Hunt: Showdown – Recensione
Se venti o più anni fa videogiocare significava, dopo una lenta evoluzione dalle sale giochi degli anni ’80 sino alle camerette e ai televisori, affrontare da solo o al massimo in compagnia fisicamente vicina l’esperienza ludica e meta-ludica dei videogames, oggi il discorso è completamente diverso. In uno strambo e paradossale moto evolutivo, oggi si gioca assieme seppur distanti, parlando e interagendo con gli altri seppur fisicamente soli. Il multiplayer, sino a qualche anno fa appannaggio di pochi titoli che lo relegavano come semplice attività extra rispetto alla più classica (e in passato) corposa campagna, oggi il trend ludico di quest’ultimo quinquennio vede un netto predominio dei titoli pensati per l’universo competitivo e cooperativo online, per la felicità (e l’infelicità) di differenti schiere di videogiocatori.
Ma, in quest’ottica di netta divisione, spuntano titoli che fuoriescono dal concept di ibridizzazione sempre più “linfa vitale” della scena videoludica moderna, a cui serve sempre più ossigeno per rendere giustificabile agli occhi del videogiocatore medio l’acquisto di un titolo. In quest’ottica, Hunt: Showdown, titolo svillupato dopo una travagliata gestazione da Crytek, è arrivato nel 2018 su PC con un’idea tanto semplice quanto complicata da concretizzare: e se unissimo la classica campagna con il competitivo?
Prima di descrivere nel dettaglio il pacchetto ludico offerto dalla fatica Crytek, è bene fare un minimo di storia poiché il titolo in questione ha un passato burrascoso ed è arrivato, tra mille difficoltà, sui nostri scaffali virtuali. Nato nel 2014 con il nome di Hunt: Horrors of the Gilded Age, venne inizialmente sviluppato dagli studi di Crytek Usa, composta principalmente da veterani del settore che provenivano da Vigil Games, studio di sviluppo autore dei primi due Darksiders e che si “spense” con la morte di THQ ma, dopo i ben noti problemi finanziari che travolsero l’azienda, lo sviluppo è stato traslato verso gli studi Crytek tedeschi, con sede a Francoforte. Per un po’ il titolo è rimasto in sordina, sospeso in un limbo non meglio precisato, sino alla pubblicazione nel 2018 della versione in Early Access su Steam, sino alla release completa avvenuta nell’agosto del 2019 su Pc e qualche mese più tardi anche su Xbox One e PlayStation 4. Partendo da queste premesse e dopo questa breve sezione colma di qualche breve cenno storico del complicato sviluppo del gioco, ecco a voi la recensione della versione per ammiraglia Sony di Hunt:Showdown.
Hunt: Showdown è uno sparatutto in prima persona competitivo online che si avvale di una formula che, in gergo tecnico-anglofono, sarebbe definibile come “PvPvE”, ovvero l’unione del multiplayer online (Pvp) e dei classici crismi che contorniano le campagne in singolo (PvE). Se volessimo utilizzare etichette sempre generali ma un po’ più dettagliate, il titolo Crytek espande in una chiave più articolata il concept alla base dei battle royale, mettendo una decina di player in una mappa di grandi dimensioni e dando loro un obbiettivo comune, ovvero l’abbattimento di un obbiettivo. Naturalmente, una serie di dettagli non di poco conto, come ad esempio la strutturazione ruolistica extra-gioco e la presenza di elementi governati dall’I.A. e roguelike, permette al titolo di distanziarsi quanto basta da PUBG e soci per creare una sua nicchia concettualmente intesa, donandogli un contesto e un’ambientazione abbastanza elaborata unitamente a una modalità di gioco sì competitiva e online, ma incorniciata da tanti elementi classici di una campagna.
Partiamo proprio dagli elementi narrativi: Hunt: Showdown è ambientato in una tetra Louisiana del XIX secolo, completamente infestata da aberrazioni non morte che hanno devastato la verdeggiante terra. Noi vestiremo i panni di un cacciatore di taglie, chiamato di volta in volta ad abbattere pericolose amenità dalle fattezze varie ed eventuali con un armamentario di tutto punto classico dell’epoca, tra rivoltelle, fucili a canne mozze e grossolane ma efficaci accette. Il titolo ha due distinte modalità di gioco: una è chiamata “Bounty Hunt”, l’altra semplicemente “Quickplay”.
Il gameplay della prima modalità, il cuore pulsante in concreto del titolo Crytek, si può suddividere in quattro fasi: dapprima, una volta catapultati nella mappa di gioco, cosparsa di nemici di medio e basso livello controllati dall’I.A., dovremo utilizzare un potere speciale del nostro alter-ego virtuale, in grado di visualizzare delle tracce demoniache lasciate in giro dall’obbiettivo della nostra caccia. Dopo l’analisi di tre differenti tracce, il nostro cacciatore riuscirà a visualizzare la location esatta del nostro obbiettivo: naturalmente, il nostro compito sarà quello di abbatterlo. Ma, una volta ucciso, si conclude la sezione PVE e partono le danze PVP: infatti, dopo l’eliminazione del nemico prioritario, dovremo prima “scacciarlo” dal mondo degli umani eseguendo un rituale e poi, una volta terminato, recuperare la taglia e raggiungere un punto d’estrazione sulla mappa.
