill: Shattered Memories del 2009.
Se già Her Story aveva sorpreso il pubblico con il suo core loop e la metodica con la quale il player affrontava la ricerca della verità negli interrogatori di Hannah Smith, il desktop thriller Telling Lies traslò ancora meglio la narrativa non-lineare che Barlow mette al centro delle sue creazioni in una sorta di invasione delle vite di ben quattro persone, collegate da trame e avvenimenti che sta a noi scoprire, fra mezze verità e bugie belle e buone. Immortality fa invece due passi contemporanei, uno verso l’astrazione (l’arte come unico testamento di ciò che siamo in essa e nelle creazione di essa) e un altro verso la credibilità del reale: in Immortality, infatti, le nostre “indagini” si svolgeranno tramite l’analisi di spezzoni di girato di 3 film che, nel mondo di gioco (e, perché no, anche nel nostro), non hanno mai raggiunto le sale e nemmeno l’home video. L’unica cosa in comune? La protagonista, Marissa Marcel.
Tre film, tre decenni, tre opere che mai hanno visto la luce, al centro della ricerca di una risposta ad una domanda molto meno astrale e astratta di quelle che ti ho posto prima: che fine ha fatto Marissa Marcel?
Non mi spingerò oltre per quanto riguarda la trama e sono stato anche molto attento nella selezione degli screenshot da mettere in pagina, perché il dipanarsi della verità davanti ai tuoi occhi è impagabile, e non ho intenzione di privarti di nessuna delle sorprese che Immortality ha in serbo per te. Quindi, ora parliamo di quello che POSSO e VOGLIO dirti.
Prima di tutto, la credibilità di quello che ti trovi davanti: la qualità con la quale questi “finti” film sono stati girati è assurda, dai costumi alle interpretazioni, fino ai diversi “formati” del girato a seconda del film, e quindi del decennio, di appartenenza (i 3 film sono rispettivamente del 1968, 1970 e 1999). Ti ci vorrà davvero poco per iniziare a credere che quello che stai guardando sia davvero un film mai uscito, e non una ricostruzione creata apposta per un videogame. Mason Gage e Charlotta Mohlin, due delle presenze più forti nei filmati, anche se in modi e per motivi diversi, sono magnetiche, e sembrano versioni alternative di attrici del calibro di Anya Taylor-Joy e Tilda Swinton, in tutto e per tutto in grado di intrappolarvi nei loro sguardi, nelle loro parole e, inevitabilmente, nelle fitte interpolazioni dei (e tra i) loro personaggi.
Anche tutto il resto del cast è molto capace e in grado di mantenere intatto il senso di immersività, con un particolare plauso ad un Ty Moldbak che ricorda profondamente le migliori performance attoriali di Elvis Presley.
Se, come ti dicevo, ci vuole poco a rimanere immersi in ciò che si vede, un po’ più di tempo è richiesto per comprendere e prendere confidenza con i comandi di gioco: considera che io l’ho provato su console e forse, come Her Story e Telling Lies prima di esso, Immortality si gode meglio su un PC. Si tratta di un ostacolo che, per quanto leggero e morbido, a mio parere questa volta contrasta con il contenuto visivo del gioco.
Nei titoli precedenti di Barlow, infatti, indagavamo su filmati e video che, narrativamente, esistevano su un supporto PC proprio all’interno della storia stessa, tanto da mostrarci, proprio in Telling Lies, che il nostro alter-ego stesso sta usando un PC: qui il contenuto “film” è fin troppo perfetto per una TV, e il contrasto fra ciò che vediamo e la scomodità di navigazione mi ha fatto un po’ storcere il naso… ma non troppo.
C’è poco altro di cui posso parlarti senza cadere in spoiler, però un piccolo ultimo appunto mi sento di farlo. Immortality è un ottimo esempio del conflitto al centro del lavoro di un game designer, ossia l’equilibrio guadagno/sacrificio: per ogni meccanica o elemento che aggiungi, c’è qualcosa di noto o ignoto che perdi.
Nel caso dell’ultimo titolo di Sam Barlow, il sistema è organizzato in modo che ogni passaggio da filmato a filmato avvenga in seguito alla nostra interazione con un elemento del frame, sia esso un oggetto o un volto: se nel caso del volto il passaggio funziona, ed efficacemente, spesso la traslazione fra oggetti richiede un collegamento fra oggetti simili, se non, più di qualche volta, proprio diversi. È una forzatura che comprendo e rispetto, e non mi viene da pensare ad una soluzione facile.
Il secondo aspetto di questo equilibrio è che Immortality cercherà sempre di proporre un filmato non visto, ma, alla fine dell’avventura, questa struttura rende molto difficile poter visionare il 100% dei filmati, cosa che potrà dispiacere a chi, come me, per un titolo del genere vuole sviscerare ogni frame più e più volte, alla ricerca di una nuova chiave di lettura o di un nuovo segreto.
Immortality, terzo titolo meta-narrativo di Sam Barlow, è l’esaltazione dell’arte come fatica e sacrificio, un sacrificio che a volte è vano perché così tanto può succedere in un lavoro creativo, tanto da far perfino sì che ciò che creiamo non veda nemmeno mai la luce: le interpretazioni attoriali ti immergeranno in pochi secondi nelle vicende di Marissa Marcel, anche se il modo in cui dovrai navigare gli spezzoni di filmato ha una curva di apprendimento iniziale alquanto ripida. Il vero premio di quest’avventura non è solo alla conclusione, ma anche in tutte le storie che andrai ad elaborare, rinforzare o demolire dopo ogni frame, dopo ogni dialogo fuori ciak, dopo ogni sguardo fra gli attori in scena. Se la tana del bianconiglio fosse un videogioco, probabilmente sarebbe Immortality.
Pro
- Ennesima dimostrazione dell'eclettica originalità di Sam Barlow
- Le performance degli attori e delle attrici sono credibili e immergono sin da subito nelle vicende
- Scavare alla ricerca della verità è appassionante...
Contro
- ...anche se imparare a muoversi con agilità nell'interfaccia di gioco richiede uno sforzo iniziale considerevole
- Non sempre il riconoscimento dell'oggetto di transizione fra due filmati funziona a dovere
- I completisti potrebbero dare di matto