Home Sweet Home – Recensione
Che la tecnologia VR funzioni alla grande con le esperienze horror è ormai un dato di fatto: l’immersività offerta dai visori, unitamente ai jumpscare tipici del genere, sono gli ingredienti di una ricetta dal sicuro impatto. Nello specifico caso di Home Sweet Home si aggiungono al piatto qualche spezia tailandese – dal cui folklore provengono gli spettri che ci terrorizzeranno nel gioco – e chiari rimandi a Resident Evil 7, il punto di riferimento per questo genere. Il risultato è un titolo che certamente non fa gridare al miracolo, ma che riesce a intrattenere e – a tratti e senza troppe pretese – anche a divertire e spaventare al punto giusto.
Casa amara casa
Se c’è una certezza in Home Sweet Home, è che la casa del titolo è tutt’altro che dolce: i fan del genere non faticheranno a riconoscere i molti punti in comune tra il gioco sviluppato da Mastiff e un Silent Hill a caso (qualcuno ha detto P.T.?): il protagonista Tim si muoverà tra incubo e realtà per indagare sulla propria moglie – morta? Scomparsa? Scopritelo giocando – sfuggendo a letali nemici, risolvendo enigmi e raccogliendo documenti e pagine di diario necessarie a ricostruire l’accaduto.
In termini di trama non c’è molta carne al fuoco oltre a questo, ma tanto basta: Home Sweet Home si basa molto sull’esperienza e approfondire troppo le vicende dell’anonimo protagonista avrebbe fatto perdere di vista l’obiettivo principale del gioco, ovvero spaventare. Il vero problema è un altro: già nella descrizione del gioco sul PlayStation Store si legge “serie di giochi”, a significare che la storia di Home Sweet Home non si concluderà al termine delle circa cinque ore necessarie a raggiungere i titoli di coda. Questo significa che la parte narrativa, seppur intrigante nella sua semplicità, resterà “appesa” in attesa di un sequel, che ancora non è stato annunciato e che si baserà molto probabilmente sul successo di questo porting su console (il titolo è già disponibile da fine 2017 su PC). Senza un buon risultato di pubblico, in altre parole, tutto sarà lasciato a metà.
Nascondino terrificante
Per quanto Home Sweet Home possa ricordare Resident Evil 7, in quanto a gameplay è sicuramente più simile a titoli meno altisonanti, in cui la componente action è meno marcata e si lavora molto di esplorazione. Vi basti sapere che non sarà possibile combattere o difendersi in alcun modo, ma soltanto fuggire e nascondersi, in favore di una meccanica stealth tutto sommato appagante nella sua ripetitiva semplicità.
La maggior parte del gameplay è quindi costituita dall’esplorazione del mondo di gioco, vero e proprio fulcro dell’esperienza e terrificante al punto giusto: ricordando gli scenari da incubo di The Evil Within, Amnesia e Layers Of Fear, l’ambiente si modifica e stupisce, destabilizzando come solo un incubo è in grado di fare: e così una stanza apparentemente chiusa e senza uscite si dilata e mostra un corridoio non appena giriamo la testa, mentre quella che un momento prima era una porta chiusa diventa improvvisamente un portale verso un’ambientazione totalmente differente.
Durante l’esplorazione è richiesto anche l’utilizzo di un minimo di materia grigia per risolvere enigmi non esageratamente complessi ma comunque sfidanti e, soprattutto nel caso delle combinazioni, procedurali: questo significa che a ogni partita, nel caso della combinazione di una cassaforte o di un lucchetto, i numeri saranno differenti. Il sistema per risalire alla combinazione sarà sempre il medesimo e permetterà di risolvere l’enigma in maniera più veloce nelle run successive, ma comunque l’impossibilità di avere tutorial esaustivi sulla risoluzione degli enigmi più complessi vi costringerà a spremervi le meningi per giungere da soli alla soluzione, dando il giusto risalto al livello di sfida di un titolo che, al netto dell’esplorazione, deve la sua longevità alla presenza di qualche divertente indovinello à la Professor Layton per procedere nei livelli.
Il meccanismo di difesa, come abbiamo detto unica azione disponibile contro i nemici, è rappresentato dal nascondersi: un armadietto, un tavolo, o semplicemente il buio saranno preziosi (oltre che gli unici) alleati contro i nemici che cercheranno di farvi la pelle. Tra questi, ispirati alle legende tailandesi, spicca su tutti il primo antagonista che incontrerete: si tratta di una donna armata di taglierino che, col suo incedere zoppicante mentre estrae e ritrae la lama producendo il caratteristico “crick” del cutter, vi farà sobbalzare sulla sedia in più di un’occasione mentre vi nascondete a pochi centimetri pregando che passi oltre. Peccato che col procedere dell’avventura si capisca che i nemici non sono poi così intelligenti e che la loro capacità di accorgersi della vostra presenza non è sempre altissima: vi ritroverete così a correre con la torcia accesa anche in presenza di un pericoloso antagonista, che una volta svelato il suo raggio d’azione e la sua capacità offensiva vi farà decisamente meno paura rispetto al primo incontro, togliendo gran parte del brivido all’esperienza.
Incubo Unreal
L’Unreal Engine 3, motore grafico scelto dagli sviluppatori per dare vita alla loro spaventosa creatura, riesce perfettamente nell’intento e restituisce un mondo dalle interazioni limitate e relativamente spoglio di dettagli, ma ugualmente perfetto per l’atmosfera cupa che mira a ricreare. La notte che avvolge il mondo di Home Sweet Home, dove solo alcune luci e la flebile torcia del protagonista rischiarano l’ambiente durante l’esplorazione, beneficia dell’oscurità per celare abilmente la povertà grafica di alcune texture.
L’ottimizzazione è buona cosa per chi intenda assaporare l’esperienza in VR – il titolo si può affrontare con il visore o comodamente seduti davanti allo schermo del televisore – che risulta fluida e coinvolgente al punto giusto. Il risultato finale è un’esperienza immersiva senza troppi fronzoli, ma apprezzabile nella sua semplicità.
Ottimo anche l’audio: il silenzio lasciato dalla quasi assenza di colonna sonora aiuta a formare quel senso di pericolo imminente e fa saltare sulla sedia al minimo rumore prodotto dai nemici. Ovviamente il meglio del comparto audio lo si percepisce in VR, quando mentre si è nascosti si sentono i passi del mostro di turno passarci a fianco.
Segnaliamo infine la presenza di varie lingue nel menu delle opzioni, ma l’assenza di quella italiana. Il doppiaggio dei pochi dialoghi è inglese, e sempre in inglese, francese o tedesco è possibile impostare i sottotitoli. Se non conoscete una di queste lingue vi perderete buona parte della storia, godendovi in maniera più marginale l’esperienza.
Home Sweet Home è una piacevole sorpresa per i fan dell’horror. È incredibile come P.T. riecheggi ancora in produzioni di questo genere e come i survival in prima persona stiano aumentando in quantità e qualità semplicemente ispirandosi a quel teaser del mai nato Silent Hills. Il port su PlayStation 4 di Home Sweet Home conserva tutte le caratteristiche PC e permette di godere di un discreto titolo horror basato sui mostri della mitologia tailandese. Peccato solo che non si sappia ancora se ci sarà un seguito, fatto che potrebbe lasciarci con l’amaro in bocca per una storia dalle buone potenzialità abbandonata a metà.
Pro
- Il folklore tailandese è intrigante
- Grafica spoglia ma d'impatto
- Enigmi e trama semplici ma divertenti
Contro
- Storia senza finale e incertezza su un sequel
- Tanta esplorazione, pochi enigmi e zero azione