In questa fase, in linea di massima, gli altri cacciatori cercheranno di intercettarci ed eliminarci per potersi accaparrare il bottino: qui, avremo diverse possibilità strategiche per avere la meglio, dall’uscire ad armi spianate (che, in verità, saranno realisticamente correlate ai limiti tecnologici dell’epoca, quindi difficili da padroneggiare e spesso soggette a lunghissimi tempi di ricarica) al giocarsela in silenzio e senza esser visti. Nella modalità Quick, invece, ce la vedremo con delle meccaniche non troppo dissimili dalle classiche Orde alla Gears of War: gireremo, da soli, per un mappa alla ricerca di tre punti di interesse che, una volta scovati, ci consentiranno di attivare una fonte di potere che dovremo difendere dai nemici, questa volta non umani, per un tempo limite.
È bene sottolineare che Hunt: Showdown offrirà delle componenti ruolistiche e roguelike: ogni qual volta completeremo una missione (anche nel caso in cui non dovessimo risultare vincitori) il gioco ci assegnerà punti esperienza che faranno aumentare sia il nostro livello “Bloodline”, relativo al nostro account di gioco e che ci consentirà di sbloccare diversi strumenti utili in game, sia il livello del nostro cacciatore, che potrà dotarsi di nuove abilità passive, sbloccabile attraverso una valuta specifica e che guadagneremo giocando, e armi.
Ma… c’è un però: nel caso in cui dovessimo morire in battaglia, il nostro alter-ego sarebbe perduto per sempre, seppur la complessiva esperienza accumulatoa a livello di account non andrebbe perduta e si rifletterebbe sul nuovo cacciatore che andremmo, ipoteticamente, ad acquisire. Nulla di particolarmente innovativo, strutturalmente, ma comunque un aggiunta di peso e che dona uno spessore relativo maggiore all’intera esperienza di gioco. Nonostante il concept notevole che rende, de facto, Hunt: Showdown uno degli shooter più innovativi e divertenti degli ultimi anni, il gameplay del titolo sarà fortemente arginato da alcuni limiti evidenti. In primis, seppur temporaneo, i contenuti: al momento, oltre a sole due modalità che, in realtà, condividono il 90% dei concept di gameplay, il titolo Crytek conterà su pochi nemici, boss (sono solo tre!) e mappe giocabili, i quali andranno ad impattare sulla complessiva varietà del titolo, di già ripetitivo meccanicamente seppur divertente grazie all’originale formula.
Nonostante Crytek sia da tempo immemore sinonimo di qualità tecnica eccelsa, Hunt: Showdown in realtà offre un comparto sicuramente pregevole ma non privo di qualche difetto tecnico ed estetico. Per quanto riguarda l’aspetto più squisitamente grafico, il gioco soffrirà di una certa altalenanza di chiaroscuri: ad esempio, ben fatti i modelli dei nemici (seppur non siano molto diversificati complessivamente), meno i dettagli ambientali sia per quanto concerne gli edifici che i segmenti naturali delle mappe. Tecnicamente, seppur complessivamente buono e scevro da difetti “game-breaking”, il gioco soffrirà di una certa tendenza dei modelli ad incastrarsi in sezioni dello scenario che, nei casi peggiori, confluiranno in un pop-up selvaggio delle texture.
Un altro chiaroscuro sarà costituito dalla complessiva interfaccia, un po’ caotica e ricolma di menù e sotto-menù che, in prima battuta, risulteranno a livello organizzativo piuttosto disorientanti: a questo, si aggiunga anche che la complessiva navigazione avverrà per la maggiore tramite un puntatore controllabile con gli stick analogici, traslato a piè pari dalla versione PC, che naturalmente non sarà esattamente comodissimo. Un altro punto a sfavore riguarderà invece i caricamenti delle mappe e il complessivo matchmaking, alle volte lunghi anche diverse decine di secondi. Meccanicamente parlando, il gioco offrirà controlli piuttosto intuitivi e ben realizzati, addirittura consentendo ai giocatori di poter scegliere fra uno schema di comandi più da sparatutto oppure una soluzione più orientata all’utilizzo delle armi bianche.
Per quanto concerne le generali performance, Hunt: Showdown è stato testato con una fiammante PS4 Pro ed ha mostrato, in generale, un solido frame rate bloccato a 30 fotogrammi al secondo, sporadicamente in affanno in situazioni un po’ più concitate. Un plauso senza indugi invece al suono, che unisce il classico campionario di aberranti sonorità gutturali relative ai tanti cadaverici avversari presenti in gioco, unitamente a trame musicali blue e rock in pieno stile “american countryside” e che ben si amalgamano alle demonicamente devastate lande della Louisiana.
Hunt: Showdown è un titolo consigliato, “potente” e in grado di catalizzare l’attenzione di chi fosse alla ricerca di un innovativo modello di gioco, che unisce campagna in singolo, cooperativo e competitivo online in un sol colpo. Al pregevole lavoro complessivo di Crytek vanno però associati diversi limiti intrinseci del titolo, fra contenuti limitati e nei tecnici evidenti che, a onor del vero, sono presenti e visibili, seppur logicamente temporanei e relativamente impattanti sulla complessiva godibilità del titolo.
Pro
- Formula "PVPVE" innovativa
- Elementi ruolistici e roguelike
- Buone meccaniche sparatutto
Contro
- Contenuti limitati
- Alcuni problemi tecnici
- Interfaccia migliorabile